Il
senso di una fine - Julian Barnes - Einaudi -
Pagg. 160 - ISBN 9788806220808
- Euro 12,00
Il
senso di una fine di Julian Barnes è un romanzo che mi ha colpito,
qui l´autore ci parla della memoria, del tempo e del significato
della vita. Con una prosa magnifica e una narrazione impeccabile,
Barnes ci conduce in un viaggio emotivo che ci spinge a riflettere
sulla natura stessa dell´esistenza umana.
La
storia si sviluppa attraverso due linee temporali: la prima parte del
romanzo è ambientata nella giovinezza del protagonista, Tony
Webster, mentre la seconda si colloca nella sua maturità. Tony è un
uomo ordinario che sembra aver accettato la mediocrità della sua
vita, ma il suo passato tornerà a tormentarlo quando riceve una
misteriosa eredità che lo costringe a confrontarsi con gli errori e
i segreti sepolti nel tempo.
La
maestria di Barnes nel dipingere i personaggi è molto interessante:
sono ben sviluppati e realistici, ciascuno con le proprie sfumature e
ambiguità. Tony, protagonista affascinante e imperfetto, funge da
guida attraverso la sua vita, esplorando rimpianti e speranze
infrante.
Ciò
che rende "Il senso di una fine" stimolante è il modo in cui
Barnes esplora il tema della memoria e della sua fallibilità,
attraverso la lente del tempo, il protagonista si rende conto che i
ricordi possono essere distorti e reinterpretati nel corso degli
anni,
in
quanto la nostra percezione del passato può essere influenzata da
emozioni, desideri e prospettive personali. La verità diventa
sfuggente, e il lettore è spinto a interrogarsi sulla natura stessa
dei ricordi e sulla loro influenza sulla nostra percezione della
realtà.
È
il primo libro di Julian Barnes che leggo, e trovo la sua scrittura
elegante; ogni frase è costruita con cura, con una prosa cristallina
che riesce a catturare le sfumature delle emozioni e a trasmettere un
senso di profondità e intimità. Benché abbia avuto difficoltà
iniziale a proseguire nella lettura, "Il senso di una fine" è
un´opera letteraria che, se superata la fase iniziale, lascerà
un´impronta duratura nella mente e nel cuore dei lettori. Julian
Barnes ha creato un libro indimenticabile.
Citazioni
tratte da: Il
senso di una fine di Julian Barnes
Viviamo
nel tempo; il tempo ci forgia e ci contiene, eppure non ho mai avuto
la sensazione di capirlo fino in fondo. (pag 5)
...il
segreto di una famiglia felice era che la famiglia non esistesse,
almeno non sotto lo stesso tetto.
(...)
In
quei giorni immaginavamo noi stessi come prigionieri dentro un
recinto. in attesa di essere liberati nel pascolo delle nostre
esistenze. Quando fosse giunto il momento, la vita, e il tempo
stesso, avrebbero subito un´accelerazione. Come avremmo potuto
sapere che in effetti le nostre vite erano già cominciate, che
alcuni vantaggi ce li eravamo accaparrati e che se che qualche danno
era già stato inflitto? E che, per di più, ci avrebbero solo
liberati dentro un recinto più grande i cui limiti avremmo in
principio faticato a riconoscere? (pag 11)
...sarà
la vita a darti lezione di realtà e realismo. (pag 13)
La
storia è quella certezza che prende consistenza là dove le
imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della
documentazione. (pag 18)
...le
condizioni mentali delle persone possono essere dedotte dai loro
gesti. (pag45)
Cercai
di spiegarle la storia del rifiuto del dono elargito senza essere
stato richiesto, la superiorità dell´agire rispetto al subire.
(pag 53)
Un
inglese una volta ha detto che il matrimonio è un pranzo
interminabile con il dolce servito per primo. (pag 56)
Non
so più chi ha detto che ricordo è ciò che pensavamo di aver
dimenticato. Inoltre dovrebbe apparirci ovvio come il tempo per noi
non agisca affatto da fissativo, ma piuttosto da solvente. (pag 65)
All´improvviso
mi sembra che una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia
potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso
per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri. (pag 82)
Il
tempo però... ah, come può trascinarci alla deriva e confonderci le
idee. Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci eravamo
soltanto messi in salvo, al sicuro. Fantasticavamo sul nostro senso
di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, e cioè
vigliaccheria. Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato in
un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle. Già, il tempo
che ci riserva... il tempo necessario a farci precipitare le nostre
più salde risoluzioni come traballanti, le nostre certezze come
capricci momentanei. (pag 94)
Con
quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita?
Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? E più
avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno
intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti,
ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la
storia che ne abbiamo raccontato.
Agli
altri, ma soprattutto a noi stessi. (pag 96)
Ad
esempio al fatto che quando siamo giovani e sensibili, siamo anche
più cattivi che mai; mentre, con il rallentarsi del sangue nelle
vene, quando la sensibilità delle cose meno acuta, e noi più
corazzati e più capaci di tollerare le ferite, diventiamo anche più
attenti a non fare male. (pag 99)
Ascoltiamo
quello che si dice, leggiamo quello che si scrive: si riducono a
questo le nostre prove, i nostri avvaloramenti. Tuttavia, se il viso
contraddice le parole del nostro interlocutore, allora è il viso che
interroghiamo. Uno sguardo che si fa sfuggente, un rossore
improvviso, il fremito incontrollabile di un muscolo facciale, e
allora sappiamo. Riconosciamo l´ipocrisia della dichiarazione
bugiarda, mentre la verità si manifesta chiara davanti a noi. (pag
137)
Si
arriva alla fine della vita, no, non della vita in sé, ma di
qualcos´altro: alla fine di ogni probabilità che qualcosa in
quella vita cambi. (pag 149)
Katia
Ciarrocchi
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