Come
si viaggiava
di
Renzo Montagnoli
Era
finita da poco la seconda guerra mondiale, che aveva comportato tanti
lutti e distruzioni. Il nostro paese era un panorama di rovine, di
case distrutte, di ponti abbattuti, di strade devastate, di linee
ferroviarie quasi inservibili; c´era tutto da ricostruire, ma
mancava il denaro, tanto che la maggior parte di quelli che avevano
un´occupazione facevano i salti mortali per arrivare alla fine del
mese, sovente mangiando poco e male. Mia nonna era rimasta vedova del
marito nel 1950 e dato che mio nonno non era ancora pensionato, anche
se gli mancava pochissimo per cessare l´attività lavorativa,
percepiva un acconto sul già modesto trattamento di quiescenza, del
tutto insufficiente anche per sopravvivere, tanto che dovevano
integrarlo i figli, che già se la passavano male. A mezzogiorno
mangiava una minestra di verdure e la sera un po´ di latte con pane
biscottato, un´alimentazione inadeguata, inferiore alla mia che già
abbondante non era. Per la maggior parte dei pensionati era così,
tanto che la loro condizione ispirò Vittorio De Sica che girò lo
stupendo Umberto D., un film che ebbe un successo inferiore
alle aspettative, come del resto il precedente Ladri di
biciclette, perché descriveva una realtà angosciante, il che
era vero, ma la maggior parte degli italiani non intendeva piangersi
addosso, anzi lavorava alacremente perché animata dalla speranza di
un miglioramento delle proprie condizioni.
In
questo quadro desolante c´era il problema degli spostamenti, per
fortuna molto pochi. Premetto che l´automobile era un privilegio e
come tale era per pochi; la gente si muoveva soprattutto a piedi per
le piccole distanze, in bicicletta - per quelli che potevano
permettersela - per quelle un po´ più lunghe e in corriera o in
treno per i percorsi più impegnativi. All´epoca quindi in strada
c´erano soprattutto biciclette, spesso molto datate, senza le marce
che oggi non possono mancare sui velocipedi ed era tutto un trillare
di campanelli.
In
treno, tranne per la prima classe, si viaggiava su vagoni con panche
di legno, da cui ci si alzava con le ossa doloranti già solo dopo
un´ora di viaggio, ma altro non c´era se si voleva andare
lontano, e mi ricordo uno di questi viaggi, da Mantova a Spoleto, a
trovare una prozia. Se la memoria non m´inganna (ero molto piccolo,
all´incirca due anni), siamo partiti all´alba (eravamo io e la
mamma) e siamo arrivati alla sera tardi, quasi quindici ore per
percorrere all´incirca 500 chilometri, ed eravamo già fortunati,
perché erano appena stati rifatti i ponti distrutti e risistemati i
binari divelti; se non fossero stati avviati e in parte completati
questi indispensabili lavori, in precedenza si si sarebbero sapute la
data e l´ora della partenza, ma sarebbe stato impossibile avere la
certezza di quando si sarebbe arrivati e addirittura se si sarebbe
arrivati. Infatti erano numerose le interruzioni e non di rado i
passeggeri dovevano scendere e fare a piedi alcuni chilometri per
proseguire il viaggio con un altro convoglio. Data la mia età il
viaggio fu una scoperta affascinante, per esempio vedere attraverso
il finestrino i campi che sembravano correre, gli Appennini che mi
stupirono non avendo mai visto una montagna, e questo fra un sonno e
l´altro, perché quando si è così piccoli ci si addormenta più
facilmente, nonostante il disagio del sedile.
Per
i viaggi intermedi, diciamo fra i cento e i duecento chilometri,
c´erano le corriere, lente, scomode e puzzolenti per via dei gas
che il loro motore scaricava. Ne ho viste pochissime quando ero
piccino, anche perché tante non erano, e fino quasi alla fine degli
anni cinquanta sono state un mezzo di trasporto che ho utilizzato
poche volte; una di queste è stato quando avevo dieci anni e io e
la mamma abbiamo accompagnato in montagna una zia, che aveva figliato
da poco, con il neonato che, a detta del pediatra, necessitava di
aria leggera e sana. Questa però è un´altra storia, destinata a
una narrazione successiva. Per gli spostamenti in provincia, oltre ad
alcun linee di corriere, c´era il tram, così come per itinerari
cittadini - molto gettonate le destinazioni per l´ospedale e per il
cimitero - c´erano gli autobus e fino al 1953 ancora i tram.
Per
quanto ovvio, ove si poteva, ci si spostava a piedi o in bicicletta,
perché l´autobus e il tram costavano, ma era immancabile
ricorrervi in alcune occasioni, fra le quali certa era la
Commemorazione dei defunti, con mezzi affollati all´inverosimile
l´1 e il 2 novembre, giornate dal clima generalmente ben poco
gradevole, in cui era già tanto se non pioveva, ma in tal caso c´era
una fitta nebbia che entrava perfino nelle ossa.
I
mezzi partivano da Corso Vittorio Emanuele, più o meno davanti al
negozio di fiori che c´è ancora e che per questo era in posizione
strategica sapientemente sfruttata, poiché in quella ricorrenza
traboccava di crisantemi.
Non
sto a dire la moltitudine in attesa, una vera e propria folla
oceanica, che quando aprivano le porte dell´autobus e del tram si
precipitava a salire, sgomitando, pigiando quelli che c´erano già,
con pochissimi fortunati che avevano trovato da sedere. Una volta sul
mezzo c´era da pagare il biglietto e il bigliettaio stava
rannicchiato su una una poltroncina proprio dove finivano i gradini
per la salita dei passeggeri e davanti a sé aveva una lista di legno
con sopra quattro o cinque blocchetti di biglietti di diverso
colore, a seconda che si dovesse andare solo al cimitero o più
avanti al Santuario delle Grazie. Per quanto ovvio a ogni colore
corrispondeva un prezzo diverso. Già fare il biglietto era
un´impresa, ma era indispensabile riuscirvi perché i controlli
erano frequenti e le multe piuttosto salate.
Per
fortuna che al cimitero ci si arrivava abbastanza alla svelta, dopo
non più di due o tre fermate, perché si viaggiava pigiati come
sardine (più o meno come sulle metropolitane in Giappone, là con
del personale apposito che ha il compito di far stare più gente
possibile su ogni carrozza). Lì gli addetti non c´erano, ma
funzionava un atteggiamento autarchico, con il risultato che si
veniva letteralmente compressi. Le lamentele, le bestemmie erano
all´ordine del giorno, come il puzzo nauseante delle ascelle e di
qualche peto, non di rado sfuggito senza volontà a causa della
pressione sulle pareti intestinali. Quando si arrivava alla fermata
del cimitero tutti si precipitavano fuori e rifiatavano un po´
prima di avviarsi alle sepolture.
Questi
erano gli spostamenti e i mezzi per farli, per lo più impensabili ai
nostri giorni e quindi è tanto più necessario che chi non sa ne
venga a sapere.
Da
C´era
una volta