Una volta assai più
numerosi, ora meno frequenti, ma chi non ha mai visto quei chioschi in fregio
alle strade di uscita dalle città, oppure ai lati di certe provinciali
preferite dal traffico veicolare perché più sgombre di auto? Una baracca, con
il tetto di lamiera, sovente coperto da un po' di paglia, un bancone ricoperto
di alluminio, o più recentemente di plastica, come le quattro o cinque sedie
messe lì alla rinfusa accanto a un tavolo di legno segnato dagli anni e
dall'uso, una tinozza piena d'acqua con le angurie al fresco e, nella migliore
delle ipotesi, un grande frigorifero con la porta a vetro ed in bella mostra
delle fette rosse del frutto tipicamente estivo, oppure bene ordinate in un
contenitore fra pezzi di ghiaccio che la calura va sciogliendo sempre più
rapidamente: questa è una melonaia, annunciata lungo
il nastro d'asfalto da cartelli scritti in un italiano spesso approssimativo,
evidenziata nelle notti d'estate da una ghirlanda di luci multicolori.
Ce n'è una anche vicino a casa mia: è lì, come il
suo proprietario, da quasi trentacinque anni. Si anima con i primi caldi e si
chiude non appena le sere si rinfrescano. Dietro il bancone c'è Claudio,
capelli bianchi che un tempo erano biondi, occhi chiari, il volto segnato dalle
rughe, la voce che si è fatta roca per via di quei sigari che costituiscono al
tempo stesso il suo vizio e il suo passatempo.
Di giorno apre i battenti verso le nove e la sera chiude quando non ci sono più avventori.
Lo conosco da quando ero
ragazzino; è un po' più vecchio di me e non ha avuto una vita fortunata, perché
il matrimonio si è rivelato un fallimento e l'unico figlio, che adorava
letteralmente, una sera di novembre non è più tornato dal lavoro: a un
incrocio, complice la nebbia, un autocarro gli si è parato davanti; inutile è
stata la frenata e in quel fragore di lamiere contorte e vetri infranti con cui
si è spenta quella giovine esistenza è iniziata per Claudio una lunga vita di
solitudine che sembra non avere mai termine.
Per lui la melonaia non è
solo un'attività, ma è molto di più, perché rappresenta un breve intervallo di
vita; ascolta le chiacchiere degli avventori, si unisce alle stesse, arriva
perfino a sorridere.
Quest'anno l'estate è cominciata prima del solito e
già ai primi di giugno il caldo è stato soffocante, e con esso
l'arsura, che solo una fetta di anguria dolce, tenera e saporita può calmare.
Ho deciso, quindi, di comprarne una intera e
ovviamente, anziché ricorrere al supermercato, dove peraltro costa meno, sono
andato da Claudio.
Ricordo, come fosse ieri, l'emozione che ho provato
nel vedere quei bei frutti verdi, oblunghi, gocciolanti d'acqua e il sorriso
del venditore che ne magnificava le qualità.
A onor del vero, ho avuto qualche cosa da ridire sul
prezzo, aumentato un po' troppo rispetto allo scorso anno, ma
Claudio ha saputo spiegarmi anche questo; ha abbassato gli occhi, poi, con voce
bassa, mi ha detto:
- E' vero, costano caro rispetto al supermercato,
ma io non vivo che di queste e in una stagione
devo fare la provvista di quel poco che mi è necessario per vivere, ma che
è aumentato a dismisura… Mi
accontento, a mezzogiorno un piatto di pasta, la sera spesso di un po' di pane con il latte, ma
anche questi hanno il loro prezzo, così come l'affitto del monolocale dove vivo, la
luce che in inverno è d'obbligo, il riscaldamento, i pochi sigari, la benzina della motocarrozzina con cui vado a prendere dai coltivatori
le angurie. Risparmio su tutto, ma
non bastano mai.
E' stato talmente convincente che, quando gli ho
dato una banconota da 10 Euro, a fronte di un prezzo di 8, non ho potuto fare a
meno di dirgli di tenere il resto, ma non ha accettato. Mi ha guardato negli
occhi e con tono normale ha quasi scandito le parole:
– Sono
povero, è vero. Ti ringrazio, ma non offendermi con la tua misericordia.
Mi sono sentito un verme, ho abbassato lo sguardo,
ho mormorato velocemente alcuni convenevoli per scusarmi e sono corso via.
Quando sono tornato le volte successive, nessuno di
noi due ha accennato a quella mia infelice frase e anzi il tono di familiarità
si è accentuato.
Un giorno, che non c'era nessun altro, mi ha detto:
- I tempi cambiano. Una volta si veniva da me per
gustare l'anguria e per chiacchierare, oggi i più divorano quasi la fetta e poi
scappano all'inseguimento di chissà che cosa e il saluto di commiato ha più il
sapore di un obbligo di cortesia che del ringraziamento per un po' di tempo trascorso insieme.
La gente corre come impazzita, ha molto di più come beni, come mezzi, ma in
fondo in fondo si sente più sola di me.
Si ferma un attimo, abbassa gli occhi e riprende:
- Finita la stagione, io cambio e come un orso vado
in letargo, modifico perfino il carattere,saluto
appena, evito i clienti anche come te, perché non è il tempo per parlare. La
solitudine può anche essere sopportabile se non ci sono brevi interruzioni
della stessa, un po' come il silenzio di cui non ti accorgi se non dopo un
rapidissimo rumore. D'estate è diverso, con il brusio della strada, il viavai
dei clienti… E la solitudine allora non esiste, nemmeno la notte, quando dormo
sulla brandina dentro la baracca.
Le sue parole fanno riflettere, i pensieri di
quest'uomo scarsamente istruito sono una fonte che sgorga nel deserto, sono la
base di qualsiasi esistenza e dimostrano che la felicità non è canonizzabile,
ma come concetto è differenziato per ciascuno di noi. Claudio, nel pur breve
periodo dell'estate, a suo modo è felice, perché realizza una condizione
diversa dal solito, perché il contatto umano, per quanto spesso superficiale,
può essere altamente gratificante.
Sì, lo ammetto, sono orgoglioso di essere parte
della temporanea felicità di Claudio, perché pure io, quando ho modo di parlare
con lui, mi accorgo di quanto la vita possa essere
interessante: nel suo accontentarsi di così poco c'è tutta la ricchezza d'animo
di chi sa che la vita è fatta di piccole cose, il cui significato, la cui
portata, può anche essere molto grande.
Ed è con vero dolore che oggi ho appreso una
notizia quasi sconvolgente.
Sono andato per la solita anguria e ho trovato il
mio amico Claudio invecchiato, quasi fossero passati
da ieri più di cento anni.
Mi ha mostrato una lettera del Comune nella quale,
con quel tono asettico tipico della burocrazia, gli è stato comunicato che non
gli verrà rinnovata la licenza per esigenze di
sicurezza del traffico sulla provinciale, quasi che, se invece di un chiosco
dove fanno sosta sempre meno auto, si trattasse di un'avvenente passeggiatrice
che richiama decine di clienti.
Il vero motivo lo sappiamo entrambi: quell'area è stata resa edificabile e per costruire bisogna
abbattere.
Ha le lacrime agli occhi, la voce che gli trema,
quando mi dice:
- Fammi un favore, passa la voce in paese che oggi,
ultimo giorno di vita della melonaia, ci sono angurie
gratis per tutti. Voglio vedere tanta gente, sentire una moltitudine di voci e
...
La voce gli si spezza e
il pianto diventa irrefrenabile.
Gli metto una mano sulla spalla:Dopo,
Claudio, qualche giorno vieni a trovarmi, stiamo un po' insieme, magari ti
fermi anche a cena; guarda che mi
farebbe piacere.
- Si asciuga gli occhi, mi guarda fisso e mi
scandisce con voce ferma:Ti ringrazio, ma te l'ho già
detto un'altra volta, se ricordi: non offendermi con la tua misericordia.
Non oso replicare, perché ha ragione; lo saluto,
prometto che diffonderò la voce in paese e sto per andarmene
quando lui mi allunga una bella anguria.
Non so se pagare o no, biascico un semplice
ringraziamento e me ne vado, consapevole che non lo rivedrò mai più.
(da “Storie di paese”)