Calano le prime ombre, insieme alla nebbia, un velo
grigio di maglie fitte che deforma la realtà.
Già, la realtà, un ben
arduo dilemma, in un mondo dove sempre più c'è un abisso fra ciò che appare e
quello che effettivamente è. E così quello che sembra
un innocuo passante potrebbe invece essere un criminale della peggior specie,
un essere dalle sembianze umane, ma dall'animo bestiale, proprio come nel caso
del Rag. Tagliaferri.
A suo tempo l'evento fece
scalpore, fu riportato su tutti i giornali, ne parlarono perfino i
telegiornali, ma ora tutto tace e la gente ha accantonato la memoria e con essa
tutte le paure.
Io invece ricordo, tutti i giorni, tutte le notti, perché, indirettamente, sono stato una sua
vittima.
Correvano gli anni sessanta e in Italia c'erano i
primi sintomi di uno sviluppo economico, che poi sarebbe prepotentemente
esploso, tanto da meritarsi l'appellativo di “boom”.
Le strade cominciavano a
essere percorse da un numero crescente di automobili, di piccola dimensione
rispetto alle attuali, ma sufficienti a portare una famiglia alla conoscenza
del mondo all'intorno, a beneficiare di una insperata libertà di movimento.
Anche i primi televisori cominciavano a entrare prepotentemente nelle case, a stupire attonite famiglie,
mutando radicalmente il modo di vivere; insomma, il progresso economico portava
anche a un'evoluzione degli usi, dei costumi, a un' apparente riscrittura del futuro delle genti.
Il Rag. Tagliaferri, stimato contabile di una banca locale, sposato
con due figli, era il classico esponente di una nuova borghesia che andava
prendendo piede, una persona non in vista, ma anche non sconosciuta, fedele
devoto che non mancava una messa domenicale insieme a tutta la famiglia,
prodigo di consigli disinteressati in pubblico quanto avaro di sentimenti in
privato, un uomo, si potrebbe definirlo, per tutte le stagioni, ma in effetti per nessuna. Dietro quell'aspetto
distinto e bonario si celava una perpetua insoddisfazione, un tarlo che
continuava a rodere, uno spettro satanico.
La prima vittima fu trovata alla vigilia di Natale
del 1961, una povera prostituta selvaggiamente picchiata, poi strangolata con
la sua stessa sciarpa; la notizia, in sé, non fece un
gran scalpore, perché nella mentalità corrente l'assassinata veniva vista come
un gradino sotto all'ultimo nella rigida scala sociale che ci si era imposti.
Del resto, non bisogna dimenticare che all'epoca il nostro codice penale
prevedeva ancora il reato di adulterio e il delitto
d'onore, un retaggio maschilista duro a morire anche ai nostri giorni.
I giornali si limitarono a
un breve trafiletto e solo uno, di stampo chiaramente cattolico, mise un titolo
che ancor oggi fa rabbrividire “Vittima dei suoi peccati”.
I festeggiamenti di fine anno fecero dimenticare a tutti l'avvenimento, ma il giorno dell'Epifania fu
scoperto un altro cadavere lungo uno dei viali del parco cittadino. Furono
subito evidenti le analogie con il primo omicidio per le stesse modalità di esecuzione, ma vi era una differenza per nulla trascurabile:
la vittima era una signora della buona società, moglie di un primario del
locale ospedale.
In questo caso le notizie assursero al rango di eco roboante, con edizioni straordinarie dei principali
quotidiani, ampio risalto durante i telegiornali e perfino un accorato appello
del vescovo della città che pregava l'omicida di costituirsi per il suo bene,
ma, anche sottinteso, soprattutto per il bene di tutti. Sorsero comitati di
cittadini desiderosi di proteggere la vita familiare di tutti e fra questi si distinse
quello del Rag. Tagliaferri,
le cui lettere ai direttori dei giornali dovettero sembrare meritevoli di
pubblicazione, trattando indifferentemente e insieme problemi psicologici e
religiosi dell'omicida.
In tutto questo baccano la polizia lavorava sodo,
ma francamente brancolava nel buio, in assenza di moventi, impronte, o comunque anche di esili tracce; tanto per dimostrare che si
stava facendo qualche cosa, furono fermati alcuni individui con analoghi
precedenti penali, ovviamente senza esiti: rimasero in Questura giusto il tempo
per accertare gli alibi.
Poi, quando il clamore del fatto cominciava a
smorzarsi, fu rinvenuta la terza vittima, in un vicolo
della città; anche in tal caso le modalità apparvero da subito le stesse e pure
l'assassinata era una persona in linea con la scala sociale, una donna gentile,
quieta, tutta dedita alla famiglia e che l'autopsia accertò in stato di
gravidanza appena iniziata. In un solo colpo, quando un imbarazzato poliziotto
mi comunicò la notizia, mi ritrovai vedovo e senza un figlio.
Dire che rimasi sconvolto è
un eufemismo: il dolore che dimostrai al momento non è nulla rispetto alla
disperazione che tutti i miei conoscenti notarono in me, mentre giornalisti
indifferenti al mio stato mi braccarono per avere ulteriori notizie, scavando
nella mia vita, rivoltandola come un
guanto, così che quando ero per strada, e la gente mi guardava, avevo
l'impressione di essere nudo.
In quel periodo ebbi poca voglia di
informazioni e ricordo solo un titolo: “Il mostro colpisce ancora”.
Ormai la psicosi aveva paralizzato la vita cittadina e
innumerevoli erano le denunce di donne che avevano solo vaghi sospetti
su uomini, il cui unico torto, magari, era stato quello di incontrarle sul
marciapiedi una sera. Furono rafforzati i servizi di vigilanza, istituite ronde
notturne, potenziata l'illuminazione. E in mezzo a tutto questo caos ci fu
anche qualche poliziotto che si prese la briga di interrogarmi, di chiedermi
l'alibi, come se io avessi avuto la possibilità di uccidere mia moglie mentre me ne stavo in una riunione d'ufficio con
dieci colleghi.
Le notizie si accavallarono, la confusione aumentò,
le chiacchiere si susseguirono in una sorta di girone infernale, dove tutti
giravano in tondo, senza sapere dove.
Infine, il sistema collassò
e fu quando venne trovata la quarta vittima, la moglie
del Rag. Tagliaferri.
La trasmissione delle notizie divenne allora
caotica, gli appelli dei religiosi si moltiplicarono, sovrapponendosi, un
sottile stato d'ansia prese tutti i cittadini, la
gente cominciò a guardarsi con sospetto, il vicino divenne un possibile nemico
e anche l'amico più fidato sembrò celare una personalità contorta fino ad
allora sconosciuta.
I passanti diventarono esseri potenzialmente
pericolosi e in breve tutti finirono con il diradare le uscite.
Si creò una situazione di stallo, mentre tutti
aspettavano con ansia che gli investigatori annunciassero la lieta novella;
passarono così i giorni, tetri, senza albe e tramonti, in una città che
sembrava in stato di assedio.
E un sabato pomeriggio
proprio un poliziotto, in servizio di sorveglianza, scoprì la quinta vittima,
subito dopo aver incontrato per la strada un uomo che non gli era sconosciuto.
In breve, lo
prelevarono da casa, lo portarono in Questura e dopo una notte di interrogatori
lo arrestarono.
Mi vengono i brividi se penso a
quando lessi l'edizione straordinaria del quotidiano locale “Catturato
il mostro: è il Rag. Tagliaferri”.
Non feci in tempo a
riprendermi che già bussavano alla mia porta; immaginai il titolo, ancor più
straordinario “I mostri sono due”; sì, perché avevamo congegnato bene il tutto,
un piano perfetto, incredibilmente bello, per degli omicidi apparentemente
senza movente: il Rag. Tagliaferri,
che avevo conosciuto del tutto casualmente, avrebbe ucciso mia moglie e io la
sua, con alibi per entrambi a prova di bomba; nella sua ossessione di
perfezionismo avevo avallato anche i primi due omicidi, sempre eseguiti da lui,
con il preciso scopo di dare ai nostri una connessione logica con questi. Ma quel cretino, senza
dirmi nulla, aveva voluto strafare, pensando che una quinta vittima ci avrebbe messi al riparo da anche il più remoto dei
rischi.
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