- Quando sono partito questa mattina era già là e
quando sono ritornato l'ho ritrovato seduto sulla panchina di
ferro sgangherata, incurante dell'umidità e del freddo. Così da più di
due mesi, da quando gli è morta la moglie.
Il Guercio si grattò il mento e poi si rivolse al
suo interlocutore che, per lavoro, andava ogni giorno in città utilizzando il
treno – E tu non gli hai mai chiesto perché sta lì?
- Sì, un paio di volte e mi ha sempre risposto che
aspetta, solo non si sa che cosa. Guercio, quello è vecchio, con la morte della
moglie è andato giù di testa. Se non si fa qualche cosa, va a finire che si
ammala.
- Va bene, vedrò di parlargli.
Il giorno dopo il Guercio fece un salto in
stazione, si guardò intorno e vide il vecchio seduto sull'unica panchina; gli
si avvicinò e gli chiese – Signor Testa, aspetta il treno?
- Sì, ma come al solito è
in ritardo.
- Beh, non si può aver tutto; fino a qualche hanno
fa non c'era nemmeno un treno, per colpa della guerra, la linea era distrutta e
ora lentamente si sta ricostruendo e i convogli ricominciano a passare, anche
se non hanno un orario fisso. Deve andare in città, per caso?
- No, aspetto il treno fino a
quando lui non scenderà e mi correrà incontro per abbracciarmi.
- Scusi, lui chi?
. Franco, mio figlio, disperso in Russia. Che vuol
dire disperso? Che non lo trovano e che quindi magari è in un campo di
concentramento, dove soffre le pene dell'inferno e nemmeno sa che la sua mamma
è morta.
Il Guercio avvertì un improvviso imbarazzo, un
senso di inquietitudine per l'atteggiamento
rassegnato, ma ancora con un filo di speranza, di quel povero vecchio, rimasto
solo e nel dubbio per la sorte del figlio.
E fece allora una cosa di cui in seguito avrebbe
avuto modo di pentirsene: offrì al genitore tutta la
sua disponibilità per cercare di ritrovare il disperso.
Si mise in moto subito; dapprima ne parlò al
segretario provinciale del partito che gli fece tante ampie promesse di
interessamento da avere più di un ragionevole dubbio sul mantenimento delle
stesse. Decise, comunque, anche per una questione di gerarchie, di attendere un
po' prima di tornare alla carica, cosa che fece dopo un mesetto.
- Caro compagno, hai avuto notizie del disperso in
Russia?
- Che cosa?
- Ma sì, quel caso di cui ti ho parlato una
trentina di giorni fa.
- Mi sono interessato, ma sono ricerche lunghe,
laboriose, e non si sa ancora nulla.
Il Guercio, sempre sospettoso, escogitò il sistema
per verificare se le parole del suo capo rispondevano
a verità e, accomiatandosi, così come per caso buttò lì – Che cosa devo dire
allora al Sig. Festucci per
le ricerche di suo figlio Carlo?
E quello, con una naturalezza impressionante,
nell'accompagnarlo alla porta, pronunciò con tono solenne una frase che fece
andare il sangue al cervello del Guercio – Gli devi dire che il segretario
provinciale ha sempre impresso nella sua mente il nome
di Carlo Festucci e che quanto prima sarà possibile
dargli una risposta.
Come arrivò in strada, cominciò a tirar moccoli a
tutto spiano finché, sbollita l'ira, ritrovò se stesso e la sua capacità di
ragionare. Il problema era ora cosa dire al vecchio quando sarebbe sceso dal
treno che lo riportava dalla città in paese.
Ci pensò continuamente durante il breve tragitto,
ma senza trovare una soluzione. Quando la locomotiva si fermò sferragliando,
scese a occhi bassi e guardò subito verso la panchina. Il vecchio si era alzato
in piedi a guardare la gente che lasciava le vecchie carrozze di legno, ma poi,
quando tutti abbandonarono il marciapiedi, ritornò a
sedersi, impassibile.
Il Guercio tirò un sospiro di sollievo e lasciò
velocemente la stazione, ripromettendosi però in cuor suo di tentare
nell'impresa accedendo a gerarchie più elevate.
L'occasione gli si presentò all'incirca
tre mesi dopo, alla festa provinciale dell'Unità; una sera era atteso
come un vate addirittura il segretario generale del partito, quel Palmiro Togliatti che tanto incantava le folle di operai e
contadini.
Il problema era di avvicinarlo; il Guercio sapeva
che non avrebbe potuto parlargli alla presenza del segretario provinciale e
allora pensò scrivergli una bella lettera in cui spiegava la questione, senza
tuttavia far cenno al tentativo esperito infruttuosamente.
Meditò a lungo sulle parole, poi decise di mettere
tutto nero su bianco.
“Caro compagno,
so che i tuoi impegni sono
sovrumani, ma ti chiedo una cortesia, e non per me, ma per un povero padre,
vedovo, che dispera di rivedere l'unico figlio disperso durante la seconda
guerra mondiale nell'Unione Sovietica.
Se tu, grazie ai contatti che hai là, puoi fare
ricerche, non solo io e questo sventurato padre, ma
tutti i lavoratori del mio paese te ne saranno eternamente grati e il partito
avrà un motivo in più per essere orgoglioso.” La lettera si chiudeva con i
convenevoli e con i dati anagrafici e militari del disperso.
Quando gliela consegnò personalmente, in mezzo a un
frastuono di suoni e di voci, gli tremavano le mani e fu con disappunto che
vide che lui non era che uno dei tanti che aveva escogitato quel modo per comunicare
con il capo del partito.
Durante il ritorno al paese si sentì vincere
dall'angoscia che tutto fosse stato inutile e che quella sua lettera potesse
perdersi nella miriade di quelle consegnate quella sera; quando scese dal treno
si ripeté la stessa scena che aveva già osservato una volta: il vecchio che si
alzava, guardava la gente che lasciava le carrozze con uno sguardo attento e
poi tornava a sedersi come annichilito.
Gli andò bene anche quella sera e poté svicolare
senza dover spiegare lo stato delle sue ricerche.
Dopo una decina di giorni, quando il Guercio ormai
disperava che il suo messaggio fosse giunto a chi di dovere, il postino gli
recapitò una lettera della segreteria generale del partito, con la quale
personalmente Palmiro Togliatti prometteva il suo
interessamento, aggiungendo però in calce che non avrebbe potuto garantire il
risultato, stante la situazione.
Nondimeno il Guercio non poté evitare di trattenere
un urlo di gioia e mise subito la lettera fra le reliquie a lui care: la foto di
sua madre, una
vecchia edizione del Capitale e il diario della sua esperienza partigiana.
Fu tentato di comunicare la notizia al vecchio, ma
si trattenne, memore improvvisamente di tante promesse poi non mantenute.
Passarono così i giorni, anzi i mesi e da Roma non
perveniva nulla.
Il Guercio cominciò a inquietarsi, prese ad
attendere ogni giorno con ansia l'arrivo del portalettere, ma fra la numerosa e
varia corrispondenza che gli veniva recapitata non
c'era mai la tanto sospirata lettera da Roma.
Quando aveva necessità di andare in stazione lo
faceva quasi di nascosto, timoroso di una richiesta di notizie da parte del
vecchio, sempre presente.
Dopo che erano passati due anni il Guercio aveva
cominciato a mettersi l'animo in pace, dando un colpo di spugna alle sue ansie
con le più disparate congetture, dalle quali aveva voluto forzatamente
escludere la possibilità di un disinteressamento del segretario del partito.
Ogni tanto si ripeteva “l'Unione Sovietica è un
paese immenso e non è facile trovare un disperso”, oppure “ Magari quello si è
trovato una moglie russa, ha cambiato identità e quindi non è rintracciabile”.
Si era quasi dimenticato della questione
quando questa si riaffacciò improvvisamente il 5 marzo 1953, giorno
della morte di Stalin e grande lutto per il comunismo mondiale. Appresa la
notizia, fu immediatamente convocato a una riunione straordinaria dei quadri
del partito a Roma. Fece in fretta e furia la valigia e corse in stazione; si
fermò sulla banchina in attesa del treno e fu allora
che si sentì chiamare.
- Sig. Chiocchetti, è di partenza?
Si volse e vide il vecchio che reclamava la sua
attenzione; si sentì quasi mancare quando si sovvenne
della faccenda che proprio lui aveva avviato.
- Sì, devo correre a Roma: è morto Giuseppe Stalin.
- Pace all'anima sua.
- Sì.
- E' da un po' di tempo che volevo parlarle. Posso?
- Certamente.
- Lei si è preso la briga di avere notizie di mio
figlio.
- E' vero, ma purtroppo non ho nuove da
comunicarle.
- E' meglio così, anzi la prego di non dirmi mai
nulla, tranne nel caso che venga a sapere che è vivo e
che il suo ritorno è prossimo.
- Scusi, ma non capisco.
- Sono gli ultimi anni di vita che mi restano, solo
se non con la mia illusione, unica compagnia che mi consente di tirare avanti.
Sono ormai quasi sicuro che Franco non tornerà, ma ancora mi resta una piccola
flebile speranza di vederlo un giorno scendere dal treno, guardarsi intorno,
vedermi e poi correre da me per abbracciarmi. In un'esistenza che volge alla
fine nulla può essere più crudele della verità, mentre il sogno, così lontano
dalla realtà, per me è vita.
Il Guercio lo abbracciò e riuscì a stento a
trattenere la commozione, indi con sollievo salì sul
treno per Roma.
Trascorsero altri due anni e una sera di primavera
del 1955, quando ormai l'ultimo treno era passato sferragliando, il
capostazione si accorse che il vecchio era scivolato giù dalla panchina. Pensò
a un incidente, a un malore, ma il medico condotto, prontamente accorso, non
poté far altro che constatarne il decesso.
Il giorno dopo si svolsero i funerali e a tutt'oggi della sorte del figlio Franco non si hanno ancora
notizie.