Il
cappotto di astrakan
di
Piero Chiara
Arnoldo
Mondadori Editore S.p.A.
Narrativa
Pagg.
205
ISBN
9788804720485
Prezzo
Euro 12,00
Un
gioiellino
L’anno
è il 1950 e un italiano di quarant’anni arriva a Parigi,
con lo scopo di trascorrervi un tempo non predeterminato e magari di
poter imprimere una svolta decisiva alla propria vita, nonché
per non essere da meno di alcuni suoi compaesani che vi hanno
soggiornato e che di questa permanenza raccontano al caffè del
paese. Dopo un breve periodo in un alberghetto trova una camera
presso la vedova Lenormand a un prezzo irrisorio, a particolari
condizioni, quali non portare ospiti, non spostare nulla di quello
lasciato dal precedente abitante e sopportare la presenza ostile del
gatto Domitien. Nel corso delle sue escursioni parigine ha modo di
conoscere una ragazza, Valentine, con cui allaccia una relazione.
Quando non è a zonzo per le vie della città si diverte
a leggere i numerosi libri della biblioteca presente nella camera
ammobiliata e in particolare alcuni scritti non molto chiari
presumibilmente di chi lì l’ha preceduto. La vedova
Lenormand, personaggio d’altri tempi e di struttura ampiamente
robusta, gli racconta di avere un figlio, Maurice, che gli somiglia
moltissimo, fuggito in Indocina con una giovane di quel paese; dato
che l’inverno è prossimo e comincia a far freddo gli
dona un cappotto di astrakan che era stato in precedenza del figlio.
Non vado oltre, perché la trama, sebbene non gialla, merita di
non essere completamente svelata, presentando certi eventi che danno
una svolta a una vicenda fino a lì nel complesso non
particolarmente originale, ma nemmeno banale.
A
prima vista si potrebbe pensare a un racconto autobiografico, visto
che il protagonista proviene da Luino, che c’è la
citazione del caffè del paese con i frequentatori dediti al
gioco del biliardo, che si parla di una precedente visita, per quanto
da internato in Svizzera, ma così non è, atteso che lo
stesso Chiara alla fine del romanzo precisa che è da escludere
una sua partecipazione ai fatti narrati. Personalmente credo che
invece, sia pure un po’ camuffata, ci sia la personalità
dell’autore in un’opera all’apparenza di poco
conto, ma che presenta più piani di lettura. Il desiderio di
evasione dalla quieta e monotona vita di paese verso la grande città
è un’aspirazione plausibile, come quella di lasciarsi
condurre per mano dal fato, con quella ineluttabilità degli
eventi che scandiscono la vita di ognuno di noi. Inoltre c’è
anche l’impossibilità di opporsi al proprio destino, con
il protagonista che è e resterà un provinciale, magari
con l’ebrezza di un salto in un mondo molto diverso dal suo, ma
con l’inevitabile ritorno alle proprie radici, dove condurre
un’esistenza senza scossoni, in un grigio che anziché
deprimere finisce con il confortare.
Quindi,
sotto un’apparenza dimessa si cela un’opera di notevole
livello, scritta in modo impeccabile e di facile e assai gradevole
lettura.
Piero
Chiara nacque
a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore
tra i più amati e popolari del dopoguerra, esordì
in narrativa piuttosto tardi, quasi cinquantenne, su
suggerimento di Vittorio Sereni, suo coetaneo, conterraneo e grande
amico, che lo invitò a scrivere una delle tante storie che
Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori,
1962), che segna il suo esordio vero e proprio, fino alla morte,
Chiara scrisse con eccezionale prolificità, inanellando un
successo dopo l'altro.
E’
stato autore particolarmente fecondo e fra le sue numerose
pubblicazioni figurano Il
piatto piange (1962), La
spartizione (1964), Il
balordo (1967), L’uovo
al cianuro e altre storie (1969), I
giovedì della signora Giulia (1970), Il
pretore di Cuvio (1973), La
stanza del Vescovo (1976), Il
vero Casanova (1977), Il cappotto di
Astrakan (1978), Una
spina nel cuore (1979), Vedrò
Singapore? (1981), Il
capostazione di Casalino e altri 15 racconti(1986).
Renzo
Montagnoli
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