Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Narrativa generica  Noir  Storie di paese Prima Serie  I racconti del nonno  Fiabe  Horror  Storie di paese Seconda Serie  C'era una volta  Racconti di Natale 

  Racconti  »  Noir  »  Un giorno da dimenticare 14/10/2014
 

Un giorno da dimenticare

di Renzo Montagnoli

 

 

C'era forse un giorno meno uguale degli altri, un giorno che valesse la pena di essere ricordato oppure di essere dimenticato? Ci pensava, mentre metodicamente, come sempre faceva, riassettava la camera da letto, tirando le lenzuola, accanendosi nel rintracciare la precisione millimetrica. Ecco, rifatto il letto, spolverato i mobili, sarebbe uscita come il solito, portando con sé la vecchia borsa di juta in cui riporre la spesa. Un salto dal fruttivendolo, un altro dal droghiere e, solo il venerdì però, in pescheria. Anche quel giorno avrebbe visto ripetute le stesse uscite, perfino le stesse parole: Buongiorno. Un po' di mele, un etto di prosciutto, una baguette. La signorina Claudia, ma lei si faceva chiamare signora Corbetti, viveva sola, da tempo immemorabile, ammesso che avesse un significato la parola tempo, in una sequela di ripetitività di giorni, di gesti, di fatti, una solitudine che era ormai monotonia quotidiana, in cui solo le rughe che cominciavano ad affollare il suo viso riuscivano a dare una misura del tempo trascorso.

Uscì, andando subito in drogheria, già affollata, mettendosi in fila in attesa del suo turno. Aveva davanti un uomo, non più giovane, anzi anziano, forse della sua età, come provò a intuire dalla schiena non più dritta, dalle mani ossute che in trasparenza lasciavano vedere le vene, e soprattutto dalla capigliatura, in parte celata da un berretto, ma che tendeva senza dubbi al bianco tipico dei vecchi. La fila si muoveva lentamente, nessuno sembrava avere fretta, tranne lei e lui, l'uomo che le era davanti, le cui mani erano tese e scosse a tratti da un evidente tremito. La signorina Claudia pensò che forse era malato, che magari era affetto dal morbo di Parkinson ed era intenta alle sue innocenti fantasticherie, quando udì forte e chiara una voce: - Fermi tutti, è una rapina. Fuori i soldi della cassa!

Da quel grido, che la scosse dal suo vagheggiare, non ebbe più le idee molto chiare e vide come in una parentesi di nebbia l'uomo che le stava davanti puntare una pistola contro il droghiere, premere il grilletto una, due, tre volte quando costui cercò a sua volta di prendere da sotto il bancone il revolver. Poi ci furono urla di donne, svenimenti, pianti, strilli e quasi non si accorse della mano che afferrava il suo braccio e che la trascinava fuori dal negozio.

- Se cercate di fermarmi, la uccido; non ci penso due volte.

Udì le parole, ovattate, come se venissero da un'altra dimensione, e sempre sotto l'effetto di quella stretta si lasciò andare, camminando e trascinando i piedi.

- Via, via! – gridava lui alla gente che incontrava sul marciapiedi – Via, o l'ammazzo.

Volti, suoni, sirene di ambulanze, altre della polizia, un che di irreale nel mondo monotono della signorina Claudia.

Sempre stringendole il braccio, l'uomo si mise a correre e lei iniziò a scarpinare, con il fiato che si faceva via via più corto, finché entrarono in un bar, da cui il gestore e i clienti fuggirono immediatamente. L'uomo la lasciò, mise un tavolo davanti alla porta, poi la trascino con sì dietro il bancone, sedendosi sul pavimento e costringendo anche lei a mettersi comoda.

Lui ansimava, il petto andava su e giù come una fisarmonica. Lei lo guardò, osservò quel volto in cui le rughe sembravano aver tessuto una ragnatela, vide quegli occhi cerulei sbarrati, il labbro inferiore che tremava, la testa che quasi ciondolava.

- Non fare il cretino, lascia libero l'ostaggio, poi vieni fuori.

Il silenzio fu di colpo interrotto dal suono nasale di un megafono.

. No, voglio un'automobile con il pieno, cinquecentomila euro, altrimenti l'ammazzo, e li voglio alla svelta, entro due ore.

- Occorrerà del tempo, due ore sono poche.

- Non me ne frega niente: entro due ore o l'ammazzo.

- Sei proprio un pirla; se l'ammazzi non avrai più merce di scambio.

- Basta! Entro due ore.

Lei guardò l'orologio appeso alla parte opposta: segnava le nove. Quindi il termine sarebbe stato alle undici, quando ogni giorno, da tempo ultimate le spese, era ai fornelli a preparare il solito menù. Solo che quel giorno non sarebbe stato come gli altri, forse sarebbe stato il giorno da dimenticare.

I minuti scorrevano, la lancetta grande si spostò dapprima sui 30 minuti, poi volse verso i sessanta. Già un'ora se ne stava andando e lei doveva fare qualcosa.

- Perché?

--Perché cosa? -  rispose lui.

- Perché la rapina?

- Per vivere, per mangiare, per fare i cazzi miei! Ma a te che te ne frega?

- Mi pare che mi debba importare, visto che mi trovo in questa situazione.

- Guarda che io non ho nulla da perdere, perché se ha un valore una vita come la mia, quella che può essere definita una vita di merda, questo valore lo assume solo quando viene meno.

- In che senso?

- Che l'unica roba positiva della mia vita è quando finirà. Riformatorio, carcere, poi carcere, poi ancora carcere, tutti i giorni drammaticamente sempre gli stessi, e allora pensi che abbia paura della morte? Ben venga, sarà una liberazione.

- Ma vuoi ammazzare anche me!

- No, lo dico solo poter trattare meglio con loro.

- Ma hai sparato al droghiere!

- Non morirà, però, perché i colpi di una scacciacani non tirano giù nemmeno le mosche.

- Come ti chiami?

- Alfredo e basta. E tu?

- Claudia Corbetti, signora Claudia Corbetti.

- Ah ah, una presentazione in piena regola. Secondo me sei una signorina, insomma una zitella.

Claudia arrossì, strinse i denti e come una serpe prese a sibilare:

- Sì, sono nubile, non mi sono mai sposata per non capitare con degli uomini come te, un avanzo di galera.

- Avanzo di galera? Mi sono inventato il carcere e il riformatorio, per darmi un atteggiamento da duro, ma non ho mai preso nemmeno una multa.

- E allora perché la rapina?

- Perché con la pensione da fame non vivo e ho deciso di prenderli da chi ne guadagna tanti ed evade le tasse, come il droghiere.

- Sincero?

- Purtroppo sì.

- Non ci credo: provami che la pistola spara colpi a salve.

- Subito.

E puntata l'arma contro il petto, esplose un colpo. Claudia gridò, da fuori gridarono, vollero sapere e Alfredo pure si mise a gridare.

- Il tempo passa e non ho visto ancora niente. Tanto per chiarire che non scherzo, le ho sparato un colpo alla gamba destra.

- Stai calmo, che adesso provvediamo subito.

Claudia lo guardò di nuovo, quel vecchio grinzoso era un vero uomo, sincero e amante della giustizia, e cominciò a piacerle.

- E quando arriverà l'auto con i soldi?

- Dirò che non mi seguano, che tu verrai con me e che ti libererò quando sarò al sicuro.

- E se non mi dovessi liberare?

- Sta tranquilla che non ti torcerò un capello.

Claudia non sapeva come cominciare, ma un'idea, un'esile lucina che le si era accesa nella mente prendeva sempre più consistenza e come un fuocherello continuava a riattizzarsi, fino a quando, quasi a precipizio, sbottò: - Portami con te.

- Come?

- Sì, portami con te, facciamo che due solitudini insieme si annullino, che la vita possa darci ancora qualcosa,

Lui non rispose, rimase assorto a guardare l'orologio: le dieci, le dieci e trenta, le dieci e cinquanta, poi…

- La macchina e i soldi sono pronti. Fa venire avanti l'ostaggio.

- Col cavolo. La porto con me e quando sarò sicuro di non essere seguito la libererò.

- Va bene.

La fece alzare, se la mise davanti e così uscirono, con lei che fingeva di zoppicare. Salirono in auto. Il motore era acceso, la valigetta aperta con il denaro in bella evidenza sul sedile posteriore. Ingranò la marcia e partì con uno stridio di gomme.

- Ci seguono?

- Per ora no, ma credo che avranno un piano.

- Allora come faremo?

- Sta tranquilla.

Girò in una stradina a destra, entrò in un vecchio capannone, fermò l'auto, scesero con i soldi per salire su una vecchia Fiesta e riprendere la strada.

- Ora saremo un po' più tranquilli. L'unico pericolo sono i posti di blocco, perché cercheranno due anziani.

Andarono avanti per una decina di minuti quando, dopo una curva e prima di un passaggio a livello, incapparono in due auto della polizia poste di traverso sulla strada.

- Mi raccomando, cercano un'altra auto. Sei ancora dell'idea di venir via con me?

- Sì.

- Bene, e che Dio ce la mandi buona.

Furono fermati.

- Documenti, per favore.

Sottovoce le disse: - Stai calma.

Guardarono i documenti e stavano per restituirli quando uno dei poliziotti gettò un occhio sul sedile posteriore, dove avevano sistemato la valigetta con i soldi.

- Via! – disse lui.

Ingranò la marcia e partì zigzagando verso il passaggio a livello, le cui sbarre erano chiuse e già s'approssimava il treno.

- Tentiamo – urlò – e sarai sempre con me.

- Sì, per sempre insieme.

L'auto sfondò le sbarre, il motore si spense quando erano a cavallo dei binari, tentò di riaccendere.

Il botto fu tremendo, pezzi di lamiera volarono da tutte le parti.

Le banconote presero a volteggiare in aria, decine di mani rapaci le afferrarono. 

 

  

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014982672 »