Il
giardino dei cosacchi – Jan Brokken –
Iperborea – Pagg. 420 – ISBN 9788870914719
– Euro 18,50
Due
vite
Calatosi
nei panni di Alexander Igorovic von Wrangel zu Ludenhof , barone
russo di origini baltiche, del quale ha letto e studiato memorie
scritte e corrispondenza, Jan Brokken ha potuto creare un romanzo dal
puro sapore biografico che ci permette di approfondire la conoscenza
dell’esilio siberiano di Dostoevskij assaporando anche la
storia di un’amicizia e l’atmosfera dei tempi che videro,
con l’avvicendarsi degli zar Nicola I e Alessandro II, una
progressiva politica di liberalizzazione destinata come sappiamo a
vita breve.
È
molto interessante incrociare il destino di questi giovani uomini, il
barone in realtà giovanissimo, con gli assi non solo della
loro personale biografia ma anche del tessuto sociale, politico,
economico del grande impero, con il suo apparato burocratico, con le
sue condanne a morte, con le detenzioni nella sterminata landa
siberiana, terra di custodia dei facinorosi e di tutta la peggior
delinquenza e al tempo stesso trampolino di lancio per la conquista
di nuove terre prossimali. Sono gli anni dei moti che scuotono
l’Europa e poi quelli della guerra di Crimea tesa a mantenere
salde le postazioni limitanee nel sud est dell’impero, quelle
prossimali alla Turchia. 1861: Moldavia e Valacchia indipendenti,
Italia unita.
F.M.
Dostoevskij è ai lavori forzati dopo aver visto in faccia la
morte durante un’esecuzione che viene tramutata solo davanti al
plotone di esecuzione in altra condanna: la vita è salva ma
l’individuo è annientato dalla nuova esperienza che si
dilata oltremisura senza preciso limite temporale alla sua fine. In
questa atmosfera sospesa, nelle terre siberiane, entra in contatto
con il giovane barone che è lì per amministrare la
giustizia per conto dell’impero. I due stringono un’affettuosa
amicizia che vede come epicentro confidenziale il giardino dei
cosacchi, la terra che circonda la dacia dove il barone ama
rifugiarsi in estate .
La
prima parte della narrazione è avvincente, il barone è
infatti in piazza il giorno dell’esecuzione, è
profondamente colpito dalla ferocia della grazia concessa in
extremis, lo scrittore sarà d’ora in poi per lui un
umiliato, in offeso, un risorto. Progressivamente, narrato il suo
arrivo in Siberia, si viene a conoscere il piccolo mondo delle
relazioni a cui lui deve soggiacere e lo spiraglio umano di cui gode
nell’intrattenersi con lo scrittore dal quale, in molti,
cercano di allontanarlo temendone le velleità rivoluzionarie.
Approfondita la conoscenza, i due si scambiano i tormenti d’amore
per due donne sposate di cui si sono innamorati: Marija per
Dostoevskij e Katia per il barone. Emergono le tensioni non solo
amorose ma anche quelle letterarie e continui sono i riferimenti alla
precarietà economica, a quella lavorativa e perfino a quella
della salute. Dostoevskij lavora alla “Memorie dalla casa dei
morti”, è sicuro che la fama legata al successo di
“Povera gente” sia tutta da riguadagnare e che i suoi
scritti, una volta tornato alla società civile saranno
osteggiati dalla censura. È un uomo assorto nella riflessione
sulla colpa, sulla pena, sul castigo, assorbe i racconti che derivano
dalle esperienze lavorative dell’amico, si nutre di follia e di
violenza cieca. Lavora insomma a riempire il serbatoio della sua
creatività futura, quella che gli permise di tenere testa ai
contratti capestro. Superata una fase centrale della narrazione nella
quale protagonista assoluto è il barone, la lettura decolla di
nuovo con il matrimonio con Marija, con la narrazione della
difficilissima convivenza matrimoniale a causa dell’insorgere
dirompente dell’epilessia e con i lutti che iniziano a
funestare la sua vita. Le strade dei due amici intanto si sono
separate, l’amicizia sfuma in una finale e languida stretta di
mano durante un incontro fortuito a distanza di anni e segna il
bilancio di una breve parentesi di fratellanza necessaria a tutti gli
uomini anche se non perpetua.
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