Il Natale del 1929
di Renzo Montagnoli
Quando si avvicina il Natale si
avverte nell'aria una sensazione di festa, nonostante il consumismo e la
società attuale abbiamo relegato questi giorni a una fiera dell'apparenza, dove
fra tante luci, cibarie e regali l'unica cosa che manca, ed è la più
importante, è quello stato d'animo che apre il cuore a un sentimento di
pace.
E' ormai tanto tempo che questa
ricorrenza ha perso le sue caratteristiche religiose e spirituali che la rendono
unica e così era già nel 1995. Ricordo giornate fredde, ma con il sole e una
spruzzata di neve che imbiancava tutta la campagna. Non rammento se fosse la
mattina della vigilia o il giorno prima quando andai a far visita al Guercio
per porgergli gli auguri e donargli un piccolo presente, un panettone comprato
al supermercato.
Tutto il resto invece è ben impresso
nella mente, almeno nelle sue linee generali, una caratteristica tipica di uno
che inizia ad avvertire i segni dell'età che avanza.
._._._
La porta di casa era accostata, così
che, mentre bussavo, entrai e trovai il mio caro amico seduto in poltrona,
intento a leggere il quotidiano locale. Ci fu uno scambio di convenevoli,
compresi gli auguri, con il Guercio che si schermì per il piccolo omaggio e che
mi fece sedere.
- Parliamo un po', visto che non ci si vede
spesso.
- Fai pure, parliamo di quel che
vuoi.
- Vedi, è proprio dei vecchi
dimenticare i fatti del giorno prima e ricordare quelli accaduti
tanto tempo fa. Come ti ho visto entrare, la memoria è tornata su un
Natale del 1929. Pensa che allora avevo nove anni, ma
è come se il fatto che ti racconterò fosse accaduto ieri.
Ripose il giornale e si fece assorto,
come se la sua mente cominciasse a leggere quello che stava per dirmi.
- Oggi questa festa ha perso tutto il
suo sapore, è diventata ostentazione e nient'altro, ma ai miei tempi era
completamente diverso e anche chi non era religioso viveva questi giorni in uno
stato di emozione.
All'epoca poi c'era un motivo in più
per attendere il Natale con trepidazione. Non è che in casa ci fosse molto da
mangiare, ma in quel giorno si facevano miracoli per preparare un pranzo quasi
da re.
Scusa se ti tedio, ma sono
divagazioni che si sovrappongono al ricordo principale ed escono così senza che
possa frenarle.
- Non preoccuparti, poi sono sempre
osservazioni interessanti.
- Dici davvero?
- Certamente.
- Va bene, allora, posso cominciare,
sperando che le mie divagazioni se ne stiano quiete dentro alla mia testa.
Era la vigilia, in un inverno freddo
e con tanta, ma tanta neve. In strada, benché spalata, ce
n'era ancora, perché la vedevo mentre scendeva, in un turbinio di vento.
Erano fiocchi piccoli, ma tenaci e che giunti a terra
si attaccavano l'uno all'altro, così che la coltre cresceva ed era inutile
pensare di toglierla fino a quando non si era fermata, perché sarebbe stata una
fatica inutile.
Me ne stavo a guardarla dietro la
finestra, per fortuna al caldo, perché nella stufa ardevano dei bei pezzi di
legno stagionato, che bruciava sfrigolando e ogni tanto anche con degli
scoppiettii, come volesse ricordare a me che lui stava facendo il suo dovere.
Ecco, vedi che sto divagando
nuovamente.
- Non preoccuparti, continua.
- Già immaginavo i regali che avrei
trovato la mattina, poche cose e di poco conto in verità, ma era un pensiero
solo per me. Però quel Natale io aspettavo molto di più. Ci avevo pensato fin
da novembre e da allora era sempre stato nelle mie preghiere, tanto che a
scuola, dove ci avevano fatto scrivere la letterina a Gesù bambino, l'avevo
messo nero su bianco.
Non rammento esattamente le parole,
però il senso era questo: oltre a chiedere di mantenere in buona salute la
mamma, lo pregavo di farmi trovare quel papà che non avevo mai avuto.
Tutti gli altri avevano il papà, meno
io, e mi sembrava di essere un mostro, un paria, un essere inferiore. A volte
vedevo i miei compagni che all'uscita da scuola avevano degli uomini che li
attendevano, mentre io al massimo avevo la mamma.
Mi sentivo diverso, come incompleto,
e arrivavo perfino a desiderare gli scapaccioni di un padre di cui ogni tanto i
miei amichetti si lamentavano.
Come sarebbe stato bello prendere uno
schiaffo dal babbo, come sarebbe stato bello trovare in famiglia una voce maschile
che mi riprendeva, ma che sapeva anche rassicurarmi!
E invece no, io il papà non l'avevo,
e quindi potevo solo immaginare, perfino invidiare.
Se Gesù bambino c'era, perché non
avrebbe dovuto farmi una grazia del genere? Non chiedevo di avere più degli
altri, ma mi bastava come gli altri.
Ero tuttavia già abbastanza sveglio
da capire che Gesù ci può donare il suo amore, che è immenso, ma non qualche
cosa di materiale, perché quello è proprio degli uomini, e non di un Dio.
Però, ci speravo, mi illudevo, o
forse solo lo sognavo.
- E allora?
- Non avere fretta, perché mentre
racconto mi sembra di rivivere quel giorno, e poi sono vecchio e devo fare
tutto con calma.
- Va bene, non t'interromperò più.
- La giornata trascorse quieta, io al
massimo ero indaffarato a preparare il presepio, perché allora si usava così e
l'albero con le palline colorate nemmeno potevamo immaginarlo.
Avevo un po' di febbre, un malanno di
stagione, e perciò rimasi sempre in casa, tanto che non sarei andato nemmeno
alla più bella delle messe, quella di mezzanotte.
Arrivò la sera, io e la mamma
consumammo una cena frugale, di magro, perché tanto l'indomani ci saremmo
rifatti abbondantemente, e poi la trepidazione e forse anche la febbre non
erano compatibili con l'avere fame.
Andai così a letto presto, senza
riuscire a prendere subito sonno.
Ricordo che guardavo il buio, lo
fissavo e vedevo; in genere quando è buio non si vede niente, ma io riuscivo a
scorgere quello che c'era nel buio.
Apparivano e sparivano di colpo le
immagini dei miei compagni insieme al loro papà, sembrava quasi una parata,
interrotta ogni tanto dalla figura di mia madre, che non so dire se era una mia
fantasia o se era veramente lei che veniva a vedere come stavo.
Alla fine mi addormentai, credo, dico
credo perché quello che avvenne dopo non può essere spiegato razionalmente se
non come un sogno.
Una voce, maschile, prese a
chiamarmi. Mi diceva: Annibale, domani
sarò lì con te. E io gli rispondevo:- Ma
chi sei? E quello: - Non mi
riconosci? Sono il tuo papà.
E c'era un'immagine confusa di un
uomo alto, dalle spalle larghe, ma non vedevo altro che dei contorni.
-
Il giorno di Natale sarò con te. Sei contento?
-
Sì, ma perché non sei venuto prima e non stai con noi per sempre?
-
Perché io esisto solo così.
E' tutto quello che rammento, così
come ricordo la mamma che interruppe il mio sonno e mi invitò a scendere,
perché era Natale e giù c'era una grande sorpresa per me.
Ancora
addormentato, imboccai le scale, rischiando di ruzzolare giù,
ma mi aveva preso una frenesia, forse per effetto del sogno, e io dovevo andare
a vedere subito.
In cucina trovai Don Zeffirino e un pacchetto sul tavolo, e accanto al regalo
una lettera.
“Buon Natale, Annibale.”
“Buon Natale, Don Zeffirino.”
“Gesù bambino ha letto la tua lettera
e l'ha fatta avere al tuo papà. Ma dov'è lui non può venire e allora ha
risposto con uno scritto.”
Presi tremando la busta, l'aprii e
dentro c'era un foglio con poche righe e anche per questo le ricordo.
Caro
Annibale, mio adorato bambino.
Tu
non mi puoi vedere, ma io da qui ti guardo.
Il
tuo papà è sempre con te, in ogni momento, e anche se non ti stringe la mano,
perché non può, sappi che ti vuole tanto bene.
Buon
Natale, piccolo mio.
Il
tuo papà.
Sinceramente, la ragione mi diceva di
non credere, ma la passione, il sentimento prevalsero e così presi la lettera e
la strinsi forte sul mio cuore.
- E dopo, passato quel giorno?
- Mi convinsi che non era vero, che
la maestra aveva consegnato la mia letterina alla mamma e che lei ne aveva parlato
con Don Zeffirino. Quel povero prete di campagna
allora si era improvvisato papà, a fin di bene ovviamente, per regalarmi un
Natale diverso dagli altri.
- Poi hai scoperto chi era veramente
tuo padre e te ne sei anche vergognato.
- Sì, è vero ed è per questo che io
ancor oggi penso a quella lettera, scritta da un vero papà. Adesso forse
capisci anche perché, nonostante le incomprensioni di carattere politico, io
sono sempre stato affezionato a Don Zeffirino, che mi
ha sempre dimostrato, quando le circostanze lo richiedevano, di volermi bene
come un padre.
- Per te, comunque, la mancanza di un padre è stata
una privazione?
- Nella vita puoi rinunciare a tutto,
alla carriera, al lavoro, ma ai sentimenti no, perché sono quelli le uniche
cose che contano.
Io avuto tanto, ma mi mancherà sempre
la stretta di mano di un papà.
- Però, hai avuto l'affetto di tua mamma, dei tuoi figli, di tua moglie.
- Sì, sono stato ampiamente ripagato
di quanto non ho avuto, ma, se devo essere sincero, tutti i giorni, ma soprattutto
in una ricorrenza come questa mi manca tanto la Tilde.
- Purtroppo la vita è così: quello di cui
abbiamo gioito in passato poi sarà un inevitabile motivo di dolore.
- Hai ragione,
Renzo. Vedi, noi siamo come ombre nella nebbia e talora capita che un raggio di
luce ci illumini. Quando questo viene meno, ritorniamo l'ombra che eravamo e
non c'è ricordo che tenga che possa rischiarare la nostra vita.
Mi prese una mano, me la strinse con
calore e guardandomi negli occhi mi disse solo: -Tanti auguri, amico mio.
Lo lasciai che celava il volto dietro
il quotidiano per non mostrare le lacrime.
Fuori l'aria sembrava meno fredda;
guardai il cielo che si era ingrigito. Non feci in tempo a pensare che era un tempo da neve che
cominciarono a cadere i primi fiocchi.
Larghi, candidi volteggiavano lentamente fino a posarsi a terra quasi
con delicatezza. In fondo alla strada due zampognari iniziarono a suonare. Mi
volsi e scorsi il Guercio che mi guardava attraverso i vetri della finestra; se
ne accorse e alzò una mano per salutarmi, ma tornò subito a osservare la neve
che scendeva sempre più copiosa, proprio come in occasione del Natale del
1929.
(Da
Storie di paese – seconda serie)