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  Racconti  »  C'era una volta  »  Come si viaggiava 26/09/2023
 

Come si viaggiava

di Renzo Montagnoli



Era finita da poco la seconda guerra mondiale, che aveva comportato tanti lutti e distruzioni. Il nostro paese era un panorama di rovine, di case distrutte, di ponti abbattuti, di strade devastate, di linee ferroviarie quasi inservibili; c´era tutto da ricostruire, ma mancava il denaro, tanto che la maggior parte di quelli che avevano un´occupazione facevano i salti mortali per arrivare alla fine del mese, sovente mangiando poco e male. Mia nonna era rimasta vedova del marito nel 1950 e dato che mio nonno non era ancora pensionato, anche se gli mancava pochissimo per cessare l´attività lavorativa, percepiva un acconto sul già modesto trattamento di quiescenza, del tutto insufficiente anche per sopravvivere, tanto che dovevano integrarlo i figli, che già se la passavano male. A mezzogiorno mangiava una minestra di verdure e la sera un po´ di latte con pane biscottato, un´alimentazione inadeguata, inferiore alla mia che già abbondante non era. Per la maggior parte dei pensionati era così, tanto che la loro condizione ispirò Vittorio De Sica che girò lo stupendo Umberto D., un film che ebbe un successo inferiore alle aspettative, come del resto il precedente Ladri di biciclette, perché descriveva una realtà angosciante, il che era vero, ma la maggior parte degli italiani non intendeva piangersi addosso, anzi lavorava alacremente perché animata dalla speranza di un miglioramento delle proprie condizioni.

In questo quadro desolante c´era il problema degli spostamenti, per fortuna molto pochi. Premetto che l´automobile era un privilegio e come tale era per pochi; la gente si muoveva soprattutto a piedi per le piccole distanze, in bicicletta - per quelli che potevano permettersela - per quelle un po´ più lunghe e in corriera o in treno per i percorsi più impegnativi. All´epoca quindi in strada c´erano soprattutto biciclette, spesso molto datate, senza le marce che oggi non possono mancare sui velocipedi ed era tutto un trillare di campanelli.

In treno, tranne per la prima classe, si viaggiava su vagoni con panche di legno, da cui ci si alzava con le ossa doloranti già solo dopo un´ora di viaggio, ma altro non c´era se si voleva andare lontano, e mi ricordo uno di questi viaggi, da Mantova a Spoleto, a trovare una prozia. Se la memoria non m´inganna (ero molto piccolo, all´incirca due anni), siamo partiti all´alba (eravamo io e la mamma) e siamo arrivati alla sera tardi, quasi quindici ore per percorrere all´incirca 500 chilometri, ed eravamo già fortunati, perché erano appena stati rifatti i ponti distrutti e risistemati i binari divelti; se non fossero stati avviati e in parte completati questi indispensabili lavori, in precedenza si si sarebbero sapute la data e l´ora della partenza, ma sarebbe stato impossibile avere la certezza di quando si sarebbe arrivati e addirittura se si sarebbe arrivati. Infatti erano numerose le interruzioni e non di rado i passeggeri dovevano scendere e fare a piedi alcuni chilometri per proseguire il viaggio con un altro convoglio. Data la mia età il viaggio fu una scoperta affascinante, per esempio vedere attraverso il finestrino i campi che sembravano correre, gli Appennini che mi stupirono non avendo mai visto una montagna, e questo fra un sonno e l´altro, perché quando si è così piccoli ci si addormenta più facilmente, nonostante il disagio del sedile.

Per i viaggi intermedi, diciamo fra i cento e i duecento chilometri, c´erano le corriere, lente, scomode e puzzolenti per via dei gas che il loro motore scaricava. Ne ho viste pochissime quando ero piccino, anche perché tante non erano, e fino quasi alla fine degli anni cinquanta sono state un mezzo di trasporto che ho utilizzato poche volte; una di queste è stato quando avevo dieci anni e io e la mamma abbiamo accompagnato in montagna una zia, che aveva figliato da poco, con il neonato che, a detta del pediatra, necessitava di aria leggera e sana. Questa però è un´altra storia, destinata a una narrazione successiva. Per gli spostamenti in provincia, oltre ad alcun linee di corriere, c´era il tram, così come per itinerari cittadini - molto gettonate le destinazioni per l´ospedale e per il cimitero - c´erano gli autobus e fino al 1953 ancora i tram.

Per quanto ovvio, ove si poteva, ci si spostava a piedi o in bicicletta, perché l´autobus e il tram costavano, ma era immancabile ricorrervi in alcune occasioni, fra le quali certa era la Commemorazione dei defunti, con mezzi affollati all´inverosimile l´1 e il 2 novembre, giornate dal clima generalmente ben poco gradevole, in cui era già tanto se non pioveva, ma in tal caso c´era una fitta nebbia che entrava perfino nelle ossa.

I mezzi partivano da Corso Vittorio Emanuele, più o meno davanti al negozio di fiori che c´è ancora e che per questo era in posizione strategica sapientemente sfruttata, poiché in quella ricorrenza traboccava di crisantemi.

Non sto a dire la moltitudine in attesa, una vera e propria folla oceanica, che quando aprivano le porte dell´autobus e del tram si precipitava a salire, sgomitando, pigiando quelli che c´erano già, con pochissimi fortunati che avevano trovato da sedere. Una volta sul mezzo c´era da pagare il biglietto e il bigliettaio stava rannicchiato su una una poltroncina proprio dove finivano i gradini per la salita dei passeggeri e davanti a sé aveva una lista di legno con sopra quattro o cinque blocchetti di biglietti di diverso colore, a seconda che si dovesse andare solo al cimitero o più avanti al Santuario delle Grazie. Per quanto ovvio a ogni colore corrispondeva un prezzo diverso. Già fare il biglietto era un´impresa, ma era indispensabile riuscirvi perché i controlli erano frequenti e le multe piuttosto salate.

Per fortuna che al cimitero ci si arrivava abbastanza alla svelta, dopo non più di due o tre fermate, perché si viaggiava pigiati come sardine (più o meno come sulle metropolitane in Giappone, là con del personale apposito che ha il compito di far stare più gente possibile su ogni carrozza). Lì gli addetti non c´erano, ma funzionava un atteggiamento autarchico, con il risultato che si veniva letteralmente compressi. Le lamentele, le bestemmie erano all´ordine del giorno, come il puzzo nauseante delle ascelle e di qualche peto, non di rado sfuggito senza volontà a causa della pressione sulle pareti intestinali. Quando si arrivava alla fermata del cimitero tutti si precipitavano fuori e rifiatavano un po´ prima di avviarsi alle sepolture.

Questi erano gli spostamenti e i mezzi per farli, per lo più impensabili ai nostri giorni e quindi è tanto più necessario che chi non sa ne venga a sapere.


Da C´era una volta



 
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