Dialoghi
imperfetti – Patrizia Riscica – Biblioteca
dei Leoni – Pagg. 80 – ISBN 9788898613106
– Euro 10,00
La
scrittura poetica come dialogo ovvero – secondo l’etimologia
greca - pensiero che si fa parola rivolgendosi ad un ‘alter’,
che è insieme se stesso e di volta in volta l’essere
amato, la vita, la natura e infine la parola poetica, definita
dall’autrice “spazio senza tempo dove riposare
l’anima”, anche se, come afferma subito dopo, “non
dà pace l’imperfezione della poesia”. Questo
il senso del titolo della raccolta di Patrizia Riscica, “Dialoghi
imperfetti”, un originale susseguirsi di versi in forma di
colloquio radente, fascinoso ed impietoso insieme, lungo i contorni
esistenziali dell’autrice e dell’umanità, contorni
sospesi tra il desiderio di vivere pienamente e gli inganni delle
relazioni e del tempo.
Dialoghi
dunque ‘imperfetti’, minati dalla difficoltà di
stabilire un punto d’arrivo, dal rischio di perdersi in un
meandro di reciproche illusioni e incomprensioni, ma tuttavia
ostinatamente tesi a portare avanti uno scavo affidato alla parola,
al suo farsi lente e riflesso fotolessicale dei rovelli del vissuto
individuale e collettivo. L’autrice esplicita questa dicotomia
attraverso due diversi registri espressivi connotati da caratteri
grafici diversi, affidando al corsivo quello più razionale e
collettivo, all’altro quello più viscerale e
solipsistico. La scelta della modalità dialogica ribadisce il
diritto e rovescio del cuore e della mente, il tentativo imperfetto
ma necessario di ascoltare entrambe le parti, come un tutt’uno
scisso ma da ricomporre, ove possibile, in accordo.
Diviso
in sei sezioni, il libro della Riscica parte dai “Dialoghi
dell’amore”, il tema più antico e complesso: Lo
sai / la vita si inginocchia sull’amore / con un’infinita
preghiera / e con il capo chino / lo onora, / lui / l’incontro
prezioso, / il signore dell’anima / e del senso di ogni
pensiero”. La poetessa delinea la parabola di una vicenda
amorosa che, da sentimento profondo vissuto visceralmente, anche
nella lontananza come “memoria della pelle”,
va lentamente attenuandosi per l’egoismo maschile, che non
asseconda l’intensità psicofisica femminile. Così
dallo “sconcerto d’amore” nella gioiosa
attesa dell’incontro (Il tuo arrivo è una certezza /
che fa capriole dentro il mio cuore”, dialogo
n. 4), si arriva a “cocci di relazione” e alla
dolente presa di coscienza del distacco, della perdita da accettare
nel silenzio, nel quasi straniamento da sé:
...Il
tuo corpo non più qui / sopra, dentro il mio. / Accolgo con
dolore questo assoluto silenzio. Eppure la vita cammina indifferente.
/ ...La gente mi guarda, mi vede, mi tocca, / potrebbe perfino
pensare che io sia ancora viva. / Non vede il mio cuore staccato a
morsi / e gettato lungo l’argine della solitudine”
(dialogo n. 15).
La
parabola dell’universo femminile si amplia e assume contorni
più universali nel successivo “Dialoghi delle donne”.
Qui l’autrice ben delinea la fisionomia della donna attuale
sospesa tra passato e futuro, consapevole del suo “disorientamento”,
ma anche della nuova strada da percorrere. Appaiono nel dialogo n. 4
i mille volti, epiteti e stereotipi della figura femminile, “donna
caleidoscopio”, “artista-trasformista
della vita”, ‘mater’ degli altri e
anche a se stessa, capace di gestire da sempre una pluralità
di ruoli con “mani piene di forza”. Una
donna che a volte vorrebbe fuggire da questa “fatica di
esistere” e aspira ad un sostegno più maturo e
affidabile da chi le sta vicino fino a sognare (dialogo n. 11) un
“principe azzurro” che non possieda e ingoi “in
un solo e avido boccone” il suo corpo per poi
abbandonarlo nel prato della vita.
Chiude
la sezione l’intenso Dialogo della sorellanza, a
nostro giudizio una delle più risolte composizioni di tutto il
libro: qui la voce poetante si stacca nettamente dalla dimensione
individuale per cantare in prima plurale un coro, ben scandito
ritmicamente, della “sapienza femminile” .
...Il
nostro corpo è uno scrigno / colmo di tesori da donare o
depredare. / Il nostro odore profuma l’aria: un’attrazione
irresistibile / una traccia sicura da inseguire / ...La Natura nutre
il nostro esistere. / Siamo rifugio, protezione, forza. / Siamo
cavità che genera e consola. / Siamo amazzoni combattenti per
la vita / ...L’arte delle donne è la cura. / Il loro
orgoglio è saperla offrire / ...Le lacrime delle donne
scorrono ovunque, / silenziose trascinano via rabbia e prepotenza. /
Donne forti, risolute, scaltre... / Magicamente strette nel cerchio
della sorellanza, / solo così saranno salve.
Il
colloquio di fronte alle battaglie e alle prove impreviste della vita
si approfondisce nella terza sezione, “Dialoghi della vita”,
in cui fin dall’incipit si fa strada una amara consapevolezza e
quasi rassegnazione: “La vita va percorsa / come si
svela e / questo l’anima lo sa. La vita è disonesta”.
L’autrice si confronta nei vari dialoghi con alcune della
parole chiave della vita: cammino, meditazione, corpo, morte,
memoria, felicità, tanto che le parole stesse divengono
“pesanti e vischiose”, “un sacco colmo di
già detto”, uno zaino che vorremmo gettare. Eppure
la sezione è percorsa anche da una ricerca di speranza e si
chiude con un ritrovato coraggio: “Respiro dentro la mia
anima. / Non ho paura di nulla. / Non ho paura del nulla.”
Forse
da questa spinta interiore ad abbandonarsi ai ritmi e vortici del
vivere nasce la quarta sezione, “Dialoghi del mare”, in
cui l’elemento acqueo diviene metafora della sorte umana,
“navigazione a vista” oscillante tra le
“inaccessibili voragini” e i mille mutamenti della
superficie marina. Perdersi nel mare è viaggio nel buio
ovattato dell’io, ricerca, sebbene inutile, di oblio dai
rovelli terreni e l’acqua del mare diviene “conforto
di pianto”, “vestito di cielo”, “scialle
di vento” ed infine spinta verso la rinascita dell’anima
che nel dialogo finale è “nuvola bianca “
che vola sulla distesa marina. E’ come se Patrizia Riscica
cercasse di compiere, nello snodarsi dei pensieri in versi, un ideale
‘itinerarium’ di maturazione e purificazione per giungere
all’essenza dell’esistere, oltre gli inquietanti
interrogativi, oltre le “rive illusorie”, oltre i
sogni accarezzati invano, come testimonia il ripetersi anaforico dei
versi “La vita è altro /...il resto è sogno”.
L’approdo
è trovato forse nell’ultima sezione, “Dialogo con
la poesia”, nell’acquisito e riconosciuto valore della
parola poetica, “parole antiche / uscite dal ventre
contratto / da spasimi di consapevolezza”, parole che
diventano lo strumento supremo per “schivare blocchi di
banalità” e riconoscere la vita e l’amore :
“Ecco allora la poesia, / esperta in giocoleria, farsi
strada / a gomitate e spintoni / tra la folla dei pensieri... /
Eccola arrivare in prima fila e / lanciare a tutti l’illusione
/ di uno spettacolo interminabile...I n quell’attimo la vita si
svela / e la poesia non tradisce più”(p.69).
Sul
piano stilistico la scrittura della Riscica si caratterizza per un
andamento quasi prosastico, che scaturisce dall’insistita
autoanalisi e ansiosa ricerca di certezze. Così lo stesso io
poetante si sdoppia e alterna nell’uso delle persone e dei
ritmi espressivi, ora incalzanti, interrogativi, enumerativi, e un
verso dopo riflessivi, pacati, quasi sapienziali. Il registro
lessicale è vario, con termini anche non aulici, denso di
immagini originali spesso legate alla fisicità, a ribadire il
fondo autentico di vissuto da cui i versi emergono come sassi appena
limati dal mare, ancora porosi e odorosi di salsedine. La sua è
una poesia che giustamente Paolo Ruffilli definisce,
nella Prefazione, “antielegiaca”, un poetare
che predilige il tratto radente, senza toni consolatori, ma che
avvincono per la loro empatia, per il tono sospeso tra accoramento e
asprezza. Una scrittura che si presta anche – come dovrebbe
essere per tutta la vera poesia – ad essere messa in scena
davanti ad un pubblico, tanto più in questo caso trattandosi
di struttura dialogica e quindi già preteatrale.
Se
dunque la poesia, sempre seguendone l’ellenica etimo, è
‘azione creativa in parole, ‘epos’ e ‘pathos’
che si fanno ‘logos’, Dialoghi imperfetti si
può definire il racconto cifrato di una
“amazzone combattente per la vita”, come suggerisce il
disegno in copertina.
Patrizia
Fazzi
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