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  Letteratura  »    »  Argentea Scaltra e altre favole, versioni poetiche da Esopo, di Gianluca Ferrari, edito in proprio - commento critico di Renzo Montagnoli 15/07/2023
 

Argentea Scaltra e altre favole - versioni poetiche da Esopo, di Gianluca Ferrari - Pagg. 61



Esopo, un nome che ci è entrato nella memoria fin da bambini, perché il nostro approccio è avvenuto con le sue famose favole, ben 358 racconti mai fini a se stessi, ma che hanno un preciso scopo educativo, riflettendo, nella loro brevità, tutti gli aspetti della vita reale, con protagonisti degli animali il cui comportamento è analogo a quello degli uomini. Ci si chiede allora perché i protagonisti non siano dei nostri simili e la ragione principale sta nel fatto che si ottengono maggiori risultati, nel senso che si raggiunge meglio lo scopo educativo se i personaggi non sono Tizio o Caio, ma il lupo o il capretto. Agli animali si può perdonare tutto, ma agli uomini no, soprattutto se ci si identifica facilmente nei protagonisti dei racconti, ed ecco allora la loro funzione mediatrice.

Gianluca Ferrari, una vecchia conoscenza che si diletta a scrivere poesie, evidentemente appassionato della produzione letteraria di Esopo ha voluto tradurre in versi alcuni di questi racconti, opera non impossibile, ma non certo facile; in ogni caso il risultato è senz´altro positivo, anche perché in questo modo le varie vicende presentano un fascino armonico che le rende più interessanti, contribuendo così maggiormente al raggiungimento dello scopo. Ferrari, però, non si accontenta di verseggiare, ma si potrebbe dire che in premessa dà una sua personale valutazione dell´opera di Esopo, definito giustamente colui che incarna la favola da due millenni e mezzo, oltre a definirlo il mitico contraltare, sul versante plebeo, di un altro autore mitico, l´immenso Omero. In questo senso il poeta modenese sottolinea l´importanza del favolista greco, capace di attrarre con la semplicità dei suoi racconti, una massa di persone particolarmente elevata, gente non abbastanza erudita da comprendere appieno l´Iliade o l´Odissea, ma che pur tuttavia in questo modo è in grado di accostarsi alla Letteratura, con un arricchimento culturale, determinato soprattutto dalla linearità e dalla comprensibilità delle per lo più brevi prose del narratore greco.

Se si pensa che Esopo, contemporaneo di Pisistrato, è un uomo del VI secolo avanti Cristo dà maggior valore alla sua produzione artistica, rappresentando ll capostipite di un genere che avrà sempre più fortuna in seguito, con eccellenti favolisti quali Fedro, Jean de La Fontaine e Gotthold Lessing.

Quanto a Gianluca Ferrari, di cui non si può non apprezzare la capacità di "poetare", è una continua scoperta; del resto di lui so ben poco, a parte il fatto che è modenese. Non è che mi interessi particolarmente conoscere di più, ma di una cosa sono certo, e cioè che si tratti di una persona erudita, e non poco, come anche testimoniato dalla sua introduzione a quest´opera che riporto in calce.

Lo stile, come sempre, è sobrio, mai enfatico, elegante ed è molto bello leggere in versi questi racconti (non tutti i 358, che sarebbe un lavoro immane, ma 54, che pure sono tanti), con riportato in corsivo la gnome, cioè il concetto, o in modo più esplicito la morale.

Dispiace solo che il libro non sia in commercio, ma conto che possiate leggerlo con la pubblicazione periodiche delle poesie tratte dallo stesso.

Chiudo come anticipato con l´introduzione:

"Se esistono fantasmi dalla corporeità più accentuata che creature in carne e ossa, uno di questi è certamente Esopo: mitico contraltare, sul versante plebeo (e il termine non suoni in alcun modo spregiativo), di Omero (altro supposto spettro; come per le immense opere epiche, il monumento favolistico si sarà formato per lenta sedimentazione di musiche e parole, grazie all´incessante azione dei rapsodi?). Quasimodo di un´arcaica Notre Dame sull´isola di Samo? Ciò, per lo meno, riferisce Erodoto che lo vuole schiavo di un certo Idmone nonché contemporaneo della decima musa Saffo; Quasimodo in quanto vistosamente sciancato. In ogni caso, può dirsi che egli incarna la favola per antonomasia, da due millenni e mezzo; infatti già nel V secolo a.C. i grandi letterati greci lo citavano per ampiamente conosciuto al grande pubblico. Qui vorrei tentare qualche pennellata capace di delineare, almeno per sommi capi, che cosa sia la favola e in qual maniera abbia io inteso far parlare i suoi protagonisti. Anzitutto va chiarito che essa non nasce con Esopo, né in Grecia, bensì vi penetra dalle plaghe dell´Asia Minore (Mesopotamia in primis); poi va aggiunto che la struttura narrativa resta più o meno sempre la medesima - dialogo/contrasto tra due (di rado più) animali (ancor più raramente uomini) risolto a favore dell´uno o dell´altro con sentenza che esprime una succinta morale. Spesso quest´ultima si risolve in critica sociale la quale sottolinea, con tono più o meno amaro, più o meno rassegnato, i rapporti di forza su cui si regge l´umano consorzio; se il consorzio è quello greco, cioè esopico per eccellenza, la constatazione tenderà a cristallizzarsi in adamantina ineluttabilità, come del resto insegnano le favolose (mi si passi il termine) tragedie di quel Paese. Ciò non significa, necessariamente, supina accettazione da parte del più debole meschino (sia un asino verso un leone, sia uno schiavo contro un padrone), al quale resta pur sempre - qualcuno dirà forse che trattasi di misera consolazione - l´espediente dell´avvedutezza, del savoir-vivre fatto di limite della misura, buon senso pratico e comune. Posta, certo, l´immutabilità di fondo del Destino e dei rapporti sociali (che sono poi rapporti di forza, sempre e comunque): ché la sua buona sorte, ti dico, nessuno degli uomini schiva,/né buono né malvagio, come essa per lui sopraggiunga (Iliade, canto VI, 483-84 nella versione di E. Romagnoli; parla Ettore, subito dopo avere visto l´indimenticabile, struggente istante di riso della moglie, in un incontro carico di pianto e funerei presagi).

Favola dunque, coi suoi animali, figlia di un dio minore? Certo è che non bisogna pretendere da essa gli arditi voli pindarici; forse nemmeno relegarla nelle pettegole e sciatte stanze servili, alla maniera di Quintiliano (le favolette di Esopo, che vengono subito dopo quelle delle nutrici...); rimane pur sempre il fatto che ha saputo affiancarsi agli onnipotenti miti per portare tra il popolo, in forme più semplici, più stilizzate, alcuni esempi di condotte dell´uomo squarciando il velo delle apparenze più o meno affettate, del "politicamente corretto" diremmo oggi. Dopodiché ciascun autore vi ha messo del proprio: v´è chi si concentrò principalmente sull´ammaestramento etico-morale (Fedro) e chi badò anche ad ornare la narrazione di una certa eleganza e ricercatezza che potessero farla apprezzare ai palati più fini (Babrio); chi esaltò la vis comica o mimica e chi meno... Questo è per me un punto assai importante, perché ritengo sia da evitare un´eccessiva antropomorfizzazione delle bestie (gioverebbe semmai il contrario: e cioè una bestializzazione nostra) che vogliono sì ammaestrarci, è bene tuttavia lo facciano con la propria voce e il proprio modo di comportarsi: altrimenti la lezione parrebbe venire da una testa impagliata alla parete (per quanto Esopo avrebbe comunque potuto estrapolarne un utile ammonimento: adoperarsi a evitare identica fine, per non trovarsi... spalle al muro). Lo coglie - tale vivo punto - in modo magistrale il filosofo cinico Antistene, che riassume in due righe folgoranti e davvero "animalesche" tutto il dramma dei rapporti di forza che dominano le nostre esistenze: Signori dalle pelose zampe, i vostri discorsi mancano di unghiute appendici - ribattono i leoni ai protestanti conigli i quali reclamano pari dignità politica e sociale. Proprio per tentare di rendere il più possibile visibili - cioè concreti, palpabili - i protagonisti delle storie, ho azzardato talvolta qualche aggiunta tutta personale: un appellativo (Argentea Scaltra: a designar la volpe), un aggettivo (l´orecchiuta lepre), una perifrasi (sudditi balzanti per significare rane) o un´esclamazione adeguata a colei che se la lascia sfuggire (il bra...braa...braaava di un´ulteriore rana, al racconto numero 68), altro ancora. Per non parlare dell´aggiunta principale: la resa in forma poetica (con relative licenze, compresa quella di inserire qua e là fantasiosi incisi che non alterano però il senso generale) di testi che a quanto pare Esopo scrisse in prosa. Il respiro dei versi è breve e serrato, come in genere si addice alle filastrocche.

Mi fermerei qui e lascerei parlare (ruggire, zigare, crocidare, bramire, muggire, belare, squittire, uggiolare o guaiolare...) gli animali, aggiungendo che in corsivo, caro lettore, trovi la gnome; sgonfio subito il termine dotto e con un tocco di magia rimpicciolisco l´etimologia: si tratta della minuscola morale (ma non per questo infima), del succo ch´è dato da ciascuna favola cavare.


G.F."


Renzo Montagnoli

 
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