Il paese era sempre stato di piccole dimensioni, ma
nondimeno poteva contare su una farmacia, un ambulatorio medico, un negozietto
dove si poteva trovare di tutto, dai generi alimentari ai
giornali, e, immancabile, vero emblema di tutta la vita sociale,
l'osteria di Rino.
Tavoli vecchi, tarlati, ai quali avevano preso
posto intere generazioni, a discutere, secondo le epoche, di politica o di
sport, ma soprattutto a chiacchierare degli avvenimenti, effettivi, o anche
solo supposti, riguardanti la piccola comunità. Quanti cornuti
e quante puttane si erano avvicendate nel tempo sulle bocche degli
avventori! Insomma, il vino, la partita a carte erano sempre state solo un
pretesto, ma come aveva avuto a suo tempo modo di definirlo il Guercio quello
era un circolo culturale, una fonte inesauribile di sapere tutto e niente di
tutti. Era piano piano diventata un'istituzione, una
parte integrante del paese, come il Municipio e la Chiesa; fu così con gran
stupore che gli avventori un giorno appresero che l'osteria avrebbe chiuso.
Rino, ormai avanti con gli anni, si giustificò con gli orari impossibili, con
il giusto riposo che da troppo tempo attendeva, ma rassicurò tutti, dicendo che
un'altra gestione avrebbe rilevato l'attività, trasformando i locali, ormai
fatiscenti, in una moderna struttura, in un bar di classe superiore. Da lì a
poco vi fu la chiusura e subito un'impresa di costruzioni avviò i lavori, che
durarono un paio di mesi, una vera sofferenza per gli abituali frequentatori,
costretti spesso in casa a sopportare mogli insofferenti a presenze da tempo
dimenticate.
Già a marzo, tuttavia, la nuova struttura era
pronta e dato che l'inaugurazione era prevista per il 21, si decise di
chiamarlo “Bar Primavera”.
Il primo giorno l'afflusso fu massiccio e molti,
pur lodando la modernità dell'ambiente e dell'arredamento, si rammaricano della
sparizione delle vecchie botti dietro al bancone, dalle quali erano stati
spillati migliaia, se non milioni, di bicchieroni di quel buon vino, un po' aspro, ma sincero, tipico della “bassa”.
Ora le bevande che sembravano andare di più erano
invece i caffè, le spume e qualche birra, mentre al nettare d'uva veniva riservata una tollerante piccola quota.
Per dirla in breve, ai più il cambiamento sarebbe
sembrato in peggio, se non fosse stato per il nuovo gestore; all'indolenza di
Rino, alla sua figura segnata dal tempo, da innumerevoli serate in mezzo a
aliti intrisi di vino e alle nebbie azzurre delle sigarette, si contrapponeva
la dinamicità, non disgiunta da una congenita dolcezza, il dialogare pacato e
lieve, la bellezza semplice, ma per questo incantevole di Alba, il nuovo
gestore, una signora sulla quarantina, non sposata, e di cui non si sapeva
nulla, provenendo da un'altra regione.
Gli uomini ne furono incantatati, le donne ne
furono irritate, e poiché Alba aveva dei bei capelli di colore biondo naturale,
il locale fu subito ribattezzato “Il bar della bionda”, e poco importava che
l'insegna non venisse cambiata, perché in breve questo
nome si radicò talmente nella comunità che se qualche forestiero chiedeva
dov'era il Bar Primavera nessuno era in grado di rispondere.
La presenza di una signora dietro il banco aveva
però anche le sue limitazioni, perché le discussioni di tono boccaccesco
divennero in breve un cicaleccio sotto tono, tanto più che la signora Alba,
come la chiamavano i più, si dimostrava un tipo riservato e per nulla incline a
discussioni troppo frivole.
E fu proprio quel carattere schivo, distaccato, che
finì con l'attirare gli uomini, incapaci di comprendere se fosse
una donna facile, oppure seria.
Furono chieste informazioni, perfino al suo paese
di origine nel lontano Friuli, ma non si ottennero
risposte chiarificatrici, e così, se nel bar si continuava quella scuola della
maldicenza che contava tanti insegnanti e ben pochi allievi, fuori l'argomento
del giorno era lei, chi era, com'era stato il suo passato, e le notizie, spesso
del tutto inventate, diventarono il tormentone del paese.
Ci fu così chi giurò che aveva saputo da un amico
del fratello di un suo conoscente che i soldi per metter su l'attività Alba se li era guadagnati battendo i marciapiedi di Milano; oppure
che, tramite il parroco, era stato riferito da un curato del paese d'origine
che era una persona integerrima che aveva ereditato dai genitori una discreta
fortuna. E più le notizie apparivano inverosimili, più ne facevano nascere
altre, come l'ultima che la definiva una ex monaca
uscita dal convento per amore di un frate che, poi per la vergogna, si era
suicidato.
Non era improbabile che tutto questo chiacchierio
finisse anche alle orecchie dell'interessata, ma questa non lo dava a vedere,
con un'impassibilità che finiva con l'accrescere
ulteriormente l'eccitazione generale.
Una sera d'autunno, all'uscita a tarda ora dal bar,
Elvis, chiamato così per la sua pettinatura simile al
divo del rock, tombeur de femmes
impenitente, raccolse intorno a sé gli amici ed esclamò – Ragazzi, sapete cosa
vi dico: che me la faccio. E quando prometto, mantengo: non c'è donna che possa
resistermi.
Il Guercio lo guardò fisso con l'unico occhio –
Posso anche crederci, ma quando? Dalla mattina presto alla
sera tardi, anzi fino a notte già inoltrata, è sempre dietro il banco.
- Non c'è problema; un colpo d'occhio dei miei, una
parolina, la mia fama d'amatore che certo già conoscerà e anche per lei è
pronta la bottarella di Elvis.
Nei giorni successivi inevitabilmente la nuova
impresa amatoria finì con il diventare l'argomento fisso di conversazione e
tutti nel bar, ovviamente meno il Guercio, avevano un occhio per Elvis e un altro per la bionda.
Questa forse se ne accorse, ma ignorò la
circostanza, così come gli ammiccamenti, certe piccole galanterie abbozzate dal
seduttore che diede sfoggio a tutto il suo vasto repertorio, senza
però ottenere riscontri; giunse perfino a farle mandare un mazzo di rose
ogni mattina, ma tutto fu inutile.
Elvis, deluso, passò dalla
rabbia a un profondo abbattimento e, per quanti sforzi facessero gli amici per
risollevarlo, diradò le visite al bar, si fece vedere poco in paese, si rifugiò
nel suo lavoro di rappresentante, sempre più in giro per la provincia.
Quando ormai quella promessa era stata dimenticata
dal giro di amici e conoscenti, in una fredda notte d'inverno un'ombra si
avvicinò al bar, già chiuso e bussò alla porta, una, due,
tre volte, fino a quando questa venne aperta.
- Ho bisogno di parlarle; non mi dica di no, la
supplico.
- E' tardi, ho poco tempo, sono stanca, però…se
sono solo due parole può entrare.
Elvis si accomodò impacciato,
mentre la donna richiudeva la porta alle sue spalle.
- E' tutto cominciato
con una scommessa, di cui mi vergogno, ma ogni giorno che la guardavo scoprivo
qualche cosa di nuovo in me, una sensazione che non avevo mai provato, una
specie di spina in fondo al cuore, e quando ho smesso di venire al bar quella
piccola puntura si è trasformata in una ferita, in un dolore lancinante; mi
sforzavo di non pensare a lei, ma era inutile; la sua figura prepotentemente
reclamava la mia mente, come ora. Sì, ho capito che cos'è questo tormento e come
guarirlo, insomma mi sono innamorato di lei.
Alba non rispose, ma abbassò gli occhi.
- Mi dia una
risposta, per pietà.
- Vede, io sono cresciuta in un paese come questo e
ci sono rimasta fino all'età di dodici anni, poi i miei sono emigrati in
Germania e io con loro. Sarebbe, a raccontarla, una storia lunga e non ne ho
nessuna voglia, ma sappia che, purtroppo, non provo nulla per lei e nemmeno per
gli altri uomini.
- Non mi dirà ora che è una lesbica?
- No, mai avuto attenzioni per il mio stesso sesso.
- E allora, perché?
La donna si accese una sigaretta – Che cosa penserebbe lei di una ragazza che, durante la guerra, è
caduta nelle mani di tre soldati che l'hanno brutalizzata, togliendole il
piacere di una vita normale? Come pensa potrebbe essere in grado di desiderare
un uomo? Lei è conosciuto in paese come un donnaiolo, un galletto che vive solo
per il desiderio di conquistare, ma una come me non si
conquista, si può brutalizzare, violare un'altra volta, ma non conquistare.
Elvis rimase un momento
assorto, poi rispose – E' vero, quello che dice e mi scuso se ho osato, ma
resta il fatto che l'amo e non m'importa che qualche scellerato abbia abusato
di lei e che dell'amore abbia conosciuto solo questo aspetto così violento. Per
lei sono disposto a tutto, a lasciare questo paese insieme, a iniziare una
nuova vita. Se non intende amarmi, mi lasci almeno la possibilità di esserle
amico; per me sarebbe già molto.
- Caro Elvis, l'avevo mal
giudicata, ma lei in fondo era un'incapace di amare come me e ora, invece…Sì,
può essermi amico, solo amico però, e poi…chissà.
Nei giorni successivi i clienti notarono che era
cambiato qualche cosa nella bionda, ma non capirono né cosa, né il perché.
La vita continuò pigramente, le solite facce al
bar, fatta eccezione per Elvis che sembrava sparito,
tanto che più d'uno malignò che quell'assenza
prolungata fosse dovuta allo smacco per la promessa
non mantenuta.
Passò l'inverno, venne e trascorse anche la
primavera, finchè a metà estate, una sera, i soliti
avventori ebbero una sorpresa: dietro il banco non c'era più la bionda, ma un
uomo attempato che comunicò brevemente di essere subentrato nell'attività.
La notizia provocò inevitabili discussioni e
illazioni, ma l'unica cosa che si riuscì ad accertare era che la bionda aveva lasciato il paese
all'improvviso.
Il Guercio, a cui,
nonostante la menomazione, non sfuggiva nulla, una sera ebbe a ricordare che la
mattina in cui era partita la bionda aveva visto Elvis
caricare su un furgoncino i suoi pochi mobili e che da allora non abitava più
in paese.
Casualità, semplice stranezza? Il letargico
andamento del paese riprese il sopravvento e nel bar si tornò a discutere di
alta filosofia delle corna.