La
giornata d’uno scrutatore – Italo Calvino –
Mondadori - Pagg. 140 – ISBN 9788804667889
– Euro 12,00
Onestà
intellettuale
In
una giornata piovosa del 1953, Amerigo Ormea, iscritto a un partito
di sinistra, si reca al seggio elettorale istituito presso il
Cottolengo, le strade torinesi non gli sono familiari in quel
quartiere, e alle cinque del mattino rimugina sul fatto che neanche
la pioggia sarà un deterrente in uno Stato dove
“l'organizzazione per far votare tutti funzionava sempre”,
soprattutto nell’anno della “legge truffa”, quella
che avrebbe concesso i due terzi dei seggi alla coalizione che avesse
guadagnato il 50% +1 dei voti.
Quella
legge che i partiti all’opposizione sapevano essere una trovata
di De Gasperi volta a garantire il perfetto centrismo contro le
minacce della destra e della sinistra. La Dc subì insieme a i
partiti di centro una pesante sconfitta, si susseguirono i governi
Pella e Scelba mentre Fanfani successe a De Gasperi alla guida della
segreteria politica della Dc.
Amerigo
non è però un politico, né un attivista, gli è
stato chiesto di dare una mano e lui si avvia presso il grande
istituto religioso a controllare la regolarità delle
operazioni di voto, la sua unica preoccupazione sembra addirittura
essere quella di avere le scarpe bagnate e di doverle tenere ai piedi
tutto il giorno. È un uomo mite, un piccolo uomo, un
divertente rovesciamento, oserei direi, del comunista impegnato. Nei
panni del piccolo uomo qual è, è dunque schiacciato
dalle preoccupazioni spicciole di un mondo conosciuto e dal quale non
sia aspetta niente, mentre vive con ansia il dover trascorrere la
giornata “al di là delle frontiere del suo mondo”.
Sarà nella culla dei “cutu”, di quelli che
internati il mondo civile dimentica, lui comunista tiepido, non al
passo con i tempi, ma pur sempre ottimista anche se disincantato
rispetto alle logiche di potere. Lì ad osservare la mesta
macchina democratica dopo i fasti fascisti, in una sezione elettorale
squallida e grigia come quelle del resto d’Italia. Lui, un
rappresentate semmai “d'una religione laica di dovere civile”.
Un civis? Un portatore di civiltà? O un nostalgico credulone
di una rinnovata democrazia? Quella senza l’apparato
burocratico, quella che si serve dell’uomo, del civis appunto.
La giornata lentamente trascorre tra le adempienze tipiche del
seggio, schede, incrocio dei dati, conferma di identità e
accoglienza. Qui tutti votano: idioti, deformi, è
l’uguaglianza dei diritti civili fatta carne per volere della
Chiesa, ora giustamente ripagata del suo umanesimo. Il compito di
Amerigo è quello di frapporsi all’estensione
generalizzata del diritto di voto a esclusivo vantaggio di una parte,
ma rimpiange di aver ceduto il suo tempo al dovere civile, avrebbe
potuto benissimo trascorrere la domenica con Lia, la bellezza
richiamata alla mente dopo una sovraesposizione al brutto del mondo.
“La sua battaglia legalitaria contro le irregolarità e i
brogli non era ancora cominciata e già tutta quella miseria
gli era calata addosso come una valanga”. Lui è un
comunista tiepido, lo abbiamo già detto, il suo dubbio
ideologico si sposa con il suo avvertirsi uomo: “Non sapeva
cosa avrebbe voluto: capiva solo quant'era distante, lui come tutti,
dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere”. Il
Cottolengo con la galleria dei casi umani lo ridimensiona più
di quanto già non lo fosse entrandoci al mattino presto. I
dubbi esistenziali lo accompagnano per tutto il tempo, la riflessione
unisce il fisico al metafisico, ad annullare politica, progresso e
storia, ad annullare le differenze, a rimarcare la vanità del
tutto. La vanità della storia. A ciò si aggiunge la
riflessione sul suo rapporto con Lia della quale non conosce nemmeno
l’orientamento politico e che non si cura certo di avvicinare
al partito, a lui non tange la propaganda e il proselitismo. Lia gli
rivela di essere in attesa proprio durante la pausa della sua
giornata da scrutatore, quando tornato a casa si è rifugiato
nelle sue certezze, e ciò ha per lui dello sconvolgente perché
è fermamente convinto che lui non possa in prima persona
addossarsi la colpa di procreare, quella stessa colpa che critica e
che, secondo le sue teorie, sta alla base della deriva umana verso
l’imperfezione e il male del mondo. Le suggerisce l’aborto
mentre lei rivendica il suo diritto al controllo del proprio corpo.
Il pomeriggio lo riporta al contatto con la realtà, con la
sofferenza, con la pietà umana e perfino con l’amore, le
sue riflessioni acquistano finalmente un equilibrio etico e morale,
un opportuno allargamento di orizzonte. Onestà intellettuale.
Adoro Calvino.
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