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  Racconti  »  Storie di paese Prima Serie  »  Il bar della bionda 28/01/2006
 

Il paese era sempre stato di piccole dimensioni, ma nondimeno poteva contare su una farmacia, un ambulatorio medico, un negozietto dove si poteva trovare di tutto, dai generi alimentari ai giornali, e, immancabile, vero emblema di tutta la vita sociale, l'osteria di Rino.

Tavoli vecchi, tarlati, ai quali avevano preso posto intere generazioni, a discutere, secondo le epoche, di politica o di sport, ma soprattutto a chiacchierare degli avvenimenti, effettivi, o anche solo supposti, riguardanti la piccola comunità. Quanti cornuti e quante puttane si erano avvicendate nel tempo sulle bocche degli avventori! Insomma, il vino, la partita a carte erano sempre state solo un pretesto, ma come aveva avuto a suo tempo modo di definirlo il Guercio quello era un circolo culturale, una fonte inesauribile di sapere tutto e niente di tutti. Era piano piano diventata un'istituzione, una parte integrante del paese, come il Municipio e la Chiesa; fu così con gran stupore che gli avventori un giorno appresero che l'osteria avrebbe chiuso. Rino, ormai avanti con gli anni, si giustificò con gli orari impossibili, con il giusto riposo che da troppo tempo attendeva, ma rassicurò tutti, dicendo che un'altra gestione avrebbe rilevato l'attività, trasformando i locali, ormai fatiscenti, in una moderna struttura, in un bar di classe superiore. Da lì a poco vi fu la chiusura e subito un'impresa di costruzioni avviò i lavori, che durarono un paio di mesi, una vera sofferenza per gli abituali frequentatori, costretti spesso in casa a sopportare mogli insofferenti a presenze da tempo dimenticate.

Già a marzo, tuttavia, la nuova struttura era pronta e dato che l'inaugurazione era prevista per il 21, si decise di chiamarlo “Bar Primavera”.

Il primo giorno l'afflusso fu massiccio e molti, pur lodando la modernità dell'ambiente e dell'arredamento, si rammaricano della sparizione delle vecchie botti dietro al bancone, dalle quali erano stati spillati migliaia, se non milioni, di bicchieroni di quel buon vino, un po' aspro, ma sincero, tipico della “bassa”.

Ora le bevande che sembravano andare di più erano invece i caffè, le spume e qualche birra, mentre al nettare d'uva veniva riservata una tollerante piccola quota.

Per dirla in breve, ai più il cambiamento sarebbe sembrato in peggio, se non fosse stato per il nuovo gestore; all'indolenza di Rino, alla sua figura segnata dal tempo, da innumerevoli serate in mezzo a aliti intrisi di vino e alle nebbie azzurre delle sigarette, si contrapponeva la dinamicità, non disgiunta da una congenita dolcezza, il dialogare pacato e lieve, la bellezza semplice, ma per questo incantevole di Alba, il nuovo gestore, una signora sulla quarantina, non sposata, e di cui non si sapeva nulla, provenendo da un'altra regione.

Gli uomini ne furono incantatati, le donne ne furono irritate, e poiché Alba aveva dei bei capelli di colore biondo naturale, il locale fu subito ribattezzato “Il bar della bionda”, e poco importava che l'insegna non venisse cambiata, perché in breve questo nome si radicò talmente nella comunità che se qualche forestiero chiedeva dov'era il Bar Primavera nessuno era in grado di rispondere.

La presenza di una signora dietro il banco aveva però anche le sue limitazioni, perché le discussioni di tono boccaccesco divennero in breve un cicaleccio sotto tono, tanto più che la signora Alba, come la chiamavano i più, si dimostrava un tipo riservato e per nulla incline a discussioni troppo frivole.

E fu proprio quel carattere schivo, distaccato, che finì con l'attirare gli uomini, incapaci di comprendere se fosse una donna facile, oppure seria.

Furono chieste informazioni, perfino al suo paese di origine nel lontano Friuli, ma non si ottennero risposte chiarificatrici, e così, se nel bar si continuava quella scuola della maldicenza che contava tanti insegnanti e ben pochi allievi, fuori l'argomento del giorno era lei, chi era, com'era stato il suo passato, e le notizie, spesso del tutto inventate, diventarono il tormentone del paese.

Ci fu così chi giurò che aveva saputo da un amico del fratello di un suo conoscente che i soldi per metter su l'attività Alba se li era guadagnati battendo i marciapiedi di Milano; oppure che, tramite il parroco, era stato riferito da un curato del paese d'origine che era una persona integerrima che aveva ereditato dai genitori una discreta fortuna. E più le notizie apparivano inverosimili, più ne facevano nascere altre, come l'ultima che la definiva una ex monaca uscita dal convento per amore di un frate che, poi per la vergogna, si era suicidato.

Non era improbabile che tutto questo chiacchierio finisse anche alle orecchie dell'interessata, ma questa non lo dava a vedere, con un'impassibilità che finiva con l'accrescere ulteriormente l'eccitazione generale.

Una sera d'autunno, all'uscita a tarda ora dal bar, Elvis, chiamato così per la sua pettinatura simile al divo del rock, tombeur de femmes impenitente, raccolse intorno a sé gli amici ed esclamò – Ragazzi, sapete cosa vi dico: che me la faccio. E quando prometto, mantengo: non c'è donna che possa resistermi.

Il Guercio lo guardò fisso con l'unico occhio – Posso anche crederci, ma quando? Dalla mattina presto alla sera tardi, anzi fino a notte già inoltrata, è sempre dietro il banco.

- Non c'è problema; un colpo d'occhio dei miei, una parolina, la mia fama d'amatore che certo già conoscerà e anche per lei è pronta la bottarella di Elvis.

Nei giorni successivi inevitabilmente la nuova impresa amatoria finì con il diventare l'argomento fisso di conversazione e tutti nel bar, ovviamente meno il Guercio, avevano un occhio per Elvis e un altro per la bionda.

Questa forse se ne accorse, ma ignorò la circostanza, così come gli ammiccamenti, certe piccole galanterie abbozzate dal seduttore che diede sfoggio a tutto il suo vasto repertorio, senza però ottenere riscontri; giunse perfino a farle mandare un mazzo di rose ogni mattina, ma tutto fu inutile.

Elvis, deluso, passò dalla rabbia a un profondo abbattimento e, per quanti sforzi facessero gli amici per risollevarlo, diradò le visite al bar, si fece vedere poco in paese, si rifugiò nel suo lavoro di rappresentante, sempre più in giro per la provincia.

Quando ormai quella promessa era stata dimenticata dal giro di amici e conoscenti, in una fredda notte d'inverno un'ombra si avvicinò al bar, già chiuso e bussò alla porta, una, due, tre volte, fino a quando questa venne aperta.

- Ho bisogno di parlarle; non mi dica di no, la supplico.

- E' tardi, ho poco tempo, sono stanca, però…se sono solo due parole può entrare.

Elvis si accomodò impacciato, mentre la donna richiudeva la porta alle sue spalle.

- E' tutto cominciato con una scommessa, di cui mi vergogno, ma ogni giorno che la guardavo scoprivo qualche cosa di nuovo in me, una sensazione che non avevo mai provato, una specie di spina in fondo al cuore, e quando ho smesso di venire al bar quella piccola puntura si è trasformata in una ferita, in un dolore lancinante; mi sforzavo di non pensare a lei, ma era inutile; la sua figura prepotentemente reclamava la mia mente, come ora. Sì, ho capito che cos'è questo tormento e come guarirlo, insomma mi sono innamorato di lei.

Alba non rispose, ma abbassò gli occhi.

 - Mi dia una risposta, per pietà.

- Vede, io sono cresciuta in un paese come questo e ci sono rimasta fino all'età di dodici anni, poi i miei sono emigrati in Germania e io con loro. Sarebbe, a raccontarla, una storia lunga e non ne ho nessuna voglia, ma sappia che, purtroppo, non provo nulla per lei e nemmeno per gli altri uomini.

- Non mi dirà ora che è una lesbica?

- No, mai avuto attenzioni per il mio stesso sesso.

- E allora, perché?

La donna si accese una sigaretta – Che cosa penserebbe lei di una ragazza che, durante la guerra, è caduta nelle mani di tre soldati che l'hanno brutalizzata, togliendole il piacere di una vita normale? Come pensa potrebbe essere in grado di desiderare un uomo? Lei è conosciuto in paese come un donnaiolo, un galletto che vive solo per il desiderio di conquistare, ma una come me non si conquista, si può brutalizzare, violare un'altra volta, ma non conquistare.

Elvis rimase un momento assorto, poi rispose – E' vero, quello che dice e mi scuso se ho osato, ma resta il fatto che l'amo e non m'importa che qualche scellerato abbia abusato di lei e che dell'amore abbia conosciuto solo questo aspetto così violento. Per lei sono disposto a tutto, a lasciare questo paese insieme, a iniziare una nuova vita. Se non intende amarmi, mi lasci almeno la possibilità di esserle amico; per me sarebbe già molto.

- Caro Elvis, l'avevo mal giudicata, ma lei in fondo era un'incapace di amare come me e ora, invece…Sì, può essermi amico, solo amico però, e poi…chissà.

Nei giorni successivi i clienti notarono che era cambiato qualche cosa nella bionda, ma non capirono né cosa, né il perché.

La vita continuò pigramente, le solite facce al bar, fatta eccezione per Elvis che sembrava sparito, tanto che più d'uno malignò che quell'assenza prolungata fosse dovuta allo smacco per la promessa non mantenuta.

Passò l'inverno, venne e trascorse anche la primavera, finchè a metà estate, una sera, i soliti avventori ebbero una sorpresa: dietro il banco non c'era più la bionda, ma un uomo attempato che comunicò brevemente di essere subentrato nell'attività.

La notizia provocò inevitabili discussioni e illazioni, ma l'unica cosa che si riuscì ad accertare era che la bionda aveva  lasciato il paese all'improvviso.

Il Guercio, a cui, nonostante la menomazione, non sfuggiva nulla, una sera ebbe a ricordare che la mattina in cui era partita la bionda aveva visto Elvis caricare su un furgoncino i suoi pochi mobili e che da allora non abitava più in paese.

Casualità, semplice stranezza? Il letargico andamento del paese riprese il sopravvento e nel bar si tornò a discutere di alta filosofia delle corna.      

 

 

 
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