Cosa
si mangiava
di
Renzo Montagnoli
Può
sembrare superfluo, se non inutile, parlare di cosa si mangiava, e
invece è importante, perché l´alimentazione dell´epoca (quella
fino agli ultimi anni cinquanta) era assai diversa dall´attuale
come varietà, quantità e qualità.
Il
tenore di vita degli italiani era molto modesto, tanto che un povero
di oggi una settantina di anni fa sarebbe parso una persona abbiente.
In famiglia,mio padre percepiva come impiegato circa trentamila lire
al mese e mia mamma lavorava come magliaia, ma c´era da fare i
salti mortali per arrivare a fine mese senza indebitarci con il
droghiere. Quello che entrava in cassa era speso per la maggior parte
in generi alimentari, ma senza che ci fosse da abbondare. La carne si
vedeva raramente, a mezzogiorno una pastasciutta o un minestrone di
verdure, una fetta di pane e un frutto, ma quest´ultimo non sempre,
anche se per me era sempre presente. La sera o caffè latte con pane
biscottato, oppure un uovo all´occhio di bue con l´insalata. La
domenica c´era quasi sempre un extra, cioè un pezzetto di
formaggio o un bollito di non particolare pregio. Da bere solo acqua,
perché il vino costava troppo, e per la colazione del mattino ci si
doveva accontentare di un caffè d´orzo con una fetta di pane.
Alimenti come arrosti, fritti misti di pesce, merende con pane, burro
e marmellata erano del tutto inconcepibili. La Nutella, che ancor
oggi piace tanto ai ragazzini e non solo a loro, non c´era ancora e
la cioccolata rappresentava per i più il regalo per la festa dei
bambini a Santa Lucia.
Poi,
per Natale, andavamo tutti a cena dalla nonna, che per l´occasione
preparava una quantità spropositata di tortelli con la zucca, di cui
ci si ingozzava, a tacitare i residui di fame maturati durante
l´anno.
Benché
ci sia da dire che questa scarsa alimentazione fosse genuina e non
contenesse conservanti, additivi, ecc, mantenendo naturalmente
inalterato il suo gusto, la sua modesta quantità non riusciva a far
alzare da tavola completamente sazi.
Certo,
per chi non ha potuto provare la differenza, perché nato dopo,
soprattutto i giovani di oggi non possono sapere quale sia il vero
gusto della frutta. Spiccata troppo presto, impregnata di sostanze
chimiche, ha un sapore che non è nemmeno lontanamente paragonabile
con quella di una settantina di anni fa.
Non
sono un nostalgico, anzi soffro mentre scrivo queste righe, pensando
ai sacrifici dei miei per crescermi e farmi studiare. Per me c´era
sempre il meglio, sul tavolo apparecchiato c´era una mela sola,
riservata a me, e ogni tanto nel piatto, solo il mio, c´era una
fettina di carne; per Santa Lucia trovavo la mattina un bel pezzo di
cioccolata, che i miei si limitavano ad assaggiare, dicendomi che era
buona, ma che non potevano mangiare - pietosa bugia - adducendo
infiammazioni varie.
Era
un periodo in cui la maggior parte degli italiani si era abituata a
stringere la cinghia; altri invece facevano grossi affari, insomma si
arricchivano, conducendo una vita certamente migliore, anche se tutto
sommato inferiore a quella della sempre più ridotta classe media
attuale.
Tanto
per dare un´idea di come la mia famiglia vivesse all´epoca, per
quanto mi ricordi, non si andava mai al ristorante e del resto questi
esercizi erano in misura molto ridotta, se raffrontata con quella
attuale.
Uno
potrebbe pensare che questa condizione di povertà - e indigenza,
peraltro generalizzata, mi sembra il termine più appropriato -
creasse malumori, liti familiari, e invece no, perché nonostante
tutto avevamo quella felicità che derivava dalla speranza di un
cambiamento, che infatti avvenne con la fine degli anni cinquanta e
di cui parlerò nell´apposito racconto.
Non
avevamo certezze che ci sarebbe potuto essere un miglioramento, né
potevamo sapere quando, ma la disperata volontà degli italiani di
uscire dalla guerra e dalla miseria del dopo guerra si leggeva negli
occhi di tutti, e questo costituiva la speranza, che poi divenne
certezza.
Da
C´era una volta