Monologo
dell’angelo caduto
di
Giuseppe Carlo Airaghi
Fara
Editore
Poesia
Pagg.
56
ISBN
978-88-9293-099-5
Prezzo
Euro 7,50
Angeli
e poeti
Sono
sicuro che Giuseppe Carlo Airaghi abbia tratto l’ispirazione
per questo suo Monologo dell’angelo caduto dal
film di Win Wenders Il cielo sopra Berlino, in cui Damiel e
Cassiel, due angeli invisibili a tutti, si aggirano per la capitale
tedesca fino a quando il primo vede una trapezista e, poiché
se ne innamora, si fa uomo e quindi mortale. Infatti non è un
caso che l’io, più che narrante poetante, si chiami
Damiel ed è pure lui un angelo che si innamora; troppe
coincidenze che finiscono con dare credito alla mia ipotesi, peraltro
avvalorata da quattro righe di introduzione e da successive
illuminanti tracce. Tuttavia il richiamo al film non va oltre, perché
l’opera in versi ha una sua autonomia che ne determina
l’unicità. E’ poi particolarmente interessante il
modo con cui l’autore si cala nei panni dell’angelo, per
cui verrebbe da dire che per scrivere quest’opera da uomo si è
fatto angelo (Ho barattato una immutata eternità // per la
sete di un bacio ricambiato, / per un bicchiere di vino, per la curva
/ irripetibile di un collo di donna, // per pisciare sui cumuli di
neve, / per imprimere la mia presenza, /Il mio segno tangibile nel
mondo ). Se il modo interessa, il contenuto invece stupisce,
perché questa creatura alata, caduta sulla terra e quindi
fattasi mortale, mantiene ancora il privilegio di una visione
celestiale di tutto ciò che incontra (Precipitato da una
distanza di cielo / per accarezzare la curva che scende / tra il suo
collo e la spalla. // Per capire cosa fosse la pelle / ho rinunciato
al tempo eterno, / sono sceso a baciare la terra. // Da un bianco e
nero manicheo / a una incredulità di colori / ancora tutti da
nominare.// Ho risalito il fiume, raggiunto / la riva opposta per
esprimere / finalmente un giudizio sul mondo. ). Fra l’altro
questo straordinario protagonista rivela una simpatia del tutto
particolare, vittima dei limiti dell’essere mortale, ma ancora
capace di vedere oltre quelle nude immagini che si fissano nei suoi
occhi (Non esiste solitudine senza eco. / Ovunque ci accompagna il
rimorso / del passato oppure il rimpianto // che non dà meno
dolore, il rombo / di un temporale lontano, un vento / che non
sgombra il cielo in allarme. // Le sere d’inverno duravano
anni, / troppo vaste per poterle varcare / senza pagarne il prezzo
per intero. // Di molte sono stato spettatore. / Il tramonto era un
sipario calato / sopra una recita senza finale. // Come spesso accade
qualcuno balla / e qualcuno addossato alla parete / fissa un punto
cieco nella stanza. // Con il bicchiere vuoto tra le mani. / La
conversazione langue. Le cose / da dire hanno scarsa importanza. //
Abbandonare la stanza è un’opzione / non contemplata
dalle buone maniere. / A me parve non restasse altra scelta. ).
A
un certo punto, e non credo di esagerare, mi si è accesa una
lampada, ho avuto, quel che si usa dire, un’illuminazione, e
cioè se Airaghi per scrivere si è fatto angelo,
quell’angelo che per amore si è fatto uomo, sono
diventati entrambi un’entità sola, e allora come è
possibile questa tramutazione? A ogni domanda c’è quasi
sempre risposta, come anche in questo caso, perché sono più
che convinto che sia la creatività del poeta che conduce a
quell’estasi che è propria di un essere fuori dalla
materialità delle cose, tanto elevata da sembrare
irraggiungibile, eppure a portata di mano, purché si riesca a
entrare in sintonia. In fin dei conti, chi scrive versi va oltre la
modesta realtà di ogni giorno, cerca di sublimarsi nella
ricerca, spesso inconscia, dell’Assoluto.
Questo
Monologo
dell’angelo caduto
è ben diverso dalla silloge precedente Quello
che ancora restava da dire,
ma non è una differenza di valore, perché entrambe le
opere sono senz’altro di eccellente qualità; secondo il
mio giudizio si tratta invece della ricerca di un nuovo percorso
espressivo che possa andar oltre i limiti naturali di una
esternazione del proprio “Io” (Pensavi
il tempo fosse una retta / chiusa tra un inizio e una fine. / Il
tempo non va da nessuna parte, // non si arresta. Il presente è
un punto / in continuo movimento, effimero / e immenso. Porta con sé
l’universo. // Tutte le vite precedenti trovano posto / nel
susseguirsi infinito dei secoli, / perse nelle omissioni della
Storia.
).
Da
leggere, indubbiamente.
Giuseppe
Carlo Airaghi
è
nato a Legnano (MI) nel 1966. Vive a Lainate. È impiegato
presso un’azienda di servizi. Ha lavorato come geometra,
animatore nei villaggi turistici, venditore di prodotti siderurgici,
cantante di musica blues. Ha pubblicato le raccolte di poesia I
quaderni dell’aspettativa (Italicpequod), Quello
che ancora restava da dire (Fara
Editore), La
somma imperfetta delle parti (Giuliano
Ladolfi Editore) e il romanzo I
sorrisi fraintesi dei ballerini (Fara
Editore).
Renzo
Montagnoli
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