Correvano gli anni novanta
di Renzo Montagnoli
Correvano gli anni novanta e il
piccolo borgo era cresciuto: nuove attività, piccoli condomini, ville e
villette.
Erano cambiate tante cose, troppo rapidamente
perché il Guercio potesse assorbirle. Era entrato in quella fase della vita in
cui non si ha più nulla da dire ed è solo tempo di fare bilanci che non
quadrano mai.
Proprio nel 1990 era rimasto solo,
perché la Tilde,
colpita da un male inesorabile, se ne era andata in una nebbiosa sera di
novembre; era uscita dalla sua vita in silenzio, quasi in punta di piedi, e ora
proprio quell'assenza di rumori della casa vuota, perché i figli si erano
sposati ed erano andati ad abitare altrove, gli rimbombava nelle orecchie.
Spesso si diceva, a bassa voce,
quanto incredibile potesse essere il rumore del silenzio, quello che non aveva
mai potuto udire prima, soprattutto quando il lavoro erano i colpi striduli del
martello sul ferro arroventato, quando sfiatato appariva il soffio del mantice,
suoni che gli mancavano tanto fra quelle pareti in cui ogni cosa gli ricordava
la moglie, tanto che talvolta gli sembrava di udire ancora la sua voce.
Sì, Annibale Chiocchetti,
classe 1920, aveva cessato la sua attività il 31 dicembre 1989, perché l'età
cominciava a farsi sentire e poi anche era diminuito non poco il lavoro, in
un'epoca in cui quell'attività artigianale cominciava ad avere un sapore
preistorico.
Chiusa l'officina, aveva venduto il
locale e ora, quasi per ironia, laddove per tanti anni avvampava il calore
della fornace si era insediata una gelateria.
Le giornate da solo e senza il lavoro
erano diventate straordinariamente lunghe e lui faceva di tutto per occupare
quel tempo, un po' con le faccende di casa, spesso con la lettura di libri e
giornali, nonché con l'immancabile passeggiata giornaliera che come meta aveva
sempre il bar Primavera. Quante gestioni c'erano state, quante ristrutturazioni
in quella che un tempo era una semplice osteria! Entrava, si sedeva al tavolino
in fondo a sinistra, ordinava il solito caffè d'orzo e rievocava, rivedeva con
la mente personaggi da tempo scomparsi, compagni d'osteria, avventori che
sembrava dovessero essere immortali, tanto erano stati caratteristici di un'epoca storica.
Ogni tanto capitava che andassi pure
io a bere un caffè e allora mi sedevo al suo tavolo, ed è stato in quelle occasioni che lui mi
ha raccontato quasi tutte le storie del paese.
Sembrava trasognato quando ne
parlava, quasi le rivivesse, e non di rado una lacrima faceva capolino
dall'unico occhio.
Era un vecchio che camminava incerto
verso il fondo della strada, ma il suo passato era un luminoso esempio di vita
condotta nell'ideale di un'umanità avviata verso un mondo migliore, senza
ingiustizie e senza prevaricazioni.
Rimaneva al bar più che poteva, anche
se non c'era da conoscere nulla di nuovo di interessante; certo le corna si
facevano ancora, ma senza quel piacere del peccato che invece prima portava i
discorsi d'osteria ad affievolirlo, quasi che parlandone, magari in tono
ironico e scherzoso, insomma rendendone partecipe tutti, il fedifrago riuscisse
a mettersi la coscienza a posto.
Le occasioni di parlare con qualcuno
in modo ricorrente erano
diventate così del tutto sporadiche e gli unici interlocutori finimmo con il
diventare io e Alì, un giovano africano, arrivato in Italia con la forza della
disperazione e capitato in paese per caso.
Alì, lo ricordo: piccoletto, magro,
capelli ricci, carnagione inequivocabilmente scura, come gli occhi, neri, ma
che però brillavano di una luce che incantava e che avvinse anche il Guercio,
perché esprimevano non solo intelligenza viva, ma riflettevano una cultura e
una saggezza antica, diversa dalla nostra, e perciò estremamente interessante.
Ogni tanto li trovavo in
conversazioni fatte di frasi pronunciate sommessamente, quasi nel timore che le
verità esposte fossero talmente dirompenti da sconvolgere il mondo.
E invece, per quelle poche volte che
ebbi occasione di ascoltare, si trattava di osservazioni, di riflessioni
sull'uomo e sul mondo.
Ripeto, erano diventati una coppia
fissa e dato che Alì durante il giorno lavorava come muratore, si trovavano
immancabilmente al bar nelle ore serali.
- Dimmi, Alì, perché sei venuto in
Italia, perché hai lasciato la tua casa, la tua famiglia?
- Per non morir di fame, per cercare
un futuro fuori da un paese che non l'ha.
- E l'hai trovato?
- No, perché ho capito che il futuro
è in noi stessi.
- E allora perché non torni?
- Perché almeno qui ho da mangiare e
tutto quello che risparmio lo mando a casa, affinché mio padre, mia madre, i
miei fratelli e le mie sorelle non abbiano a patir la fame.
Il Guercio sentì che lo stava
prendendo la commozione e cercò di cambiare discorso:
- Cos'è che non ti va dell'Italia?
- Tutto e nulla.
- Sarebbe a dire?
- Io sono qui per mangiare, voi
invece sembrate correre dietro a qualche cosa che non riesco a capire, o forse
desiderate solamente quello che non avete, ma così non
sarete mai contenti.
- Capisco.
- No, non credo Guercio, anche se tu
sei diverso dagli altri, perché per capire bisogna avere una visione della vita
non solo materiale, anzi la materialità dovrebbe essere limitata solo alle
esigenze fondamentali.
- Beh, io ho sempre combattuto per
sconfiggere le ingiustizie, per dare dignità agli oppressi, per considerare
l'uomo il fine di tutto.
- Hai fatto bene ed è giusto, ma lo
scopo della vita, di questo breve percorso è quello di conoscere noi stessi, di
raffrontarci con gli altri e la natura che ci circonda, è quello di non
intaccare l'armonia del creato.
- Sono parole un po' difficili,
sembrano quelle di un filosofo.
- Ho studiato filosofia
all'università di Tunisi.
- Allora sei laureato, sei un
dottore.
- No, non sono riuscito a ultimare
gli studi per mancanza di denaro e allora sono venuto nel tuo paese.
- Però parli bene la mia lingua,
quasi come un italiano. Com'è possibile?
- A Tunisi, quando andavo
all'università, sono diventato amico del figlio del console italiano. Era un
bravo ragazzo e anche molto intelligente e così quando gli ho chiesto di
insegnarmi la sua lingua, perché fra di noi parlavamo
in francese ed era un po' affaticante per entrambi, ha aderito con entusiasmo
ed è stato un gran bravo maestro. E' stata in quelle occasioni che mi sono
innamorato dell'Italia.
- Perché?
- Perché il mio amico, che vi tornava
un mese all'anno, mi parlava di una terra libera, orgogliosa, di un posto dove
chi aveva voglia di fare poteva anche salire in alto.
- Mi sa che ti ha gabbato.
- Gabbato?
- Sì, fregato; da noi la libertà è un
lusso e l'hanno di fatto sono quelli che hanno i
soldi.
- Infatti, me ne
sto accorgendo, ma le grandi pianure verdi, le montagne ricoperte di
abeti, i lunghi fiumi sono veri, esistono, come ho potuto vedere.
- E non hai nostalgia della tua
terra?
- Sempre, quella non manca mai,
soprattutto i silenzi del deserto, così invitanti alla meditazione.
I dialoghi erano più o meno questi e
più il tempo passava, più nel Guercio cresceva l'ammirazione per il giovane,
che volentieri contraccambiava, convinto di trovarsi di fronte a un uomo, anziano, ma ancora vitale, grazie all'ideale per cui era
sempre vissuto.
Capitava anche, talvolta, che alla
chiusura del bar il Guercio accompagnasse il suo giovane amico fino alla sua
dimora, un vecchio casello ferroviario a circa un chilometro dal paese.
La strada era percorsa al buio e solo
le stelle e la luna davano un po' di chiarore.
- Se guardo il cielo, è come se fossi
al mio paese; anche là la notte si popola di sogni e basta guardar le stelle
perché ne nascano altri. Siamo così piccoli rispetto all'universo che per
comprenderlo dobbiamo per forza sognare, immaginare mondi ignoti, fantasticare
su immaginarie linee tracciate fra questi astri, quasi una strada per andare da
loro.
- E' vero.
- E poi così dimentichiamo i nostri
problemi, per poco, ma per quel tanto che ci fa
sentire avulsi dalla realtà. Vedere oltre ciò che scorgono i nostri occhi è in
fondo guardare dentro di noi.
Il Guercio un giorno pensò a quella
sistemazione di fortuna, alla mancanza di servizi igienici, al riscaldamento
assente e allora decise di invitare Alì a venire a vivere a
casa sua, nella camera ormai vuota dei figli.
- Ti ringrazio, ma non posso
accettare.
- E perché? Staresti meglio e
potremmo conversare senza dovere andare al bar.
- Non è che io rifiuti il tuo aiuto,
ma la mia vita è questa e poi quando ho in mano un libro che mi piace non sento
il freddo, anzi non sento più nulla, è come se fossi lontano dal mondo.
- D'accordo Alì, ma il fatto di non
avvertire il freddo non vuol dire che quello non ci sia. Potresti ammalarti e
anche seriamente.
- E' inutile che insisti,
perché non accetterò mai: quella è la mia casa, là dentro c'è il mio regno, fra
quelle quattro mura riesco ad essere nel deserto, ad avvertire il calore
intenso della sabbia arroventata, a vedere il miraggio di un uomo che cammina
verso le stelle.
Declinò pure l'invito a pranzare
qualche volta dal Guercio e rifiutò perfino i generi alimentari che gli offrì.
- Non prendertela, anzi scusami, ma
tengo troppo alla nostra amicizia, a quello scambio di idee che riscalda il
cuore, perché la tua offerta, che io non potrò contraccambiare in alcun modo,
possa farmi sentire in debito con te.
- Io sono in debito per tutto quello
che mi insegni.
- No, io parlo e tu parli, io ti racconto
e tu mi racconti, io conosco e tu conosci. E' molto diverso, se ci pensi
bene.
Così quella strana amicizia fra un
giovane arabo e un vecchio idealista proseguì per diversi mesi, con reciproco
beneficio.
Però, forse quello che ne traeva più
vantaggio era il Guercio, che mano a mano che conosceva se stesso cominciò a
considerare cose di poco conto il tradimento dei politici, la fine del
comunismo, il crollo di un sistema che non lo aveva mai convinto, ma che
pensava che fosse l'unico che potesse dare dignità alla vita dell'uomo.
Nonostante la perdita della moglie, malgrado il progressivo avvento di una politica che era la
negazione dei diritti del cittadino e del principio della democrazia, giorno
dopo giorno acquisiva un dono quasi divino, avvertiva che la serenità era
entrata in lui.
Ma una sera Alì non venne al bar; il
Guercio attese fino alla chiusura, poi decise di andare al casello, nel timore
che stesse poco bene. Quando vi giunse chiamò, senza ottenere risposta; bussò
alla porta e la trovò aperta. Dentro c'era ben poco: un fornello a gas, due
stoviglie, una tanica d'acqua, una branda e alcuni libri, ma di Alì nessuna
traccia.
Ritornò a casa sconsolato, in preda a
foschi presentimenti, non dormì tutta la notte e l'indomani, ancora presto,
andò dai carabinieri a denunciare la scomparsa.
- Sig. Chiocchetti,
è un extracomunitario, oggi c'è, domani non c'è. Sarà tornato al suo paese.
- No, si sbaglia, non sarebbe mai
andato via senza salutarmi.
- Va bene, vedremo di diffondere la
notizia e se sapremo qualche cosa la avviseremo.
Il Guercio sembrava invecchiato di
colpo e se ne andò subito al bar, dove rimase fino alla chiusura, senza
mangiare nemmeno un boccone.
Ritornò a casa e, provato dalla
stanchezza, si addormentò.
Lo risvegliò il suono del telefono.
- Pronto, chi parla?
- Sono il brigadiere Annunziata,
l'abbiamo trovato e purtroppo devo darle una brutta notizia…
Gettò giù la cornetta, si vestì
sommariamente e corse alla caserma.
- Vede,
signor Chiocchetti, l'hanno trovato in un fosso a
lato della strada…
- Morto?
- Sì, forse investito da
un'automobilista che poi è fuggito.
Il Guercio rabbrividì, nonostante
avvampasse.
- Non riesco a crederci.
- Nemmeno io.
- Nemmeno lei riesce a credere che
sia morto?
- No, all'ipotesi che l'abbia investito
un'auto pirata, perché le fratture alle gambe, secondo quello che ha detto il
medico, sono compatibili solo con una caduta dall'alto e non per un impatto
laterale.
- C'era qualche cosa di alto, lì?
- Nulla.
- Lui faceva il muratore ed è in un
cantiere che potrebbe essere caduto.
- E magari non era assicurato e hanno
portato poi lì il corpo per
far credere a un incidente della strada.
- Le chiedo una cortesia, se può.
- Dica.
- Provi a fare il giro dei cantieri
nei dintorni e forse riuscirà a trovare qualche cosa.
- E' quello che sta facendo il mio
appuntato.
- Grazie, grazie mille, e mi
raccomando, mi sappia dire qualche cosa. Ai funerali provvederò io.
Non fu difficile scoprire che cos'era
accaduto. Assunto ovviamente in nero, pagato meno della metà del contratto, era
stato incaricato da un imprenditore del vicinato di sostituire la copertura di
un vecchio capannone. Un lastrone aveva ceduto e Alì era precipitato da 15 metri di altezza;
ancora agonizzante, il padrone l'aveva caricato in auto per abbandonarlo poi in
un fossato a un chilometro di distanza.
Al funerale partecipò solo il
Guercio, che seguì poi il processo con particolare attenzione, ma la sentenza,
per quanto di colpevolezza, fu una beffa, perché si tradusse in pochi mesi con
la condizionale, peraltro.
Allora volle parlare a quel padrone
così disumano.
- Non si vergogna di quello che ha
fatto? Non prova un po' di rimorso?
- E tu chi sei?
- Un amico di Alì.
- Un amico di un negro non merita
risposta.
Gli venne irrefrenabile l'impulso di dargli
un pugno, ma non riuscì ad alzare il braccio, perché una fitta improvvisa nel
petto glielo impedì.
Avvertiva una sensazione strana, come
se improvvisamente un macigno premesse sul torace, un'impotenza improvvisa che gli bloccava perfino il respiro,
dandogli un affanno che andava ben oltre la tensione della sua
arrabbiatura.
Non aveva più forza, tutto girava
all'intorno, un velo di nebbia scese di colpo sugli occhi.
Si accasciò, venne soccorso, portato
d'urgenza all'ospedale, posto in rianimazione per infarto del miocardio.
Riuscì ad uscirne, ma con il cuore a
pezzi in tutti i sensi.
(da “Storie di paese” – Seconda
serie)