Mirko Dani non sapeva
capacitarsi da dove venisse tutta quella gente,
radunata a crocchi nei pressi di casa sua, e poi c'era quel carro funebre,
nero, lucido che sostava proprio davanti all'ingresso. Provò allora a chiedere
chi fosse il morto, ma non ottenne risposte, perfino
dai vicini di casa con i quali aveva rapporti sostanzialmente ottimi.
Si sentì triste,
ignorato, al pari e forse peggio di uno sconosciuto; quella che però fu una vera
sorpresa era sua moglie, con il volto tirato, le lacrime che segnavano il volto
e che a passi lenti, quasi barcollanti, seguiva per prima il feretro.
Le si avvicinò, le sussurrò qualche cosa all'orecchio, ma
non ottenne nessun segno: sembrava non vederlo, non sentirlo, come tutti gli
altri.
E lui invece vedeva e
sentiva, anche troppo.
Fra tanti commenti in ordine alla
persona del defunto, concordemente più che positivi, ci furono accenni, ben poco
velati, ad una presunta relazione della vedova con un coinquilino; non gli
piacevano queste chiacchiere in un momento simile e sentì una sorta di pietà
nei confronti del defunto, già infelice per il trapasso e, se lo avesse saputo,
ancora di più per le corna che si portava appresso.
Il percorso per andare al
cimitero era breve e, considerato che nessuno gli prestava attenzione, rimase buon
ultimo nel corteo, osservando le prime foglie gialle d'autunno cadute sul
selciato; gli ricordavano la genesi della natura, la nascita, una breve e forse
felice vita ed infine la morte.
Forse il defunto era
stato anche felice, forse non sapeva delle corna e questo ignorare un fatto
così importante poteva avergli assicurato una vita serena, oppure lo sapeva, e
per lui la morte era venuta come una liberazione.
Fra una divagazione e
l'altra s'accorse d'essere arrivato al cimitero e che ormai le spoglie erano
pronte per la tumulazione. Osservò che
veniva sepolto in terra e che quindi ci sarebbe stata una croce, e che se c'era
una croce, avrebbe riportato impressa su di essa le
generalità del morto.
Ecco, bastava sporgersi
un po', fare capolino fra la gente e la sua curiosità sarebbe stata appagata.
Scivolò fra i vari
crocchi, apparentemente senza che se ne accorgessero, e finalmente arrivò
davanti alla fossa, nei cui pressi era già pronta la
croce.
Sì, c'erano le
generalità; cominciò a leggere e sentì un brivido percorrere il suo corpo; sul
legno c'era scritto: Mirko Dani, nato il… e morto il…..;
non riuscì a leggere le date, un senso di angoscia lo attanagliava; non poteva
essere possibile, era un brutto sogno, un incubo, colpa del cotechino con
polenta ingerito la sera prima.
Sì, era indubbiamente un
incubo che gli faceva venire una sete tremenda; adesso avrebbe acceso la luce,
si sarebbe alzato, sarebbe andato a bere un bicchiere di acqua fresca.
Che strano, tutt'intorno si era fatto buio, non si vedeva neanche la
luce riflessa del lampione attraverso le fessure delle persiane; allungò il
braccio, ma, per quanti sforzi facesse, non gli riuscì di
trovare l'interruttore della luce.
Sudava, sudava continuamente mentre il buio si faceva sempre più fitto;
poi, come in una galleria, scorse sul fondo una luce vivida, abbagliante, che
sempre più gli si avvicinava.
Allora comprese e urlò
con quanto fiato aveva in gola, ma dalla sua bocca non uscì nulla e rimase solo
un lungo, lunghissimo silenzio.