Una
breve villeggiatura
di
massimolegnani
Il
ragionier Gervasio Gervasoni scese dal treno inspirando a pieni
polmoni, ma non inglobò, come avrebbe desiderato, l’aria
frizzante dei boschi circostanti quanto i vapori untuosi sprigionati
dalla locomotiva. Tossì infastidito e si avviò verso il
paese di mezza montagna dove aveva intenzione di trascorrere pochi
giorni di villeggiatura, la sua prima vacanza da quando aveva
iniziato a lavorare.
Girovagò
senza fretta tra le viuzze del centro storico assaporando poco alla
volta l’atmosfera senza tempo delle strade lastricate a
ciottoli di fiume e il fascino antico di vecchie case dipinte a
colori vivaci. Si era fuori stagione per cui trovò senza
difficoltà alloggio presso un’affittacamere, una stanza
dignitosa con le travi del soffitto a vista e arredata con pochi
mobili, vecchi ma solidi. Ripose nell’armadio i due cambi che
si era portato, si diede una rinfrescata nel lavabo smaltato posto in
un angolo della camera e subito uscì.
Il
bosco iniziava appena oltre le ultime case e lui vi si immerse
percorrendo con entusiasmo sentieri ben segnati e sostando ogni tanto
a una fontanella per dissetarsi o su una panchina per rifiatare, non
era un gran camminatore. Tornò in paese che aveva fame. Entrò
in una locanda e si sistemò nella stanza più interna,
lontano dal chiasso di chi beveva un bianchetto o un digestivo al
banco. L’ambiente era dominato da un grande camino, con tanto
di panche al suo interno, che emanava un piacevole tepore. Gervasio
cenò in solitudine, condizione per lui abituale, anche in
città mangiava per lo più da solo e distrattamente, ma
questa volta gustò il cibo come non era solito fare e bevve
con piacere e in abbondanza il vino rosso locale.
Quando
uscì dalla locanda, era scesa la sera e nelle strade poco
illuminate si era adagiata una fine nebbiolina. S’incamminò
con passo che credeva deciso, in realtà un poco malfermo,
sicuro di ritrovare con facilità il percorso verso casa. Ma
quelle vie strette, tutte uguali, risultarono un vero labirinto in
cui lui procedeva per tentativi infruttuosi, non diverso da un topo
da laboratorio. Per strada non incontrò anima viva e si
ritrovò più volte al punto di partenza scoraggiato,
quando vide, vicina a un uscio, una vecchietta che sembrava provenire
da un’altra epoca, gonna di panno lunga fino ai piedi, una
cuffietta bianca in testa e una gerla carica di legna sulle spalle. A
lei Gervasio confessò di essersi perso. Venga con me,
l’accompagno, gli disse l’anziana che si avviò
lenta e sicura, senza nemmeno chiedergli dove dovesse andare.
Il
ragioniere la seguì perplesso, forse la nonnina non c’era
con la testa, ma dopo poche svolte che a lui sembrava di aver già
fatto in precedenza, si ritrovò davanti al portone di casa
della sua affittacamere.
Ma
come ha fatto?, le chiese sbalordito. La vecchietta fece un
sorriso sdentato, emise un eheh divertito, si strinse nello
scialle e tornò sui suoi passi, scomparendo presto nella
nebbia.
Gervasio
si lasciò cadere esausto sul letto e forse si assopì,
ma poco più tardi proruppe in una fragorosa risata. Rideva di
sé stesso, lui sempre così preciso e razionale si era
perso come un bambino e come un bambino si era lasciato stregare
dall’atmosfera magica del paese, senza provare a dare
all’accaduto spiegazioni logiche. Sì, la villeggiatura
era iniziata nel migliore dei modi, rise di nuovo e si addormentò.
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