Apparve in paese in un freddo
giorno di gennaio, infagottato in un vecchio cappotto logoro, magro,
scheletrico, la barba incolta, gli occhi arrossati, i capelli corvini che non
conoscevano da un bel po' il taglio del barbiere.
Entrò nell'osteria e si precipitò
subito a scaldarsi sedendo vicino alla stufa a legna.
Si voltò a guardare i presenti,
che lo fissavano incuriositi, e li salutò, con un buongiorno stretto, tipico di
un idioma non locale.
Il Guercio che, in un angolo
stava leggendo l'Unità, sollevò gli occhi dal giornale e gli rivolse la parola.
- E tu chi sei?
Quello si guardò intorno, quasi
in preda al panico, soffocato da quegli sguardi che lo scrutavano, e rispose,
deglutendo.
- Sono Calogero Vizzini e vengo da Acitrezza, in
Sicilia. Sono in cerca di lavoro, perché da noi si muore di fame.
Al che il Guercio fece un cenno
all'oste perché gli portasse un caffelatte con un po' di pane, poi si alzò e
andò a sedersi accanto al nuovo venuto. Lasciò che consumasse la colazione, il
che avvenne in un attimo, a conferma di una fame arretrata, poi gli rivolse di
nuovo la parola.
- Parlaci un po' di te.
Raccontaci la tua storia, quello che sai fare, e chissà che ti si possa trovare
un lavoro.
- Che storia volete che vi
racconti? Quinto di dieci figli, orfano di madre, poiché l'undicesimo se l'è
portata via con lui; la guerra, prima i tedeschi, poi gli americani, quindi la
pace, senza che sia cambiato qualche cosa: bestia ero prima e bestia sono ora.
Ho studiato ben poco e so appena
leggere e scrivere, ho solo le mie braccia da offrire.
- Va bene, ho capito. Adesso
vieni con me che ti trovo un lavoro e un letto.
Il Guercio coltivava da anni
un'amicizia con un agricoltore che, rosso non era, ma che si teneva buoni i
comunisti, sperando così di non dover difendere un giorno la sua proprietà, e
così sistemò Calogero da lui.
Il lavoro sarebbe stato quello
dei campi e il letto un giaciglio preparato alla meglio su nel granaio.
I giorni passarono, vennero la
primavera e poi l'estate, e in paese si dimenticarono del siciliano, che non
aveva l'abitudine di frequentare l'osteria.
Ricomparve, all'improvviso, una
mattina dei primi d'ottobre; il volto scavato, gli occhi allucinati, entrò
nell'osteria, si guardò intorno e, scorto il Guercio, andò subito da lui.
- Buongiorno, Calogero. Qualche
problema, dormito male?
- Non è stata una notte, è stato
un inferno, un incubo dietro l'altro e sempre quello: il treno che viene da
sud, che arriva al ponte sul Po, comincia ad attraversarlo ed ecco che, in un fragore
assordante, finisce dentro l'acqua.
- Sì, è stato un incubo, perché
già sono passati tre treni e nessuno s'è bagnato.
- Forse, ma c'era nel sogno un
orologio che segnava le 10,30.
Il Guercio guardò la sua vecchia
cipolla – Adesso sono le 9,10.
- Non mi credete vero?
- Ma dai, non può essere che un
brutto sogno, come se ne fanno ogni tanto.
Il siciliano, avvilito, tolse il
disturbo e ritornò al suo lavoro.
Nell'osteria parlottarono un po'
di quello strano tipo, del suo sogno strampalato, poi tornarono agli argomenti
preferiti: il calcio, la politica e le corna.
Verso le 10 il Guercio, che
doveva recarsi a Modena, uscì e andò in stazione.
Si mise ad attendere il treno sul marciapiedi, andando su e giù, tanto per ingannare il
tempo.
Nel corso della sua svagata
deambulazione finì che arrivò all'inizio del ponte, anche per la curiosità di
vedere il passaggio sul fiume del treno che proveniva da Modena e che precedeva
l'arrivo del suo di una decina di minuti. Udì in lontananza il fischio della
locomotiva e dopo un paio di minuti questa comparve all'inizio del ponte, ma
come iniziò a percorrere la prima arcata questa si piegò e precipitò in acqua
trascinando con sé la motrice fra enormi sbuffi di vapore. Per un vero e
proprio miracolo non la seguirono nella caduta i vagoni con i passeggeri.
Inutile dire che il Guercio
dovette rinunciare al suo viaggio a Modena e anzi la linea fu impraticabile per
diversi mesi.
Nella disgrazia, che avrebbe potuto
avere dimensioni catastrofiche, perirono solo il macchinista e il fuochista.
Dopo il primo attimo di
sbigottimento, il Guercio si sovvenne del sogno di Calogero, tanto che ritenne
necessario raggiungerlo per raccontargli l'accaduto.
- Ma come hai fatto a sognarti
una cosa del genere?
- Non lo so; è successo e mi sono
risvegliato tutto sudato e con un gran mal di testa.
Della disgrazia e del sogno si
parlò in paese a lungo, ma poi la cosa, com'era nata, finì lì, nella
convinzione generale che si fosse trattato di una pura e semplice coincidenza.
I mesi passarono e si arrivò così
al 14 luglio del 1948, una giornata afosa che toglieva le forze, affanno tanto più avvertito dal Guercio che nella sua officina stava
lavorando una sbarra di ferro arroventata.
Benché frastornato dalla fatica e
dai colpi di martello con cui cercava di dar forma a quella materia inerte udì
chiaramente una voce sguaiata che reclamava la sua attenzione.
Si volse e vide sulla porta il
siciliano, tutto tremante e con gli occhi fuori dalle
orbite.
- Che c'è?
- Ho fatto un altro sogno.
- Un altro sogno? E che hai
sognato?
- Non so come dirvelo, ma voi
siete la persona giusta, perché ho saputo che state dalla parte del popolo.
- E allora?
Il siciliano divenne titubante,
si guardò all'intorno, si accostò al Guercio e gli bisbigliò – Una gran brutta
cosa e ho paura a dirlo.
- Parla, insomma!
- Questa mattina il vostro capo
dei capi…
- Il nostro capo dei capi?
- Sì, insomma…non ricordo come si
chiama, ma il nome lo so…è…dunque…Palmiro.
- Palmiro? Palmiro Togliatti vuoi dire?
- Sì, proprio lui. Questa
mattina, dicevo, lo vogliono ammazzare.
- Non è una novità, perché
Palmiro Togliatti è un personaggio scomodo, ma
potresti essere più preciso?
- In sogno l'ho visto insieme a
una donna uscire da un palazzo enorme e uno che gli si avvicinava e gli
sparava.
- Sì, e magari sai anche
l'orario?
- C'era il solito orologio che
segnava le 11,30.
Il Guercio guardò la sua vecchia
cipolla e la mostrò anche a Calogero.
- Ecco, vedi sono le 11,50 e non
è successo niente; è stato solo un brutto sogno e adesso calmati e torna al tuo
lavoro.
Il siciliano se ne andò con aria
sconsolata, mentre il Guercio, dato l'orario, decise che era ora di chiudere
bottega e di andare a pranzo.
Consumò alla svelta il piatto di pasta
e fagioli che gli aveva preparato la moglie, poi pensò bene che non era una brutta idea coricarsi per un'oretta.
Si era appena appisolato
quando fu svegliato da un frastuono di voci che provenivano dalla strada; si alzò, aprì
le imposte e, mezzo accecato dal sole a picco, si sporse.
Giù c'erano il maresciallo dei
carabinieri e una decina di iscritti al partito in preda a una
esaltazione tanto più incredibile data l'ora e la calura.
- Ma che è successo?
Il maresciallo gli rivolse la parola
– La prego, venga giù a calmarli, perché vogliono dar l'assalto alla caserma
per prendere le armi.
- Ma che siete tutti ammattiti!
E' scoppiata la rivoluzione?
Il maresciallo, che aveva
difficoltà ormai a tenere a bada i forsennati, gli gridò con tutta la sua voce
– Questa mattina hanno sparato a Togliatti!
- Madonna mia! E quando è
accaduto?
- Verso le 11,30, mentre usciva
da Montecitorio con Nilde Jotti;
è stato un ragazzo. Lui è ferito seriamente, ma non è in pericolo di vita. La
prego, faccia qualche cosa per calmarli.
- Adesso basta! Se continuate
così, vengo giù io e facciamo i conti! In queste situazione
l'importante è mantenere la calma.
Bastarono quelle poche parole,
espresse con tono imperioso, e la piccola rivolta si sgonfiò come per incanto.
Il Guercio avrebbe
voluto andare subito da Calogero, ma per telefono gli fu comunicato che
era necessaria la sua immediata presenza a Roma e l'incontro con il veggente
dovette essere necessariamente rinviato.
Partì già nel pomeriggio e non fu
di ritorno che tre giorni dopo. Passò da casa solo per un saluto rapido alla
moglie e per lasciare la valigia di cartone, poi corse a cercare il siciliano.
Lo trovò nei campi, intento al lavoro.
- E' stato tutto vero come hai
raccontato tu. Ma com'è possibile?
- Lo chiedete a me? Vi rispondo
che non lo so; vado a letto, m'addormento, sogno e quando mi risveglio ho un
gran mal di testa e mi ricordo tutto.
- Già…
- Non è che mi diverto, tanto che
ormai ho paura ad addormentarmi.
- Forse è il caso di prendere una
bella camomilla prima di coricarti.
- Proverò.
- Ciao e…non farne parola con
nessuno di questa faccenda.
- A dire il vero, proprio questa
mattina, ne ho parlato al padrone, al Signor Giobatta.
- Proprio a lui dovevi parlarne?
- Mi sono raccomandato che
rimanesse una cosa fra noi due.
- Appunto, è il tipo adatto a
tener la bocca chiusa: a quest'ora se non lo sanno ancora a Roma è un caso.
Lungo la strada che portava al
campo si levò un polverone in rapido avvicinamento e che ben presto avvolse
entrambi. Si senti il rumore di un motore, una porta che sbatteva e da quella
nebbia emerse il maresciallo.
- Calogero Vizzini
di Domenico?
- Sì, sono io, marescià.
- Seguimi, che
ti devo portare in caserma.
Il Guercio si mise fra i due – Ma
che ha fatto?
- Sono cose che non la riguardano
e la prego di spostarsi.
Il tono era perentorio e il
Guercio non poté fare a meno di tirarsi indietro.
Calogero e il maresciallo
salirono sulla camionetta e ripartirono a tutta velocità in una nube di polvere
che oscurò anche il sole.
Il Guercio si avviò alla svelta verso il
paese, con la testa che gli scoppiava, in preda ai più foschi presentimenti.
Già vedeva l'interrogatorio del
povero Calogero, sospettato di essere uno dei complici dell'attentato; gli
balzavano davanti agli occhi le immagini di oscure segrete, di bracieri da
tortura pronti a essere utilizzati.
Scacciò questi pensieri dicendosi
che in fondo le caratteristiche del siciliano erano tali da non far pensare che
potesse essere parte di un complotto e che poi, in fin dei conti, l'ipotesi di
un'azione organizzata non poteva che essere osteggiata dal governo in carica,
timoroso di ulteriori gravi disordini.
A quest'idea si tranquillizzò per
un istante, ma poi la sua mente sagace gli fece intravedere un'ipotesi ancor
peggiore:
se era
conveniente per chi comandava dimostrare che non c'era stato un complotto e che
solo Pallante aveva deciso autonomamente di compiere
il folle gesto, la persona del siciliano avrebbe rotto le uova nel paniere e
appariva quindi evidente che la stampa e gli italiani non avrebbero dovuto
venire a conoscenza del nuovo personaggio. Si mise le mani nei capelli e
concluse che l'avrebbero fatto sparire.
Arrivato all'osteria, sapeva già
che cosa doveva fare. Tramite i suoi scagnozzi riuscì a convocare mezzo paese e
di fronte a tutti raccontò la vicenda. Fu un discorso abbastanza lungo , durante il quale non dimenticò la sua abitudine di
attribuire dei nomignoli. Tutto accaldato e con la voce roca concluse – E
perciò vi invito a venire con me alla caserma dei Carabinieri, a circondarla di
modo che nessuno possa portar via Nostradamus.
- Nostradamus?
- Gli fecero eco gli astanti.
- Ma sì, il siciliano, Calogero. Nostradamus era un santone di alcuni secoli fa che sapeva
sempre in anticipo quello che sarebbe successo. E adesso andiamo.
Il maresciallo dei carabinieri,
che era davanti al portone della caserma, vide arrivare una folla perfettamente
inquadrata, con le donne davanti e a seguire gli uomini, una marcia compatta e
solenne che ricordava il famoso quadro di Pelliza da Volpedo. Si rifugiò all'interno e telefonò subito al
comando.
- Ci sono degli scalmanati che
vogliono attaccarci. Che devo fare?
…
- Chi li comanda?
…
- Quel rosso del Guercio.
…
- Chi è il Guercio? Annibale Chiocchetti, il segretario della locale sezione comunista.
…
- Devo essere più preciso nei
termini, Signor capitano? Sì, certo, mi scuso.
…
- Che fanno adesso? Sono davanti alla caserma, in piedi, ma
fermi, inquadrati come un reggimento.
…
- Devo sentire che vogliono, poi
riferirle?
…
- Sarà fatto.
E il maresciallo riapparve sul
portone.
- Che volete?
Il Guercio si fece avanti
- Vogliamo il siciliano e io
voglio chiarire l'equivoco.
- Non posso e non vedo dove è
l'equivoco.
- Le assicuro, Maresciallo, che quell'uomo è in grado di prevedere il futuro.
- Mica tanto! Quando ha
raccontato a Giobatta del suo sogno avrebbe dovuto sapere che quello ne avrebbe
parlato con tutti.
- Mi riferivo al sogno.
- E io no! Del suo sogno non
m'importa; non sapevo nemmeno che Calogero Vizzini
fosse da queste parti fino a quando non l'ho sentito
nominare questa mattina da Giobatta.
- Mi tolga una curiosità: lei lo
ha arrestato in relazione al sogno?
- No, ma che dice! Calogero Vizzini è ricercato per furti di bestiame commessi al suo
paese.
- Furti di bestiame?
- Sì, ben tre: a memoria il primo
di tre galline, il secondo di un'anatra e il terzo di due pecore.
Il Guercio sbottò a ridere come
un pazzo, facendo restare allibito il maresciallo.
- E io che credevo, che
pensavo…Furti bestiame! -
E giù un'altra risata.
Quando si fu calmato, mise una
mano sulla spalla del maresciallo.
- Senta, non è che si può
chiudere un occhio?
- No, non è possibile.
- Se c'è una multa da pagare, ci
pensiamo noi.
- No, ripeto che non è possibile
perché è già stato condannato in contumacia a un anno e sei mesi di reclusione
e purtroppo li dovrà scontare.
Il Guercio allargò le braccia e
ritornò alla folla, raccontò in breve il tutto e finalmente si avviò verso
casa.
Da allora trascorsero molti anni,
senza che si avessero più notizie del siciliano e anche il Guercio se n'era
dimenticato.
Ormai vecchio, sopiti gli
entusiasmi politici giovanili, passava buona parte delle giornate al bar a fare
una partita carte o a leggere i quotidiani.
Fu proprio su uno di questi che
notò immediatamente l'articoletto, una sorta di pubblicità che diceva:
“Volete sapere il vostro futuro?
Desiderate i numeri vincenti al lotto?
Basta rivolgersi al mago Nostradamus, veggente superiore laureato alla Facoltà di
Scienze Occulte della Sorbona – per appuntamento
telefonate al n….”
Non telefonò, ma volle sapere e
quando chiese alla Telecom chi era l'intestatario di
quel numero e gli fu risposto “Calogero Vizzini”,
proruppe in una risata fragorosa, come ormai da anni non gli capitava.