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  Racconti  »  Storie di paese Prima Serie  »  Trepassi 29/01/2006
 

Di personaggi come Libero Maltagliati non è facile incontrarne; cresciuto in una famiglia povera era riuscito a scuola ad arrivare fino alla sesta, ma poi aveva dovuto lasciarla per scarriolare sabbia su e giù lungo il Po, un lavoro faticoso, sotto il sole cocente d'estate e al freddo vento in inverno. Si era fatto poi la prima guerra mondiale ed era riuscito a tornarne del tutto integro, anche se con certe idee politiche che lo avevano fatto classificare dalla polizia fra gli anarchici e che gli avevano fatto perdere il lavoro e reso impossibile trovarne un altro. Non era uomo però da perdersi d'animo e allora era emigrato, a scavare per lunghi anni carbone nelle miniere della Slesia. Era ritornato alla vigilia della seconda guerra mondiale, portandosi dietro una moglie di quei posti e tre figli, quasi adulti, nonché una malattia contratta durante quel lavoro nel buio delle viscere della terra: la silicosi.

I suoi polmoni si erano induriti e faceva fatica a respirare, tanto che, fatti tre passi, doveva fermarsi a prendere fiato. Per questa caratteristica il Guercio, che ancora non era orbo di un occhio, ma lo sarebbe diventato per cause belliche, cominciò a chiamarlo  Trepassi”, nomignolo che venne prontamente adottato da tutta la comunità.

Durante il conflitto mantenne un atteggiamento di prudente neutralità, ma non poté esimersi dal fare alcune osservazioni che gli comportarono una bella bastonatura da parte dei fascisti e, dopo il 25 aprile, nelle calde giornate antecedenti le elezioni, quando forti erano le tensioni fra la Democrazia Cristiana e il Fronte Popolare, venne preso più volte a schiaffi dai comunisti.

Dopo i risultati del voto, normalizzata la vita nazionale, Trepassi conobbe una nuova giovinezza.

Il tutto ebbe inizio una calda sera dell'estate del 1949, nel luogo più deputato alla bisogna: l'osteria del paese.

Il locale era affollato come al solito e si parlava, ma sottovoce, di politica. Da una parte, piuttosto mogi, se ne stavano i comunisti e dall'altra, sicuri, ma prudenti, i democristiani.

Era pure presente il medico condotto del paese, il Dottor Chesi, uomo molto stimato, ma che aveva un vizio d'origine particolarmente avversato in quell'epoca: i suoi trascorsi di fascista militante.

In un angolo, intento a sorseggiare un bicchiere di quello buono, Trepassi osservava gli altri e ascoltava. Anche se prudenti i discorsi vertevano sulla politica, con i rossi, sconfitti, ma intenti a tratteggiare i grandi successi del comunismo sovietico e i bianchi a contrastarli.

Improvvisamente Trepassi si alzò,  si guardò  all'intorno e disse semplicemente, ma con voce ferma – Pecoroni, siete solo dei pecoroni!

Gli altri interruppero il loro cicaleccio e si guardarono stupiti, in un silenzio di sconcerto, interrotto solo dal Guercio che si mise a borbottare – E perché mai dovremmo essere dei pecoroni?

Visto che nessuno interveniva e non arrivava la replica di Trepassi, si aggiustò l'occhio di vetro, che stava per uscire dall'orbita, e proseguì – Proprio te vieni a parlare così, proprio te che sei rimasto imboscato durante la guerra, che non hai mai scelto di stare con una parte: ma vaffan

E gli altri si sentirono in dovere di manifestare il consenso a questo intervento, compreso il Dottor Chesi.

Trepassi aggrottò la fronte, poi… - Durante la guerra le ho prese dai fascisti e dopo dai comunisti, tutta gente di fuori, ma mandata da qualcuno dei presenti, e sapete il perché di queste botte? Per il semplice motivo che quello che avevo da dire l'ho detto con la mia testa e non con il cranio di qualche capo partito che vi abbindola ogni giorno; e la vendetta è arrivata puntuale, nei confronti di un invalido che non è in grado con le sue forze di far male a una mosca; bell'esempio di serietà che i signori di destra e di sinistra hanno mostrato a prendersela con me!

Il medico gli si avvicinò e gli sussurrò – Dai, è acqua passata; sono stati errori di gioventù, ma devi capire i momenti; io mi scuso per quello che ti hanno fatto i miei camerati e mi dispiace veramente.

Il Guercio, capo cellula locale, non fu da meno e giunse al punto di offrirgli da bere, ma Trepassi rifiutò il bicchiere decisamente – Pronti a scusarsi, vero, per gli errori passati, ma non altrettanto disposti a cambiare il modo di vedere le cose. Direte di me che sono un anarchico, ma non lo sono. E' solo che io vedo i fatti con la mia testa e non sono comandato di vederli da nessun altro. Nell'Unione Sovietica i successi sono incredibili, dite, ma intanto il baffone riempie i campi di concentramento di gente contenta del bolscevismo. Immagino già la vostra risposta: è tutta sporca propaganda americana e in parte forse è vero, ma intanto là è difficile andarci e impossibile ritornarci: ci sarà pure una ragione, dico io. E quanto a voi bianchi, tranne qualcuno, fino al 1943 avete osannato quel fascismo  che ora bollate come dittatura sanguinaria. Stimo di più il dottore che fascista è rimasto nelle idee: non l'aveva esaltato prima e non l'affonda ora.

Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso e salì rapido un coro d'imprecazioni e di fischi che però lasciarono, almeno in apparenza, del tutto indifferente Trepassi e che, non appena i clamori cessarono, proseguì – Eccoli i nemici in politica, di colpo uniti nel criticarmi! Non ve ne voglio, perché vi è stato insegnato a non pensare di testa vostra; però d'ora in poi voglio aprirvi gli occhi e se mi vorrete ascoltare mi farà piacere, altrimenti le vostre chiusure non mi impediranno di parlare; nella mia vita sono stato costretto a stare zitto, tranne poche volte che proprio non ce la facevo più e che mi sono state fatte pagare, ma adesso che un minimo di libertà è arrivato, adesso mi potrò sfogare…

Il Guercio lo guardò torvo – Ma vaffanculo, senza offesa eh; non rompere i coglioni e va a casa, ubriacone da tre soldi.

Seguì un piccolo applauso, con un corale “vaffanculo” quando Trepassi uscì dall'osteria.

Il giorno dopo la faccenda era quasi dimenticata, ma la sera a tutti tornò in mente quando lo videro affacciarsi sulla porta.

- Buona sera a tutti.

- Vaffan….

Trepassi non si scompose e si sedette al suo solito tavolo. Tutti lo guardavano e attendevano che aprisse bocca.

Scese un silenzio quasi tombale, con i minuti che passavano senza che accadesse nulla.

Infine, Il Guercio, al colmo dell'impazienza, si alzò in piedi e si rivolse a Trepassi – Senti, cerca di sbrigarti e tira fuori le tue solite cazzate.

Non vi fu risposta, il che imbestialì ancor di più gli astanti, tanto che vi fu un accenno di un corale “vaffanculo” che quanto meno servì a diluire la tensione.

Trepassi stava zitto e guardava tutti con un sorriso beffardo. E fu solo quando Il Guercio riprese a punzecchiarlo che aprì la bocca – Non parlerò, né ora, né dopo, né in qualsiasi altro momento.

Lo guardarono titubanti, come se quella frase celasse chissà quale minaccia e poi conclusero con un sonoro – E allora “vaffanculo”.

Ripresero quindi le solite conversazioni, rifuggendo però dalla politica e addentrandosi nelle più godibili notizie boccaccesche della giornata.

Di tanto in tanto gettavano un'occhiata a Trepassi che li osservava muto come un pesce e con quel sorriso beffardo che sembrava essere incollato al suo volto.

Era chiaro che non ne potevano più e alla fine si misero a parlare di politica, ma fu tutto inutile; arrivarono al punto di chiedergli un parere su certi avvenimenti della giornata, ma senza risultati.

Si era prossimi all'ora di chiusura e già qualcuno accennava ad andarsene, quando Trepassi aprì la bocca – Fino a ieri sera abitavo in Via Vittorio Emanuele e ora invece sembra che abiti in Via Giuseppe Stalin, ovviamente non per mia scelta, visto che non mi son sognato di cambiar casa. Posso capire che con i tempi attuali il nome del re sia fuori luogo, ma  allora perché non chiamare la via con il nome di un benemerito dell'umanità, per esempio Fleming. Sarebbe anche un vantaggio, perché chi è tanto osannato, quando cade in disgrazia, diventa scomodo e bisogna cambiare nuovamente il nome della via. Non ho nulla di personale contro il baffone, ma non durerà in eterno, e prima o poi vedrete che il suo successore passerà dalle lacrime per la sua dipartita alla progressiva distruzione del suo operato. E' successo pure da noi, con la piazza, fino a qualche anno fa, intitolata a Benito Mussolini e ora, ma non si sa fino a quando, dedicata ai Martiri della Libertà. Ci sono personaggi che meritano di essere ricordati per il bene che hanno fatto all'umanità e altri che è meglio che fossero mai nati; perché privilegiare questi ultimi, perché costruire un mito destinato inevitabilmente a spezzarsi? E ora vi saluto, perché si è fatto tardi e mi è venuta sonno.

Quando uscì, li sentì borbottare, ma non venne nemmeno l'accenno del saluto della sera prima.

Si andò avanti così per un bel po', con interventi mirati ai quali i presenti non sapevano replicare, tanto più che il trascorrere del tempo finiva con il dar ragione alle sue osservazioni e così una mattina, con soddisfazione, Trepassi si accorse di dimorare in via Curie. Era diventato la voce del contrasto, della filosofia spicciola maturata nell'esperienza della vita e più d'uno, compreso il Guercio, ebbe a chiedergli consiglio. Sopra le parti, disinteressato, divenne l'amico di tutti e quando, già vecchio, chiuse per sempre gli occhi, al suo funerale non mancò nessuno. Anticlericale convinto e anche ateo lasciò scritto che non desiderava il rito religioso e che avrebbe gradito l'accompagnamento di una banda.

Organizzò tutto il Guercio e fu una bella cerimonia, a cui partecipò in forma privata anche il parroco che tanto avrebbe voluto che quella persona così umana potesse avvicinarsi alla fede.

Al suono de “La Marsigliese” (scelta opportunamente in luogo dell'Internazionale) il corteo presto raggiunse il modesto cimitero; calata la bara nella fossa, il compito del piccolo discorso funebre fu affidato al Guercio che si era scritto un papiretto di una decina di fogli, ma quando cominciò a leggere fu preso dalla commozione e con le lacrime agli occhi si limitò a poche ben precise mormorate  parole – Caro Trepassi, ci mancherai.

Poi, non riuscendo a proseguire, fra i singhiozzi biascicò a voce bassa – Per l'ultima volta, ma con affetto…va…, no.., va con Dio.

    

 

 
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