Conosco Ferdinando Camon da un po' di tempo, una conoscenza virtuale, visto
che non ci siamo mai trovati uno di fronte all'altro, ma ci siamo scambiate
opinioni o via mail o al telefono. In verità ciò che conosco di lui è dalle sue
opere, dai suoi romanzi e anche dalle sue poesie. Conoscere un autore, però,
non vuol dire necessariamente avere un suo preciso quadro letterario, perché a
volte nei suoi scritti può mascherare, anche se questo non è il caso di Camon. Pur tuttavia, ogni volta che leggo qualcosa di suo
mi sembra una sorpresa, perché, pur essendo una memoria di certi valori che ora
sembrano spariti, ha dei guizzi di giovanile ribellione, una sorta di indomito
spirito rivoluzionario che anche oggi ogni tanto riaffiora. Certo appare stemperato
dall'età, da quella prudenza che è frutto di esperienza, ma è certo che quel
che ha da dire lo dice e nella poesia che segue lo si trova alla fine, preparato
di modo che il lettore non lo preveda e il risultato non è di quelli che
passano inosservati, anche perché arriva precisp e
tagliente come una rasoiata.
La medaglia di bronzo
di Ferdinando Camon
È strano, la
mia razza,
che per il suo
interesse
non ha mai
fatto sciopero,
non è mai scesa
in piazza,
ha una medaglia
di bronzo,
appesa alla
fotografia
del nonno che
ci guarda
con la faccia
di bonzo.
Nel ‘17, al
confine,
per un mese
aspettò
ciò che non
venne:
il nemico, la
fine.
Ma è chiaro, lo
so:
questi uomini,
senza
istruzione,
senza
diritti, senza
scampo, sono
coraggiosi
perché dominati
da un'antica
psicosi:
l'obbedienza.
Da Dal silenzio delle campagne (Garzanti, 2014)
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