Giacomina
di
Renzo Montagnoli
Il
Guercio, mano a mano che invecchiava, alternava periodi in cui era
piuttosto silenzioso ad altri in cui invece sembrava volermi svelare
problemi che gli rodevano dentro, come questo di cui ebbe a parlarmi
in un’afosa sera d’estate. Il tono era calmo, ma si
vedeva sul suo viso una contrazione, una sofferenza, tipica di chi ha
un rospo nello stomaco e cerca di liberarsene, anche se sa che a
volte è impossibile.
Parola
per parola riporto quanto mi disse; la sua fu una narrazione
abbastanza lunga e io ebbi il buon senso di non interromperlo mai
affinché potesse sfogarsi con un amico.
<<Non
so se per gli altri è lo stesso, ma comunque per chi ha un’età
come la mia, fatta di un autunno di un tronco scortecciato, capita di
tanto in tanto che riaffiorino, all’improvviso, ricordi di
tanti anni fa e mi vien da sorridere perché magari non
rammento quel che ho fatto il giorno prima. È come se le
memorie recenti venissero presto cancellate, donando in cambio
l’opportunità di ripescare da un apparente oblio fatti
che a volte dubito siano veramente accaduti. La vista di un
ragazzino che portava a spasso il cane ha fatto esplodere un flash
nella mia mente, ha squarciato il telo spesso che quasi sempre teneva
nascosta la mia gioventù, tanto da far pensare di non aver mai
attraversato quel periodo che invece è di tutti noi. Un cane e
un ragazzo che camminano lungo la mia stessa strada ed ecco che un
ragazzo e un cane procedono in un viottolo sconnesso, ma non ora,
bensì a dir poco, cinquanta anni fa. L’animale non è
certo bello, né di razza, è sporco e anche malnutrito,
ma guarda il ragazzo con occhi speranzosi, cerca forse una carezza,
o un padrone a cui affidarsi. Non vedo nitidamente il ragazzo, né
pertanto saprei descriverlo, ma so chi è, perché sono
io. Era stato l’animale a incontrare me, ad accovacciarsi
accanto alla panchina su cui, seduto, scioglievo in lacrime un dolore
che mi portavo appresso da alcune ore, da quando avevo saputo che
avevano ripescato in Po il corpo di Giacomina. Chi era Giacomina? Non
è facile da dire, o da far capire, ma i ricordi che
riemergono, dapprima disordinati, stanno rimettendosi al loro posto
come i tasselli di un mosaico. Le immagini ora sembrano più
chiare e rivedo tre ragazzi, coetanei di 14 anni, che vanno a zonzo
alla periferia del paese. Uno sono io e gli altri due Filippo e
Maurizio, compagni fissi di un periodo di scorribande, di bagni nei
fossati e di scherzi innocenti, anche se a volte poco piacevoli.
Maurizio era il più sviluppato, già s’atteggiava
a uomo, arrivando perfino a fumare, ostentatamente, qualche
sigaretta, di cui ci faceva provare una boccata che si concludeva
sempre in una sorte di tosse taroccata. Filippo era l’ombra di
Maurizio, nel senso che aderiva senza batter ciglio alle sue
iniziative; io, invece, ci stavo bene insieme, ma rimanevo un po’
sulle mie e già non mi piaceva esser comandato, senza per
questo desiderare d’essere obbedito. Un trio di monelli si
sarebbe potuto definire, sempre pronti ad attaccar briga con altri
ragazzi dei paesi vicini, quasi sempre per un nonnulla. Ma io, a meno
che non venissi attaccato, non muovevo mai le mani, un po’
perché il mio cuore non era di certo impavido, un po’
perché ho sempre amato il quieto vivere. Il periodo migliore
era l’estate; senza l’obbligo della scuola, eravamo
sempre a zonzo e in una di queste, chiamiamole escursioni, ci capitò
di passare davanti alla casa dello Zizza. Era costui un omaccione,
che di professione faceva il bevitore di vino, nel senso che era
ubriaco dalla mattina alla sera e pesava perciò sulla
famiglia, che campava alla meno peggio con i lavori della moglie, una
lavandaia, una donna con un gran deretano, ma smunta in viso e con
gli occhi così stanchi che parevano desiderare un eterno
riposo. Avevano poi due marmocchietti, molto più giovani di
noi, che spesso coperti di mosche razzolavano, come galline, sul
sentiero. Inoltre, c’era la figlia, lei, la Giacomina, più
o meno della nostra età, non bella, ma nemmeno brutta, un po’
ossuta, ma con i seni che già s’apprestavano a
sbocciare. Maurizio, l’uomo, l’adocchiò subito e
le rivolse la parola: “Che fai oggi, bella f…a?”.
Lei non rispose e continuò a guardarci senza espressione. Ma
Maurizio non s’impressionò e aggiunse: “Se vieni a
fare un giro con noi, prediamo il gelato e te lo offriamo.”.
Aveva indovinato la parola magica, perché era evidente che di
gelati la fanciulla ne vedeva pochi e infatti senza aprir bocca si
accodò. Fu una passeggiata silenziosa, mangiammo il gelato e
tutto sarebbe stato nella norma se non ci fosse stato un ritorno un
po’ particolare. Eravamo nel pioppeto, quando Maurizio disse a
Giacomina: “Noi ti abbiamo offerto il gelato e tu come
contraccambi?” La fanciulla restò zitta, al che Maurizio
calò le sue parole come il giocatore che a un tavolo da poker
mostra la sua scala reale:”Sta tranquilla, non devi tirar fuori
dei soldi, che scommetto non hai; basta che tu faccia una cosa, che
tu ce la faccia vedere, insomma che ti tiri giù la sottana e
le mutande e che apra bene le gambe. “. Mi prese una strana
eccitazione, combattuto fra il desiderio di vedere il sesso femminile
e la vergogna di approvare, se pur tacitamente, la richiesta di
Maurizio. Lei obbedì e si mostrò; ricordo bene che
Maurizio sbavava e che Filippo continuava a ripetere “Che
bella, che bella.”. Restai in disparte, ma vidi, vidi tutto e,
quando lasciata Giacomina alla sua casa, prendemmo la via del
ritorno, manifestai ai miei due amici il senso di vergogna che
provavo. Filippo non mi rispose; Maurizio invece alzò la voce,
quasi gridando: “Non è che una puttana, come quasi
tutte le donne.”. Restai zitto, ma il giorno dopo evitai di
incontrarmi con loro due, e così il giorno successivo ancora,
tanto che ci perdemmo di vista e li incontrai di nuovo dopo un paio
d’anni all’osteria del paese, dove da qualche giorno non
si faceva altro che parlare del suicidio di Giacomina. Tutti si
chiedevano il perché, senza aver risposta, fino a quando ci fu
la notizia ufficiale dell’arresto del padre della ragazza per
sfruttamento della prostituzione e la sfruttata era lei, una ragazza
che delle gioie della vita nulla aveva provato e che umiliata,
offesa, mercificata aveva cercato nella morte una vita diversa. La
vergogna di quel giorno mi ha sempre accompagnato e mi
accompagnerà
per il resto dei miei anni, con il rimorso – ma allora ero
troppo giovane e non potevo comprendere – per non averla
aiutata.
Quanto
a Filippo, finito nella Legione Straniera, non se n’è
saputo più nulla; Maurizio invece è stato nelle
cronache, prima una rapina, un po’ di carcere, un’altra
rapina e il successivo conflitto a fuoco con la polizia durante il
quale è rimasto ucciso.
Di
Giacomina non c’è più persino la tomba, ma quelle
poche volte che vado il riva al Po recito una preghiera, per lei, ma
soprattutto per me, che in un giorno scellerato, in un certo senso ho
approfittato della sua rassegnata sofferenza.>>
Non
cercai di rincuorarlo, sarebbe stato inutile; gli misi solo una mano
sulla spalla e avvertii il tremito del suo corpo, teso a frenare un
pianto che di sicuro ci sarebbe stato, non appena fossi andato via, e
infatti mi accomiatai, senza saluti, tranne un leggero cenno del
capo.
Da
Storie di paese
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