La luce del tramonto
di Renzo Montagnoli
Il Guercio riuscì a riprendersi
dall'infarto che lo aveva colpito, così che dopo un mese di ospedale poté
ritornare al paese.
Quando lo vidi gli manifestai tutta la
mia gioia per trovarmelo davanti, in piedi, anche se visibilmente affaticato.
Non potei fare a meno di notare le spalle cadenti e lo sguardo quasi spento, ma
rispose con forza alla mia vigorosa stretta di mano, anche se l'impressione che
ricavai fu quella di uno che avvertiva la necessità di ricevere quel calore che
sempre era riuscito a trasmettere, ma che ora sembrava scomparso.
- Benvenuto fra noi. E ora ci si
potrà rivedere più spesso.
Come un bambino in castigo, mormorò:
- Sì, mi hanno rimesso in piedi, ma
mi hanno proibito di fumare, di bere, anche un solo bicchiere di vino, perfino di star
lontano dal bar, per via del fumo passivo.
- Non preoccuparti: ci troveremo in
piazza, a parlare sulla panchina.
- Sì, faremo così.
E se ne andò strascicando i piedi.
Ebbi, però, sempre meno occasioni di
incontrarlo, quasi che lui volesse sfuggirmi, rinchiudendosi in un bozzolo di
senile solitudine.
Da altri seppi così delle sue nuove
abitudini e del resto, conosciuto com'era e in un ambiente ristretto come quello
del paese, non poteva passare inosservato.
Ogni giorno, quando le giornate erano
di sole, quasi sempre nel pomeriggio andava a fare lunghe passeggiate lungo le
sponde del Po; di tanto in tanto sostava, specialmente quando trovava un
pescatore, e stava a lungo a osservarlo, senza dir nulla.
Guardava l'acqua, lo sguardo correva
lungo la lenza, poi ridiscendeva fino alla superficie increspata.
Non parlava, al massimo salutava, e
restava lì, a volte anche ore, a mordere un mezzo toscano spento, spento come
lui.
Un giorno, la vicina, alla quale i
figli del Guercio avevano dato l'incarico di vigilarlo con discrezione, lo vide
uscire con un cartoccio.
- Dov'è che va, Guercio?
- A passeggiare.
- E quella roba lì?
- Un po' di avanzi.
- Avanzi? Per chi?
- Per lui.
Poi affrettò il passo e si eclissò.
La stessa scena si ripeté il giorno
dopo e l'altro ancora; il Guercio sembrava cambiato, pareva aver ripreso vigore
e ovviamente di questo se ne accorsero tutti in paese, tanto che cominciarono a
fare congetture.
- Sta a vedere che ha trovato un
vagabondo.
- No, per me dice che sono avanzi, ma
lì dentro c'è un fiaschetto di vino e una scatola di toscani.
- E se invece che avanzi fosse la
merenda?
Erano discorsi fatti anche per passare
il tempo, ma la curiosità cresceva, perché in effetti
tutti notarono che era scomparsa l'apatia dei primi mesi e che, se non aveva il
piglio gagliardo di un tempo, comunque stava ritornando in piena forma.
Fu così che Armando, l'ex postino,
pensionato pure lui, si prese la briga di seguirlo.
La sera al bar il novello Tom Ponzi
raccontò tutto.
- Com'è uscito di casa, ha piegato a
sinistra, per la strada dei campi, e di passo buono…avreste dovuto vedere come
filava.
- Dai, lascia stare, dicci tutto.
- Ho detto così, perché facevo fatica
a stargli dietro.
- Ci credo, hai messo una pancia che
sembra un mappamondo.
- Sta zitto tu se vuoi che continui a
raccontare. Dicevo che andava svelto e quando è arrivato al bivio, là dove una
strada porta alla vecchia Cappella e a destra invece ai ruderi della fornace,
insomma quei tre muri scalcinati che stanno in riva al Po, ha piegato di qua.
- Di qua dove?
- A destra, se mi stai ad ascoltare
capisci. Ha girato, guardandosi intorno, tanto che ho appena fatto in tempo a
nascondermi dietro il vecchio olmo. Poi ha ripreso veloce e io dietro a una
trentina di metri.
Quando è arrivato ai ruderi, ha fatto
un fischio e…
- E?
- E dall'erbaccia è venuto fuori un
cagnolino, che scodinzolava. Il Guercio si è seduto, lo ha accarezzato, poi ha
aperto il cartoccio e gli ha dato da mangiare.
Ci fu un mormorio di delusione, da
parte di chi aveva capito che ormai la storia era finita e da parte di chi
invece aveva fatto le supposizioni più inverosimili.
Ricordo che dissi:
- Un cagnolino, per un anziano senza
nessuno, è la compagnia che ci vuole.
Ne fui felice, però, perché il mio
vecchio amico non si sarebbe sentito più solo.
Si arrivò così al mese di settembre,
già l'aria cominciava a rinfrescare e le ombre della sera
sempre più rapide scendevano ad annunciare l'imminente autunno.
Anche quel giorno il Guercio uscì con
il suo cartoccio, fece la stessa strada, arrivò alle rovine della fornace e
chiamò il suo piccolo amico. Questi corse rapido scodinzolando e gli si
accovacciò ai piedi. Non si poteva dire che avesse un pedigree, tanto era il
risultato di innumerevoli incroci, con le orecchie a sventola che sembravano
aquiloni, la coda che pareva la traccia del pennino di un sismografo allo
scatenarsi di un terremoto del decimo grado della scala Mercalli,
il pelo per nulla uniforme, là una macchia rossastra, qua una nera e un musetto
sottile, tutto bianco, a testimoniare che anche lui non era nel fiore degli
anni.
Il Guercio lo accarezzava mentre
quello si sfamava e quando ebbe finito entrambi si avviarono verso il fiume.
Là, dove l'ansa è più ampia, dove la corrente fugge rapida verso la foce, si
fermarono e si sedettero.
In distanza s'intravvedevano in
controluce due ombre, tanto da pensare che a Thomas Mann l'idea del suo romanzo
Padrone e cane potesse essere venuta da una simile visione.
Entrambi guardavano il sole al suo
tramonto e nel riflesso tremulo della luce sull'acqua il
Guercio scorse ciò che non vedeva da tempo.
Erano immagini che apparivano e
sparivano in successione, volti di gente che non c'era più, ma che era sempre
rimasta nel suo cuore.
E così ora rilucevano il viso giovane
e illuminato dall'amore della Tilde, il faccione, burbero, ma
rassicurante di Don Zeffirino, il volto deforme e
contratto di Tonio, e poi tanti altri ancora, che si
succedevano con una rapidità impressionante, non più comparse, ma protagonisti
di tutta una vita: Cosimo Gasparini, Tricorno, Unapertutti, Nostradamus.
Ognuno sembrava reclamare il suo
posto sul palcoscenico e ognuno recitava se stesso. L'ultimo fu Alì, una sorta
di statua della libertà che invece di tenere la fiaccola indicava l'occidente,
dove il sole ormai stava calando del tutto e le lunghe ombre delle piante sulle
rive sembravano giganti a protezione di un mondo che lento se ne andava.
I due, l'uomo e il cane, fissavano
quell'astro lontano, sempre più rosso cupo, due statue unite dalla commozione.
E quando il Guercio non riuscì più a
trattenere le lacrime, il suo piccolo amico volse il muso e la sua lunga lingua
corse su quel viso scosso dal pianto.
Fu un attimo, un attimo solo d'estasi, ma Annibale Chiocchetti,
il capopopolo, il difensore dei deboli, ora debole anche lui, abbracciò il
cane, lo strinse a sé.
- Dixi, ti
chiamerò Dixi. E ora, andiamo, vieni con me,
ritorniamo a casa, alla nostra casa.
(da “Storie di paese” – Seconda serie)