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  Editoriali  »  Uomini o bestie 19/08/2006
 

                                Uomini o bestie?

 

Fra tutti gli esseri viventi l'uomo ha avuto la grazia dell'intelligenza, dono che l'ha elevato sulle altre specie, anche se non è mai stato capace di farne buon uso. Certamente è riuscito a inventare tante cose che gli hanno reso e gli rendono la vita più facile, ma al tempo stesso più complessa; ha ottenuto lusinghieri successi in campo medico, tanto d'essere riuscito ad allungare notevolmente la vita media, senza per questo concretizzare l'agognato sogno dell'immortalità; il suo estro creativo non si è limitato alle scienze, ma anche alle arti, con un arricchimento culturale che troppo spesso finisce con l'essere snobbato.

Insomma, la specie ha avuto un'evoluzione notevole, senza che tuttavia si sia persa una caratteristica propria fin dalle origini: il curioso metodo di risolvere i dissidi, o di soddisfare il desiderio di potenza, con la violenza della guerra.

Sembra quasi incredibile che la storia dell'umanità sia disseminata da milioni di morti dovuti non a cataclismi o a malattie, ma a seguito di eventi bellici.

Sappiamo bene che gli animali, spesso, si combattono fra loro, ma la natura di questi conflitti, non di rado dovuti a esigenze territoriali, sembra impossibile che possa accomunare le bestie con gli uomini, con un distinguo ben preciso: i secondi hanno l'intelligenza che non hanno le prime.

E' lecito quindi chiedersi se questa scintilla creativa non sia più che carente, visto che per far delle guerre non occorre l'intelligenza, ma la bestialità.

Pretendere di risolvere i problemi con la forza è un atto di debolezza, è la negazione assoluta della ragione, perché, al di là della barbarie in se stessa, l'esperienza ci insegna che la vittoria è una soddisfazione effimera, che da una tragedia immane non escono in effetti né vincitori, né vinti, perché la guerra è una sconfitta per tutti, anche per chi non vi ha partecipato.

L'indifferenza per le disgrazie altrui è un pessimo viatico per l'evoluzione della specie, è quasi una tacita giustificazione che nulla si può fare contro drammi di così vasta portata. E non mi riferisco a coloro che invece alzano voci di protesta, più o meno interessata, a favore o contro uno dei contendenti, ma proprio alla quasi totalità degli altri che di fronte al fatto, pur nel timore, finiscono con il considerarlo come ineluttabile.

La guerra può e deve essere evitata, cercando di rimuovere da un lato i motivi, o pretesti, che l'hanno provocata, e dall'altro ricordando ogni giorno che la vita è troppo breve per essere così malamente sprecata.

Il nostro incerto cammino su questa terra avrà un giorno senz'altro fine, e proprio per questo dobbiamo metterci in testa che percorrerlo in armonia, senza sogni di gloria o di potenza, ci renderà più agevole il passaggio al buio in fondo alla strada.

Le ricchezze che esistono sul pianeta non sono di Tizio, o di Caio, ma sono di tutti noi, nessuno escluso, e l'impossessarsene è come toglierle a tutti.

Duemila anni fa ci fu uno che perfino morì perché l'animo umano si aprisse alla solidarietà; da allora, nonostante tanti si professino suoi seguaci, hanno continuato come se lui non fosse mai esistito.

Mi chiedo se allora abbiano un senso queste righe che ho scritto: se non è stato ascoltato lui, chi mai ascolterà me?

So solo una cosa: che continuerò la mia pacifica battaglia contro ogni guerra.  

 

 
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