Il
Natale di Poldo
di
Renzo Montagnoli
Si
accovacciò contro un pilone del ponte, per parare un po’
il vento che accresceva la sensazione di freddo, ma era tutto
bagnato, per via di quella neve che, cadendo, faceva un pulviscolo
che entrava ovunque. Anche quel giorno era arrivata la sera dopo
tanto peregrinare in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, ma,
all’infuori di un tozzo di pane rinsecchito, non aveva trovato
altro, e per di più aveva dovuto combattere per difenderlo, e
ora gli faceva male una zampa che un pastore tedesco, compagno di
sventura, aveva morso nel tentativo di impadronirsi di quel poco
cibo. Guardò in su e non vide nulla, se non i vortici della
neve che cadeva; non c’erano altre possibilità di
trovare qualcosa da mangiare e allora tanto valeva cercare di
dormire, per avvertire meno i morsi della fame e il gelo che
implacabile faceva breccia nel suo corpo. Fu così che si
addormentò e che subito prese a sognare. Si vide cucciolo
intento a poppare dai capezzoli della mamma, di cui non ricordava il
muso, ma che aveva sempre desiderato poter ritrovare. Forse quella
vita randagia insieme a lei sarebbe stata più sopportabile,
una vita che non aveva cercato, ma a cui era stato costretto. Era
ancora da svezzare quando era stato venduto a un vecchio che anziché
curarsene lo batteva per ogni errore, perché, per esempio,
faceva pipì in casa e lui che colpa aveva di questo, se non
veniva portato fuori per farla? Poi l’anziano era morto e lui
era stato preso dal figlio, forse peggio del padre, visto che spesso
e volentieri si dimenticava di dargli da mangiare e che sovente
lesinava anche sull’acqua, soprattutto in estate, quando,
legato a una corta catena, stava nel cortile assolato a fare la
guardia. Un tormento, la sete, che incideva sulla naturale bontà
del suo animo, che lo portava ad abbaiare e a ringhiare con tutti in
un crescendo di dolore che lo stravolgeva. Poi, un giorno, non si sa
come accadde, si ruppe il collare e così si trovò
libero; corse subito via, attraversò la strada fra auto che
frenavano di colpo e senza orientamento camminò, camminò
tanto, quasi a voler mettere fra sé e il suo padrone una
distanza insormontabile. Iniziò così la dura vita del
randagio, fatta di lotte per lo scarso cibo, di freddo in inverno e
di caldo torrido in estate, ma era pur sempre meglio di essere legato
a una catena, di essere considerato solo uno schiavo. Nel sogno
questa succinta storia della sua esistenza non c’era, mentre
invece era un susseguirsi confuso di immagini, quasi tutte dolorose,
visto che nella sua vita mai aveva conosciuto l’affetto di un
padrone. Si vide piangente, un lungo fremente guaito davanti a una
porta che si apriva sul buio e che lui istintivamente si sforzava di
non valicare, perché oltre intuiva un salto nel nulla. Senza
famiglia, senza carezze, non c’era tuttavia un senso a
continuare, ma i sogni permettono molto, ci fanno vivere ciò
che speriamo, e infatti anche lui a un certo punto avvertì il
caldo tepore di un focolare, il profumo di una zuppa nella ciotola,
una mano leggera le cui dita affondavano nel pelo irsuto della sua
schiena, una sensazione mai provata, un sogno meraviglioso da cui non
avrebbe mai voluto svegliarsi. E invece udì delle voci, il
trillo di un campanello, si sentì sollevare e allontanare, se
pur di poco, dal calore di quel fuoco, si accorse che la zuppa era
ora a stretto contatto con il suo muso, estrasse la lingua ed esplorò
soddisfatto la ciotola. Cercava di non risvegliarsi, ma ebbe una
strana sensazione, e cioè come se quello che vedeva nella sua
mente assopita fosse vero, reale e cercò anche di opporre
resistenza quando udì una voce che lo invitava a svegliarsi.
Poi aprì un occhio, si guardò intorno e spalancò
anche l’altro: non c‘era più il ponte, la neve non
cadeva, era disteso su un panno in una camera vicino a un focolare,
davanti a lui c’era la ciotola con la zuppa e più in là
un uomo e un bambino che lo guardavano.
-
Si è svegliato, papà.
-
Vedo, mi fa piacere.
-
Lo teniamo, vero papà? Chissà quanto ha sofferto senza
nessuno, ma adesso ci siamo noi.
-
Sì, lo terremo e ne avremo cura, ma bisogna trovargli un nome.
Come lo chiamiamo? Dick, Black, ma nero non è, Birba?
-
No papà, oggi è Natale, il giorno in cui è nato
Gesù, lo vorrei chiamare Natalino.
-
Dai, un nome così a un cane? Gesù forse si
offenderebbe? Trovane un altro.
-
Vediamo, non saprei, ma no, ecco forse ho trovato: Poldo.
-
Bellissimo nome e piace anche a lui e infatti si è messo a
scodinzolare.
Poldo
li guardava in estasi e pensava fra sé che anche lui come quel
Gesù si considerava nato a Natale, perché quella che
stava per iniziare era la vita che aveva sempre sognato.
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