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  Racconti  »  Storie di paese Prima Serie  »  Giacomina 20/11/2018
 
Giacomina

di Renzo Montagnoli



Il Guercio, mano a mano che invecchiava, alternava periodi in cui era piuttosto silenzioso ad altri in cui invece sembrava volermi svelare problemi che gli rodevano dentro, come questo di cui ebbe a parlarmi in un’afosa sera d’estate. Il tono era calmo, ma si vedeva sul suo viso una contrazione, una sofferenza, tipica di chi ha un rospo nello stomaco e cerca di liberarsene, anche se sa che a volte è impossibile.

Parola per parola riporto quanto mi disse; la sua fu una narrazione abbastanza lunga e io ebbi il buon senso di non interromperlo mai affinché potesse sfogarsi con un amico.

<<Non so se per gli altri è lo stesso, ma comunque per chi ha un’età come la mia, fatta di un autunno di un tronco scortecciato, capita di tanto in tanto che riaffiorino, all’improvviso, ricordi di tanti anni fa e mi vien da sorridere perché magari non rammento quel che ho fatto il giorno prima. È come se le memorie recenti venissero presto cancellate, donando in cambio l’opportunità di ripescare da un apparente oblio fatti che a volte dubito siano veramente accaduti. La vista di un ragazzino che portava a spasso il cane ha fatto esplodere un flash nella mia mente, ha squarciato il telo spesso che quasi sempre teneva nascosta la mia gioventù, tanto da far pensare di non aver mai attraversato quel periodo che invece è di tutti noi. Un cane e un ragazzo che camminano lungo la mia stessa strada ed ecco che un ragazzo e un cane procedono in un viottolo sconnesso, ma non ora, bensì a dir poco, cinquanta anni fa. L’animale non è certo bello, né di razza, è sporco e anche malnutrito, ma guarda il ragazzo con occhi speranzosi, cerca forse una carezza, o un padrone a cui affidarsi. Non vedo nitidamente il ragazzo, né pertanto saprei descriverlo, ma so chi è, perché sono io. Era stato l’animale a incontrare me, ad accovacciarsi accanto alla panchina su cui, seduto, scioglievo in lacrime un dolore che mi portavo appresso da alcune ore, da quando avevo saputo che avevano ripescato in Po il corpo di Giacomina. Chi era Giacomina? Non è facile da dire, o da far capire, ma i ricordi che riemergono, dapprima disordinati, stanno rimettendosi al loro posto come i tasselli di un mosaico. Le immagini ora sembrano più chiare e rivedo tre ragazzi, coetanei di 14 anni, che vanno a zonzo alla periferia del paese. Uno sono io e gli altri due Filippo e Maurizio, compagni fissi di un periodo di scorribande, di bagni nei fossati e di scherzi innocenti, anche se a volte poco piacevoli. Maurizio era il più sviluppato, già s’atteggiava a uomo, arrivando perfino a fumare, ostentatamente, qualche sigaretta, di cui ci faceva provare una boccata che si concludeva sempre in una sorte di tosse taroccata. Filippo era l’ombra di Maurizio, nel senso che aderiva senza batter ciglio alle sue iniziative; io, invece, ci stavo bene insieme, ma rimanevo un po’ sulle mie e già non mi piaceva esser comandato, senza per questo desiderare d’essere obbedito. Un trio di monelli si sarebbe potuto definire, sempre pronti ad attaccar briga con altri ragazzi dei paesi vicini, quasi sempre per un nonnulla. Ma io, a meno che non venissi attaccato, non muovevo mai le mani, un po’ perché il mio cuore non era di certo impavido, un po’ perché ho sempre amato il quieto vivere. Il periodo migliore era l’estate; senza l’obbligo della scuola, eravamo sempre a zonzo e in una di queste, chiamiamole escursioni, ci capitò di passare davanti alla casa dello Zizza. Era costui un omaccione, che di professione faceva il bevitore di vino, nel senso che era ubriaco dalla mattina alla sera e pesava perciò sulla famiglia, che campava alla meno peggio con i lavori della moglie, una lavandaia, una donna con un gran deretano, ma smunta in viso e con gli occhi così stanchi che parevano desiderare un eterno riposo. Avevano poi due marmocchietti, molto più giovani di noi, che spesso coperti di mosche razzolavano, come galline, sul sentiero. Inoltre, c’era la figlia, lei, la Giacomina, più o meno della nostra età, non bella, ma nemmeno brutta, un po’ ossuta, ma con i seni che già s’apprestavano a sbocciare. Maurizio, l’uomo, l’adocchiò subito e le rivolse la parola: “Che fai oggi, bella f…a?”. Lei non rispose e continuò a guardarci senza espressione. Ma Maurizio non s’impressionò e aggiunse: “Se vieni a fare un giro con noi, prediamo il gelato e te lo offriamo.”. Aveva indovinato la parola magica, perché era evidente che di gelati la fanciulla ne vedeva pochi e infatti senza aprir bocca si accodò. Fu una passeggiata silenziosa, mangiammo il gelato e tutto sarebbe stato nella norma se non ci fosse stato un ritorno un po’ particolare. Eravamo nel pioppeto, quando Maurizio disse a Giacomina: “Noi ti abbiamo offerto il gelato e tu come contraccambi?” La fanciulla restò zitta, al che Maurizio calò le sue parole come il giocatore che a un tavolo da poker mostra la sua scala reale:”Sta tranquilla, non devi tirar fuori dei soldi, che scommetto non hai; basta che tu faccia una cosa, che tu ce la faccia vedere, insomma che ti tiri giù la sottana e le mutande e che apra bene le gambe. “. Mi prese una strana eccitazione, combattuto fra il desiderio di vedere il sesso femminile e la vergogna di approvare, se pur tacitamente, la richiesta di Maurizio. Lei obbedì e si mostrò; ricordo bene che Maurizio sbavava e che Filippo continuava a ripetere “Che bella, che bella.”. Restai in disparte, ma vidi, vidi tutto e, quando lasciata Giacomina alla sua casa, prendemmo la via del ritorno, manifestai ai miei due amici il senso di vergogna che provavo. Filippo non mi rispose; Maurizio invece alzò la voce, quasi gridando: “Non è che una puttana, come quasi tutte le donne.”. Restai zitto, ma il giorno dopo evitai di incontrarmi con loro due, e così il giorno successivo ancora, tanto che ci perdemmo di vista e li incontrai di nuovo dopo un paio d’anni all’osteria del paese, dove da qualche giorno non si faceva altro che parlare del suicidio di Giacomina. Tutti si chiedevano il perché, senza aver risposta, fino a quando ci fu la notizia ufficiale dell’arresto del padre della ragazza per sfruttamento della prostituzione e la sfruttata era lei, una ragazza che delle gioie della vita nulla aveva provato e che umiliata, offesa, mercificata aveva cercato nella morte una vita diversa. La vergogna di quel giorno mi ha sempre accompagnato e mi

accompagnerà per il resto dei miei anni, con il rimorso – ma allora ero troppo giovane e non potevo comprendere – per non averla aiutata.

Quanto a Filippo, finito nella Legione Straniera, non se n’è saputo più nulla; Maurizio invece è stato nelle cronache, prima una rapina, un po’ di carcere, un’altra rapina e il successivo conflitto a fuoco con la polizia durante il quale è rimasto ucciso.

Di Giacomina non c’è più persino la tomba, ma quelle poche volte che vado il riva al Po recito una preghiera, per lei, ma soprattutto per me, che in un giorno scellerato, in un certo senso ho approfittato della sua rassegnata sofferenza.>>

Non cercai di rincuorarlo, sarebbe stato inutile; gli misi solo una mano sulla spalla e avvertii il tremito del suo corpo, teso a frenare un pianto che di sicuro ci sarebbe stato, non appena fossi andato via, e infatti mi accomiatai, senza saluti, tranne un leggero cenno del capo.



Da Storie di paese

 
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