Così all'improvviso come se ne era andato,
altrettanto inaspettatamente Cosimo Gasparini
riapparve in paese, uno dei primi giorni di agosto del 1950, dopo ben 15 anni
di assenza.
Scese dall'autobus, ritirò dal bagagliaio la valigia
e si guardò intorno: nulla sembrava cambiato. Stava respirando a pieni polmoni
l'aria umida, olezzante del putridume del vicino fiume quasi in secca, quando
un'esclamazione lo fece trasalire.
- Ma sì, sei proprio tu, Cosimo! E' ritornato,
gente, è ritornato!
Si volse a guardare chi lo chiamava e vide un uomo
in tuta da meccanico, sulla porta di un'officina da fabbro, che gli si faceva
incontro. Gli sembrò che il viso non gli fosse nuovo, ma c'era qualche cosa che
non quadrava in quel volto, che un tempo doveva essergli stato familiare: una
benda nera infatti copriva l'occhio sinistro.
- Non mi riconosci, cavolo. Non vedi che sono io,
il Guercio.
- Il Guercio?
- Ah sì, è vero che tu mi puoi ricordare con tutti
e due gli occhi; uno l'ho perso quando non c'eri ed è
stato in guerra. Però non puoi esserti dimenticato delle nuotate che facevamo
nel Po, io nudo e tu pudico con le mutande tutte scucite.
Cosimo si portò la mano alla fronte, fissò il suo
interlocutore ed esplose:
– Ma certo!
E quando andavamo a rane di notte con la lampada ad acetilene e tu riempivi il
sacco e poi ti divertivi a guardare quelle che cercavano di saltar fuori? Sì,
ti riconosco, sei il mio vecchio amico Annibale!
- Sei vestito come un
damerino, da gran signore. Hai fatto
fortuna via e io ci avrei scommesso perché, anche se non hai studiato, hai
sempre avuto una mente sveglia. Senti, facciamo un salto all'osteria, che lì
troviamo senz'altro qualcun altro che ti conosce, e poi, detto fra noi, questo
caldo, la polvere di ferro e l'urlata mi hanno fatto venir sete.
Nell'osteria erano in pochi ma, come si suol dire, di quelli buoni,
cioè tutta gente che era in paese da una vita e che, avendo già udito l'urlata
del Guercio, non poteva che riconoscere subito in quel signore elegante il Cosimo
di tanti anni prima.
- Offro da bere a tutti, così da brindare al mio
ritorno.
Inutile dire che questa frase fu accolta con
tripudio e tutti gli si fecero intorno a chiedergli dove fosse stato, che cosa
avesse fatto, se fosse sposato o avesse figli, una domanda dietro l'altra che
non lasciava spazio alle risposte.
- Sono stato all'estero, perché in paese ero stufo
di far la fame e di dover inghiottire anche l'olio di ricino dei fascisti; dove
ero non c'era l'olio di ricino e non c'era la fame, tanto che come vedete ho messo su un po' di pancia.
Il Carruba, l'oste, anche per
ingraziarsi l'uomo, esclamò:
- L'America è l'America, e là chi vuol darsi da
fare diventa un uomo di successo!
La frase non piacque per nulla al Guercio, che
nell'America vedeva il principale nemico del proletariato, ma, pur
rabbuiandosi, preferì non replicare e anzi intervenne:
– Scusa
Cosimo, come sai in paese ognuno ha un nomignolo: tu sarai l'Americano.
L'interessato sembrò voler puntualizzare qualche
cosa, ma poi preferì desistere, spiegando solo che non era ritornato
definitivamente, ma per un periodo di ferie di un mese, anche troppo per i
pressanti affari che imponevano la sua presenza in ditta.
E che fosse arricchito lo
dimostrò anche nei giorni successivi, con altre offerte di bevute, con la
promessa che l'anno dopo sarebbe ritornato con un'automobile.
A chi gli chiedeva di che si occupasse rispondeva
laconicamente, come uno che preferisse non parlare di lavoro durante le ferie,
dicendo che lavorava nel mondo della finanza.
Dato che in paese non c'erano alberghi, si era
offerto di ospitarlo a casa sua proprio il Guercio, ma
lui aveva rifiutato, ringraziandolo, e aveva preferito stare dall'Annina, la
bidella, che, per arrotondare il bilancio, era usa affittare una stanza della
sua abitazione.
La circostanza non passò inosservata al Guercio che
ricordava ancora il debole che Cosimo, anni prima, aveva avuto per questa
donna, rimasta ora sola con un figlio, dopo che il marito, partigiano, era
stato ammazzato dai tedeschi.
In paese, tuttavia, più d'uno era a conoscenza di
questa lontana simpatia e in breve cominciarono a essere ricamate le
chiacchiere.
Anche il Guercio decise di prendersi un po' di
ferie e di trascorrere del tempo, nonostante gli impegni di partito, con il
caro vecchio amico Cosimo.
La mattina presto, spesso i due si trovavano
davanti l'osteria, con canne e lenze, e andavano a pescare lungo i numerosi
canali di bonifica del circondario.
La pesca però era un pretesto per rivisitare
insieme i luoghi della giovinezza e per discutere.
- Quella là in fondo mi sembra la vigna del Tula; quanti bicchieri di quello buono ci siamo fatti con
lui. Un grande affarista, però un compagno di bisboccia ineguagliabile. Parlami
di lui, di cosa ha fatto in tutti questi anni e se è cambiato.
- Per lui gli affari sono sempre stati il vero
senso della vita e durante la guerra ne ha fatti ancora di più; poi, dopo l'8
settembre del ‘43, ha fiutato il cambio del vento, ma
dato che non c'erano certezze è stato contemporaneamente con i piedi in
entrambe le parti. Gli ho detto più volte che era un gioco pericoloso, una
volta aiutare i partigiani e l'altra i repubblichini, ma non mi ha voluto
ascoltare e alla fine qualcuno si è stufato. Una notte le camicie nere hanno
bussato alla sua porta, l'hanno caricato su un autocarro e il giorno dopo l'abbiamo trovato sull'argine del Po coperto dalle mosche.
- E don Zeffirino, il parroco, che ha fatto durante
la guerra?
- Ha fatto il prete e l'ha fatto bene: né con l'uno,
né con l'altro, ma ha usato per entrambi la stessa misericordia. Forse può
apparire sbagliato, ma io lo rispetto: fossero come
lui tutti gli altri preti!
- E questa tua passione per la politica?
- Arriva un giorno in cui devi fare una scelta, giusta
o sbagliata che sia, purché in buona fede: con l'arrivo dei tedeschi sono
andato alla macchia e sono entrato nelle formazioni garibaldine; qualcun altro
è andato con i repubblichini, molti per sete di potere e di guadagno, qualcuno
perché credeva in quello che faceva e, fascista o no, questi ha tutto il mio
rispetto. Finita la guerra, l'esperienza partigiana, che mi aveva insegnato a
fare delle scelte, mi ha imposto di trovare un'idea che cambiasse
questo mondo, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più
poveri. Mi è sembrato che l'unica via fosse il partito comunista e vi ho aderito con entusiasmo, un entusiasmo che non si smorza
mai di fronte anche a certe voci che vengono dall'Unione Sovietica.
Rimase un attimo assorto, come in imbarazzo, e
proseguì:
- Sì, perché
io credo a queste voci; là dove l'idea è sostituita dalla politica i sogni si
infrangono, ma non i miei, segretario locale di un
gruppo di cenciosi che sperano che qualcosa cambi e che danno tutto perché ciò
avvenga.
- Lo sai che io sono un apolitico; eppure, questo
non è bastato per sfuggire alle bastonature e all'olio di ricino dei fascisti,
e questo solo perché osavo parlare, dire ciò che non andava.
Un'altra volta andarono in barca sul Po che, benché
molto ridimensionato dalla magra estiva, restava tuttavia un fiume maestoso,
non ancora ridotto a una cloaca come invece sarebbe avvenuto di lì a non molti
anni.
Il Guercio, in piedi, remava e Cosimo stava seduto
a prua, immergendo le mani nell'acqua.
Ogni tanto dalle rive si alzavano in volo gli
aironi cinerini, rispecchiandosi nell'acqua lenta.
Cosimo li guardava, inebriandosi di quella natura,
anche lei sempre uguale, se pur diversa.
- Sai Annibale…
- Chiamami Guercio.
- Non ci riesco, mi sembra di offenderti; mi vuoi
dire com'è successo, insomma come in guerra hai perso l'occhio?
- Un'altra volta; è una storia lunga.
- Va bene e allora parliamo d'altro. Che fine ha
fatto Luigi Marchetti?
- Disperso in Russia.
- E suo fratello Aldo?
- Imboscato, sempre insieme ai fascisti, solo per
opportunità; alla fine della guerra è sparito, tanto che pensavamo che fosse
scappato in Sudamerica.
- E invece?
- E invece ce lo siamo
ritrovati in Parlamento con i democristiani; in primavera è tornato al paese
per una visita ufficiale. Era il 25 aprile e ha commemorato la Liberazione; ha
parlato, ma che dico, ha dato a tutti un lezione di
antifascismo, tanto che quasi quasi mi ha fatto
diventare simpatici i fascisti.
Si ammutolì, guardò l'acqua increspata, il solco
aperto dalla prua che subito si richiudeva dopo la poppa.
- Cosimo, finita la guerra, ma non so se ci
crederai, tanto sembra impossibile, non c'erano più fascisti; tutti, dico
tutti, dal podestà al Ludron, lo sporco usuraio,
erano diventati antifascisti e noi che avevamo rischiato la pelle alla macchia
ci siamo trovati fianco a fianco con chi avevamo combattuto.
Passi per il medico condotto, il Dr. Chesi, un fascista che non avrebbe fatto male a una mosca,
ma anche quel bastonatore di Guerra era finito con il passare con i partigiani
negli ultimi giorni di guerra.
- E come avete potuto sopportare una cosa simile?
- Ordini superiori dei politici, di qualsiasi
colore: la parola d'ordine è stata la riappacificazione nazionale, come se la Resistenza fosse stata
una schermaglia di parole, e non una lunga serie di battaglie, di morti, di torture.
Anche il giorno prima del
Ferragosto, i due si trovarono per una battuta di pesca e il Guercio, mentre
appoggiati a un salice guardavano le lenze flosce sull'acqua, colse l'occasione
per togliersi un sassolino dalla scarpa.
- Come va con l'Annina?
- Bene, è una gran brava donna, così com'è, da
sola, a mandare avanti la baracca.
- Non evitare la risposta alla domanda; ricordo
bene la simpatia che avevi per lei che, del resto, tutti in paese sanno.
- Non ci crederai, ma non l'ho nemmeno sfiorata; è
ancor più bella di allora, ha messo su un po' più di carne e anche il seno ci
ha guadagnato. Però, mi sono accorto che io per lei, come allora, non
rappresento nulla e mai lo rappresenterò.
E' ancora
innamorata di suo marito e questo amore lo riversa
tutto sul figlio: è un piacere vedere la tenerezza di una madre, quando gli
accarezza i capelli, quando lo lava. No, per me non c'è posto nel suo cuore.
- Dici la verità?
- Sì, Annibale, e perché dovrei dirti il contrario?
Siamo entrambi liberi, io e lei, e nulla vieta che possiamo vivere insieme,
tranne la mancanza di un amore reciproco. Lei mi ha detto che l'hai aiutata
molto, soprattutto appena finita la guerra, quando stava in città e non aveva
di che vivere…
Il Guercio quasi arrossì e troncò il tutto con un
secco:
–
Sciocchezze, cose da niente.
Verso sera, sulla via del ritorno, decisero di
passare a trovare un comune amico, che aveva casa in golena. Non fu una
decisione saggia, perché l'uomo, compagno di tante avventure di gioventù, non
disse parola quando li vide, anzi rimase assorto, con
occhi vuoti, a fissare il tramonto.
Una vecchia correva all'intorno a raccogliere le
galline, imitandone il verso con suoni sgraziati.
La luce bassa del sole, quell'uomo
dallo sguardo assente e la donna che s'affannava intorno al pollaio sembravano
fuori ruolo nel panorama del fiume su cui i pioppi della riva protendevano una
lunga fila di ombre
Si allontanarono alla svelta e Cosimo non poté fare
a meno di chiedere al Guercio una spiegazione per quel comportamento.
- Caro mio, la guerra è una gran brutta cosa; lui
era in marina e quando la sua nave fu affondata fu l'unico superstite di tutto
l'equipaggio. Lo raccolsero in mare dopo ben dieci giorni, più morto che vivo,
ma riuscirono a salvarlo. Purtroppo da allora non c'è più con la testa; come
hai potuto vedere vive con la vecchia madre, perché la moglie, poveraccia, è
scappata via con un tedesco alla fine della guerra.
Passò il Ferragosto e si avvicinava sempre di più il
giorno in cui l'Americano sarebbe ritornato da dove era venuto.
Una sera, mentre passeggiavano sull'argine,
smanacciando per le troppe zanzare, Cosimo, quasi fra sé e sé, mormorò:
– In questi
giorni ho osservato tanto e nulla è cambiato: le stesse abitudini, la medesima
atmosfera di allora. Eppure, tutto mi sembra diverso, come un'immagine sfocata;
forse, sono io che sono cambiato, che non riesco più a ritrovarmi nel mio
paese.
- E dai, Cosimo, non fare il piagnone: è la
malinconia per il giorno che si avvicina.
- No, è la certezza di un passato che non
ritornerà.
- Senti, cambiamo argomento; dimmi un po' da dove
vieni e che cosa fai.
Cosimo si fermò, guardò l'amico negli occhi, si
lasciò sfuggire un sospiro, poi si decise a parlare.
- Mi hai chiamato l'Americano, ma chi mai l'ha
vista l'America?
Quando ho lasciato il paese sono andato in Francia
da mio cugino e là ho lavorato per un paio d'anni nelle vigne di un conte, con
una paga da fame simile a quella che prendevo qua; allora sono scappato in
Belgio a lavorare in miniera e quando ci sono state le prime avvisaglie della
guerra sono emigrato nuovamente.
- Magari hai pensato di andare in America?
- Macché; volevo andare in un posto che non c'entrasse con le guerre e già allora si sapeva che
l'intervento americano era solo una questione di tempo… Ho sempre odiato la
guerra, quell'atmosfera greve che accompagna la
gente, quell'angoscia che corrode l'animo giorno dopo
giorno.
- E allora?
- Allora sono andato in
Svizzera, a Zurigo; ho fatto lo sguattero, lo spaccalegna e infine mi sono
trovato con altri tre italiani, poveracci come me; abbiamo fatto una piccola
società, un'impresa di pulizie di uffici e lavoriamo per alcune banche di
quella città.
Il Guercio si lasciò sfuggire una
risata, scusandosene immediatamente.
- E pensare che tutti sono convinti che tu lavori
nella finanza! Beh, in un certo senso, sì.
- Caro Annibale, è un lavoro duro e in tutti questi
anni ho risparmiato centesimo su centesimo per mettere da parte un gruzzoletto
che mi possa permettere di vivere dignitosamente al
mio paese; però, prima, e anche perché la somma non è ancora sufficiente, ho
voluto vedere se è ancora il mio paese.
- E lo è?
- Non lo so, ma spero di sì.
Un giorno che stavano facendo un giro in bicicletta,
su una strada polverosa e tutte buche, Cosimo si rivolse all'amico.
- Mi devi togliere una curiosità: perché a volte
usi la benda e altre hai l'occhio di vetro?
- La benda è per l'officina, perché non entri la
polvere di ferro; l'occhio di vetro, che fra l'altro non riesco mai a fissare
bene, è per tutte le altre volte, compreso quelle in cui faccio all'amore,
perché mia moglie dice che si impressiona a vedere l'occhiaia vuota e va a
finire che si blocca sul più bello.
- Già che ci sono, ricordo l'Annibale dei miei
tempi ,,,, gran bestemmiatore, e che parlava come un
bifolco; adesso sei diverso, sembri quasi uno che ha studiato.
Il Guercio fece una risatina:
– E' vero,
ma tutto questo è merito di Trepassi, un vecchio che
non puoi aver conosciuto perché è ritornato dall'estero, dove lavorava, quando
tu eri già andato via. Lui mi ha insegnato più di ogni maestro e di ogni
commissario politico. E' un anarchico, un uomo libero da tutto e da tutti e,
prima o poi, se capiterà l'occasione, te lo faccio conoscere.
- Certo che per noi è stata la vita la nostra
scuola.
- E che scuola!
- Ricordi la prima volta che siamo andati al
casino?
- E come no.
- Ci sembrava di compiere un'impresa, pensavamo a
chissà quali follie e poi per la tensione e l'emozione tu hai fatto cilecca.
Il Guercio esplose in una risata sguaiata:
– Pensa che credevo di essere un finocchio!
- Sì, è vero, mi ricordo bene che ti ho detto anche
che avremmo ritentato un'altra volta.
- Ma non c'è stata un'altra volta, almeno con le
puttane. In verità ho imparato il vero significato della parola amore solo con
mia moglie. E tu, ce l'hai una donna?
- No, ci potrebbe essere, l'ho sempre amata, ma per
lei, come sai, sono poco più che un amico.
- Non disperare. Chissà che con il tempo l'Annina non
ci ripensi; ne sarei felice per entrambi.
Cosimo non rispose, anzi si mise a spingere con più
forza sui pedali, gridando:
– Facciamo a
chi arriva primo alla casa cantoniera?
A fine agosto partì, con la promessa che sarebbe
ritornato.
Passarono alcuni anni senza che se ne avessero più notizie e ormai quasi tutti lo avevano
dimenticato quando un giorno il sindaco chiamò il Guercio; gli comunicò,
imbarazzato, che dal Municipio di Zurigo gli avevano scritto che il Sig. Cosimo Gasparini era morto e
che la salma sarebbe ritornata il giorno dopo con il treno delle 15; gli
consegnò una lettera indirizzata all'Annina e, a parte, un assegno di 5.000
Franchi svizzeri con un'altra lettera, questa volta indirizzata al Sig. Annibale Chiocchetti.
Strinse la mano al Guercio e gli porse le
condoglianze.
- So che eravate molto amici; non ho parole.
Il Guercio rientrò alla svelta all'officina, si
chiuse nel suo ufficetto e aprì la busta destinata a
lui.
Gli tremavano le mani e appena cominciò a leggere
gli si inumidirono gli occhi.
Caro Annibale,
prima di tutto ti chiedo di
spendere bene i 5.000 franchi svizzeri dell'assegno; è un piacere grosso quello
che ti chiedo, ma sarebbe un mio grande desiderio se tu con il denaro
provvedessi ai bisogni più urgenti di Annina e suo figlio, cercando di farlo
studiare, in modo che abbia un avvenire. Annina però non lo deve sapere; mi
raccomando di non dirle nulla.
Per le spese del funerale ho già provveduto in
Svizzera e mi basta una semplice sepoltura in terra e una croce.
E' bello il nostro paese e spero che resti tale.
Il Guercio si asciugò l'occhio con la manica della
tuta e si strinse forte la fronte con la mano.
Speravo di tornare in un altro modo, ma si vede che
non ero destinato; ho avuto una vita difficile, senza affetti,
ma quel mese che ho passato da voi è stato il più bel regalo che potessi
avere, più di ogni fortuna in denaro, più di ogni successo.
Un caro abbraccio
Cosimo
E il Guercio, che pur in vita sua ne aveva viste e provate tante, si mise a singhiozzare come un bimbo, poi si
asciugò e fu preso dall'irrefrenabile curiosità di leggere la lettera
indirizzata all'Annina. Con pazienza certosina scollò la chiusura, prese il
foglio e lesse.
Grazie di tutto.
Cosimo
Solo quelle tre parole e la firma; si fermò un
attimo a pensare e alla fine si rese conto di aver capito come in così poco
Cosimo avesse detto così tanto.
Il giorno dopo tutto il paese partecipò ai
funerali, e più d'uno che non sapeva - perché il Guercio non disse mai nulla in
proposito - ebbe a commentare che l'Americano, se aveva avuto fortuna negli
affari, non ne aveva avuta altrettanta nella vita.