Il
Negus
di
Renzo Montagnoli
Non
c´è che dire, nei paesi si trovano sovente personaggi
caratteristici che magari esistono anche nelle città, ma che però
si perdono nella massa, si riescono a notare di meno. Al riguardo il
mio paese non fa eccezione, anche se, passando gli anni, c´è una
sempre più accentuata omologazione, così che certe figure sono in
diminuzione e sono senz´altro in numero inferiore al passato,
soprattutto a quello che arrivava fino al termine della seconda
guerra mondiale. Il Guercio mi ha raccontato di tanti e io, mano a
mano che mi ricordo credo che sia giusto parlarne, perché a loro
modo sono dei protagonisti e non delle semplici comparse nel teatro
della vita. Una di questi è stato senza dubbio il Negus, nomignolo
che gli fu appioppato dopo la guerra di Etiopia per la sua carnagione
scura, abbrustolita dal sole. Non so come si chiamasse, so solo che
faceva parte di una famiglia numerosa e povera in canna, circostanza
non infrequente all´epoca. Il nostro Negus, che ancora non era
chiamato così, più in preda a un´atavica fame che a uno spirito
patriottico cercò, diciassettenne, di arruolarsi per partecipare
alla Grande Guerra, ma ovviamente non fu accettato, almeno fino a
quando non ebbe a compiere i 18 anni, vale a dire l´1 novembre
1918. Messo su un treno che da Mantova andava a Padova insieme ad
altri coscritti, la sera del 3 novembre alla stazione di Monselice la
tradotta fu fermata e l´avventura bellica fini lì, perchè come è
noto il 3 novembre fu firmato l´armistizio e dato che il Negus non
era ancora in divisa fu rispedito indietro, più affamato di prima.
In seguito fece diversi lavori, tutti di breve durata, anche per il
suo spirito indipendente, fino a quando, ereditata una barca
piuttosto malandata e da lui rabberciata alla meglio, iniziò
l´attività di pescatore di storioni nel Po. A volte ne prendeva,
più spesso no, e allora la fame era sicura, tanto che si rintanava
in una specie di capanna dove tacitava per un po´ lo stomaco con
certe erbe che raccoglieva e faceva bollire. Il suo sogno era di fare
il pontiere, cioè di lavorare sul vicino ponte di barche e aveva
manifestato questo desiderio più volte con il podestà e con il
segretario locale del fascio, ritraendo solo vaghe promesse.
Impossibilitato a partecipare alla guerra di Spagna, in quanto
riformato per un´artrosi che l´aveva reso storto, pensò di
interessare il duce in persona, ma le sue lettere non ebbero
risposta, anzi il federale lo rimproverò per l´impudenza. Gli
venne allora l´idea dell´impresa clamorosa: dato che Mussolini,
con la famiglia, trascorreva alcuni giorni in estate in una villa a
Riccione, lui sarebbe andato là, in barca, scendendo il Po fino al
delta e poi proseguendo sotto costa fino alla cittadina romagnola. Ne
parlò al podestà e al federale, che gli palesarono un certo
interessamento, promettendogli assistenza, vale a dire vitto e
alloggio lungo il percorso. E così, una mattina presto del luglio
1937 levò l´ancora pieno di entusiasmo e remando di buona lena.
Verso mezzogiorno era già in vista di Sermide dove avrebbe trovato,
come promesso, il necessario per rifocillarsi e mano a mano che si
avvicinava alla riva si accorse con piacere che una gran folla era
sull´argine, evidentemente per attenderlo. La fatica gli passò e
remò più alacremente con la gente che lanciava entusiasta degli
evviva. Era quasi a riva quanto potè intendere quello che quella
folla gridava. Era un viva gli sposi di cui non riusciva a
capacitarsi e sentendo un rumore alle sue spalle si volse notando un
barcone a motore con a prua una coppia di sposi. Non si sa bene come
accadde, forse si sbilanciò, ma sta di fatto che la sua barchetta si
capovolse e finì in acqua. Tirato a riva, chiese dei sostegni per la
sua impresa, ma ottenne ben poco e fu solo per la pietà degli sposi
che potè riempire lo stomaco con un po´ di riso con le salsicce.
Fatto il pieno, ma in capo a un´ora era già in riserva, proseguì,
con alterne fortune, mendicando un po´ di pane e dormendo la notte
sugli argini. Tuttavia era fiducioso, perché se l´impresa fosse
riuscita il clamore gli avrebbe potuto portare probabilmente
l´agognato posto di pontiere. Se la navigazione in Po era stata
abbastanza tranquilla, la stessa cosa non si può dire per quella in
Adriatico, perché dovette affrontare ben due tempeste, di cui
l´ultima gli strappò quel poco che lo ricopriva, sicché arrivò
al largo di Riccione nudo come un verme. Puntò verso la spiaggia e
senti le urla della gente. "Buon segno - disse fra sé - avverto
l´entusiasmo". A riva l´attendevano due carabinieri a cui,
tendendo il braccio nel classico saluto fascista, candidamente chiese
che lo portassero da Mussolini. I due si guardarono un attimo, poi
gli calarono i manganelli sul groppone. Atti osceni in luogo
pubblico, fu questa l´imputazione, e finì nelle patrie galere per
un anno, con l´unico vantaggio di avere un tetto sulla testa e due
pasti al giorno.
Ritornato
alla pesca non volle rinunciare alla sua impresa, così che nel 1939
ritentò, senza miglior fortuna, visto che all´altezza di Porto
Garibaldi gli si spezzò il remo e non potè proseguire. Ritornato in
paese sembrava deciso ad accantonare il suo progetto, ma nel luglio
del 1943, in piena guerra, decise di ritentare, preparando il viaggio
con un piano meticoloso. Il 26 luglio 1943 iniziò il terzo
tentativo, ma arrivato all´altezza di Castelmassa, vedendo sugli
argini la folla giubilante, decise di accostare per vedere cosa era
successo e venne così a sapere della caduta di Mussolini e del suo
arresto. Quindi era inutile proseguire perché non avrebbe mai potuto
trovare il duce a Riccione. Negli anni successivi poco si sa di lui,
ci si ricorda che continuava a pescare, rifornendo di storioni i
tedeschi e non più gli italiani. Finita la guerra, la fame era
generalizzata e lui non sapeva dove sbattere la testa, andava in
giro, chiedeva, ma il lavoro non c´era. Fu solo nel 1947 che,
ritornato l´ex segretario del fascio, ora diventato notabile della
Democrazia Cristiana, gli si rivolse ancora una volta implorante.
Forse si impietosì, forse c´erano motivi elettorali, ma sta di
fatto che questa volta riuscì a entrare nei pontieri, come vigilante
notturno, il che comportava anche l´uso di una cameretta nella
baracca di servizio, dato estremamente importante per chi non aveva
una casa. Si era ai primi di novembre e il fiume era in piena e per
questo la sorveglianza doveva essere particolare. Grazie al lavoro
acquisito, di cui tutti vennero subito a sapere, decise di
festeggiare il primo giorno, anzi la prima notte, con quella costata
di manzo che sognava da anni e che ottenne a credito dal macellaio,
così come pure a credito prese anche due bottiglioni di lambrusco.
Come siano andate le cose non è possibile saperlo, mancando i
testimoni, ma la ricostruzione che fece la polizia pare senz´altro
plausibile. Mangiata la costata, accompagnandola con un bottiglione
di lambrusco (l´osso e il vetro vuoto furono trovati nella
baracca), forse un po´ alticcio, uscì, magari per un bisogno, o
per vedere meglio il grado di tensione dei cavi che tenevano ancorati
i barconi del ponte; incerto nei passi, anche per l´altro
bottiglione in mano, che infatti non fu trovato, procedendo sul
terreno cedevole per la pioggia o scivolò o mise un piede in fallo.
Sta di fatto che il turno del mattino, andato a rilevarlo, non lo
trovò; la scomparsa del Negus tenne ovviamente subito banco
all´osteria, con le illazioni che si sprecavano, anche perché le
ricerche avviate non riuscivano a trovare il corpo. Il tempo passava
e inevitabilmente l´interesse sulla sorte del Negus andava
scemando, fino a quando non se ne parlò più. Trascorsero gli anni,
per l´esattezza cinque, allorchè un giorno piombò all´osteria
il giornalaio con una notizia incredibile. "L´hanno trovato!".
"Chi?" " Ma come chi, il Negus." " E dove?" " Dei
pescatori del delta sono approdati su un isolotto dove hanno trovato
un uomo, un eremita secondo loro. Ne hanno parlato ai carabinieri,
hanno verificato, hanno avuto riscontri, in poche parole
quell´essere, quasi selvaggio, ma che sembra vivere beatamente e in
assoluta serenità è il nostro Negus." " Allora tornerà?" "
No, c´è scritto sul giornale che l´uomo non ricorda come è
arrivato lì, anzi non sa nulla del suo passato e quando gli hanno
proposto di riportarlo da noi ha rifiutato sdegnosamente." Gli
astanti si guardarono in faccia, poi rivolsero lo sguardo a quello
sputasentenze che era il capostazione. Questi, quando verificò che
tutti pendessero dalle sue labbra, sbottò: "Anche questa volta non
è arrivato a Riccione; meglio così, perché a quanto pare su
quell´isolotto ha trovato quella serenità che tanto gli mancava.".
Da Storie
di paese