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Come mai è chiusa l'officina del Guercio?
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C'è sua madre che sta male.
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E' grave?
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Ormai è solo
questione di ore, se non è già morta. E' attaccato a sua madre, visto anche che
non ha mai avuto un padre.
E infatti la povera donna morì quello stesso giorno,
lasciando l'unico figlio in uno stato di profondo dolore.
Conosciuti
com'erano, lei e il Guercio, al funerale andò tutto il paese. La cerimonia fu
semplice, anche se il feretro fu portato in chiesa, circostanza non strana,
data la nota religiosità della defunta in contrasto con l'agnosticismo del
figlio.
Inginocchiato
in prima fila, apparve ai più un Guercio ben diverso dall'uomo energico, dal
capo popolo, nonché ex partigiano, che tutti ben conoscevano. Il volto scavato,
l'unico occhio spento, i singhiozzi a stento trattenuti, denotavano un profondo
stato di smarrimento che lo caratterizzò anche nei giorni immediatamente
successivi, tanto che sulla porta dell'officina venne
affisso un cartello con cui si annunciava la chiusura a tempo indeterminato per
il grave lutto.
Gli
amici, i compagni di partito, cercarono di alleviare le sue sofferenze, ma si
rivelò tutto inutile: il Guercio, oltre all'occhio, sembrava aver perso anche
la ragione. Se ne stette per un paio di giorni chiuso in casa, sordo a ogni
sollecitazione, poi una mattina qualcuno lo notò alla stazione, vestito nel
migliore dei modi, mentre attendeva il treno per la città.
Camminava
su e giù per il marciapiede, pensando e ripensando alle ultime parole della
madre.
Quello
che di più l'aveva afflitto, nella vita, era stato il non avere un padre, tanto
che il portare il cognome della madre gli sembrava un viatico insopportabile,
di fronte a certe domande impertinenti come possono fare solo i bambini, quando
andava a scuola alle elementari, e ricordava bene quella sua risposta
imbarazzata e quasi sciocca: io non ho il
papà; c'è chi ce l'ha e c'è chi non ce l' ha.
L'imbarazzo di non avere
un padre lo tormentò ancor di più nell'adolescenza, tanto che decise, per trovare
un genitore al di sopra di ogni sospetto, di andare in seminario per farsi
prete. Ma anche lì le cose non andarono meglio, con quel superiore che ogni
volta che lo rimproverava per qualche mancanza cominciava sempre il discorso
con un:
- Caro ragazzo… non mi ricordo mai il
cognome… ah sì, ora rammento, è lo stesso di tua madre!.
E
indubbiamente quella ripetuta presa per i fondelli ebbe la sua parte nella
decisione di buttar via la tonaca e di laicizzarsi completamente.
In
seguito le cose andarono meglio, ma la questione era sempre ben presente, tanto
che non poche volte si era rivolto alla madre per conoscere il nome del padre,
ottenendo però sempre un deciso rifiuto.
Tuttavia,
quando la povera donna era quasi in agonia, con le poche forze rimaste e con un
esile filo di voce aveva mormorato quel nome, e allora il dolore e l'angoscia
si erano mescolati all'emozione, in uno con lo strazio di aver ritrovato un
padre nello stesso momento in cui perdeva la madre.
Il
treno finalmente arrivò e il Guercio vi salì, provando un brivido di emozione:
fra poco avrebbe conosciuto suo padre di persona.
Quando
fu in città, il passo veloce che prese lo mise ulteriormente in affanno. Nei
due giorni precedenti aveva fatto delle prudenti ricerche, in modo da sapere
dove avrebbe potuto trovare il genitore, e ora che si avvicinava alla meta la
curiosità sembrava soffocata dal timore dell'ignoto.
E
così arrivò davanti alla clinica “Mater Dei”,
istituto privato per l'assistenza agli anziani di non trascurabili possibilità
economiche.
Gli
si fece incontro una suora, dalla veste candida, e gli chiese che cosa
desiderasse.
-
Vorrei far visita al signor Antonio Guerra.
-
Lei chi è, come si chiama?
-
Sono… - e titubò, poi riprese: – sono un parente. Mi chiamo Annibale… Annibale Chiocchetti.
-
Si accomodi, le faccio strada.
Si
incamminarono per un lungo corridoio, sul quale si affacciavano diverse porte,
di cui alcune aperte. Il Guercio ogni tanto dava un'occhiata: si intravedevano
dei piccoli ambienti, ben tenuti e ordinati, in cui vivevano la loro fine
uomini che immaginava fossero stati, in passato, potenti e
forti, e che ora erano ridotti a ombre mute.
Arrivarono
alla fine del corridoio, girarono a destra, e alla prima porta che trovarono la
suora bussò.
-
Signor Guerra, ci sono visite.
Nessuna
risposta.
-
Le ripeto che ci sono visite!.
E
finalmente si udì un flebile avanti.
La
suora salutò il Guercio e ritornò indietro; mentre lui, quasi tremando, si
trovò a varcare quella soglia.
Anche
questo ambiente era piccolo: un letto, un comodino, uno scrittoio, un armadio
e, accanto alla finestra, una poltrona su cui stava seduto un uomo dai capelli
bianchi.
Questi
si volse al Guercio e gli chiese:
-
Voi chi siete?
Quel
“Voi”, ormai desueto e tipico di una certa epoca, lo fece trasalire.
-
Io sono.., mi chiamo Annibale Chiocchetti.
Questo le dice nulla?
-
Non mi pare.
-
E Armida Chiocchetti, il nome di mia madre, neanche
questo le dice nulla?
Il
vecchio cambiò espressione e cominciò a innervosirsi.
-
Sì, adesso ricordo: l'Armida, una gran bella donna; era una delle mie
cameriere. Poi dovetti licenziarla, perché era rimasta incinta. Che fa di
bello, ora? Ah, non sarete venuto per chiedermi dei soldi? Le ho dato a suo
tempo tutto quanto le spettava!
L'occhio
del Guercio sprizzò quasi scintille e avvertì chiaramente che la rabbia
cominciava a prendere il sopravvento sull'emozione.
-
E' morta, dopo una vita di lavoro e di stenti, a crescere un figlio che non
aveva un padre, quel padre che ora sta davanti a me.
Attese
la risposta del vecchio che lo guardava con un'espressione fra lo stupito e
l'adirato.
-
E così, voi sareste mio figlio? Potrebbe anche essere, perché ai miei tempi di
donne ne ho avute tante e mi sono dato da fare.
Il
Guercio lo guardò sbalordito: si era immaginato, in treno, che suo padre si
sarebbe commosso alla notizia di aver ritrovato un figlio, e l'avrebbe
abbracciato, insomma avrebbe dimostrato per una volta quell'affetto
che non gli aveva mai riservato, e ora invece, questo vecchio magro e canuto
accennava addirittura alla possibilità di aver seminato figli qua e là.
-
E se anche fosse? Non sareste certo un figlio come gli altri, che sono nati da
un matrimonio consacrato. Sareste assolutamente di nessun conto. Tengo a
precisare, però, che io sono un buono e che non ve ne faccio una colpa di
essere un bastardo, anzi se avete bisogno di qualche cosa, tipo una
raccomandazione per un posto, posso darvi una mano.
-
Non ho bisogno di nulla. Ho sempre avuto necessità di un padre, ma di uno degno
di essere chiamato tale e non di uno come lei. Credevo
che l'aver ritrovato un padre sarebbe stato un motivo di gioia, ma mi pento di
essere venuto.
-
Che ho detto di male? Non mi direte di essere uno di quei sciocchi sovversivi
di comunisti che credono di cambiare il mondo? Quando c'era “lui” era diverso e
finalmente noi veri uomini abbiamo potuto dimostrarlo.
La
porta che sbatté fece cadere a terra un piccolo busto di bronzo con l'immagine
del duce. Il vecchio si chinò a raccoglierla, mormorando – Che epoca! Se n'è
andato senza nemmeno salutarmi.
Il
Guercio, più che andarsene, fuggì da quel posto e raggiunse velocemente i
giardini, dove, seduto su una panchina e al riparo da sguardi indiscreti,
pianse amaramente.
Ritornato
al paese, si precipitò al cimitero, dove, sulla tomba della madre, disse fra
sé:
-
Mamma, quanto è bello
il cognome Chiocchetti!
Il giorno dopo l'officina riaprì e tutti si
rallegrarono nel vedere il Guercio del suo solito umore.