Di
mongolfiere e bolle di sapone
di
massimolegnani
Camillo
stava lì sprofondato in una poltrona, avvolto nel panciotto
giallo di suo nonno, incongruo, lui più del panciotto, come un
reperto storico, sempre lui, in mezzo a cose nuove. In effetti per la
casa andava e veniva tanta gente nuova, chi con un bicchiere in mano,
chi stringendo tra le mani i fianchi di una donna, chi discutendo a
spanne di massimi sistemi. Lui li guardava scorrere e mai fermarsi.
Emise un lungo sospiro, tipo lo sfiato di una vecchia caldaia
necessario per non scoppiare, la caldaia, lui semmai si afflosciava.
Che
poi…, disse.
E
tacque.
Ma
quando si accorse che nessuno stava badando a lui, quasi rinfrancato
dall’assenza di un uditorio, riprese a parlare.
C’è
una bella differenza tra una mongolfiera e una bolla di sapone. La
bolla parte avvantaggiata, ondeggia leggera nell’aria, tutti a
fissarla incantati, mentre la mongolfiera è pesante più
di una balena, arranca e sbuffa, stenta a staccarsi da terra. Ma poi,
ben presto, la bolla scoppia senza alcun fragore e di lei non resta
nulla, invece il gran pallone dai colori sgargianti attraversa
maestoso il cielo per mete sconosciute.
Camillo
si compiacque per come aveva formulato questo pensiero, sebbene
nemmeno lui sapesse bene che cosa avesse inteso dire in realtà.
È che certe volte si innamorava delle parole e delle immagini
che gli frullavano in mente e le spiattellava lì, parole,
immagini e metafore, prima di aver dato loro la parvenza di una
logica e di uno scopo. Comunque nessuno lo aveva ascoltato per cui la
cosa sembrava finita prima di dover dare spiegazioni. Odiava dare
spiegazioni, le sue cose o si capivano al volo o pazienza, e di
solito non si capivano.
Ma
una donna che si era relegata su un divano in penombra commentò:
per questo si è messo quel panciotto? Ambisce a
essere lei il “gran pallone dai colori
sgargianti”?
Forse.
Rispose lui, che non sapeva come prendere quelle parole, un’allusione
alle sue fattezze sempre più tonde? Un’ironia su una sua
nascosta ambizione? Era un’uscita bonaria o maligna? Gli aveva
dato del pallone gonfiato? Troppe domande. Si sentì esausto
già solo a esaminarle in mente tutte quelle domande,
impensabile abbozzare una risposta.
Allora
Camillo ripetè quella parola, forse, così
rassicurante nella sua vaghezza, un uscio lasciato socchiuso su un
ipotetico dialogo. Tentò un sorriso scaltro, da uomo che
conosce la vita, ma ne uscì un ghigno sghembo come avesse
appena avuto un coccolone. Nel frattempo la donna era tornata
nell’ombra, fugace come una cometa, devastante come una meteora
che impatta sulla terra.
Susanna
seduttrice senza sosta
di
massimolegnani
Sebastiano,
sciocco satiro settentrionale, si sente sensuale. Sembra serpeggiare,
serpente sdentato, se striscia sin sui suoi seni soavi; sussurra
sornione: sei stupenda, Susy. Sei sempre splendida, selvaggina
stanata, simbolo sessuale, Signora sontuosa.
Senonchè
Susanna, si sa, si stufa subito. Sibila serafica: sei stucchevole,
sdolcinato, stanchi. Su, sciò, sparisci.
Sebastiano
soccombe sgomento, scantona sconfitto singhiozzando.
Sarà
subito sostituito senza sussulti.
Susanna
sorride, sta studiando se scegliere Silvano, stagionato stallone
salernitano, Stephan, stupefacente snob svedese, o Sandro, severo
studioso spesso silenzioso. Sicuramente saranno sempre suoi schiavi,
si succederanno succubi al suo servizio, solleciti sino a stancarla.
Susanna
si sveglia sola, spaesata. Sognò?
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