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  Racconti  »  Narrativa generica  »  Lo sconosciuto 25/06/2023
 

Lo sconosciuto

di Renzo Montagnoli



Lo si vedeva solo la mattina quando usciva di casa per la spesa al supermercato; alto, magro, i capelli imbiancati parlava lo stretto necessario, come per l´ordinazione al banco della carne, e ai più sembrava di aver sentito la sua voce solo quando rispondeva, rapido, ma cortese, al saluto. Nessuno sapeva da dove venisse, di che campasse e l´unica cosa certa era che di debiti non ne aveva, almeno in paese. Pagava sempre in contanti la spesa e l´affitto del monolocale, insomma a parte il cognome, non italiano e assai complicato che nessuno riusciva a imparare e preferiva scordare subito per non tirare qualche moccolo, era un perfetto sconosciuto, tanto che si cominciò a chiamarlo il signor X. C´è chi aveva provato a stabilire un contatto, ma inutilmente, l´uomo si negava, gentilmente, ma si negava, quasi volesse fare una vita da eremita. Nel monolocale viveva da solo, non aveva mai visite, non aveva neppure l´allacciamento telefonico e quando il padrone di casa aveva voluto sapere qualcosa, prima di affittare l´appartamento, lo aveva tacitato con 12 mesi di pigione anticipati. Qualcuno aveva addirittura ipotizzato che fosse un ricercato, nascosto lì per sfuggire più che alla giustizia a dei feroci assassini, ma lo sguardo mite, il lieve sorriso, che gli increspava il viso e che pur tuttavia nascondeva una tristezza di fondo quando qualcuno lo salutava, tendeva a smentire ogni ipotesi, quell´uomo non poteva essere un delinquente e comunque non poteva aver avuto a che fare con dei criminali.

Poco a poco la curiosità sfumò e il signor X divenne l´anziano che ogni mattina andava al supermercato e che con gentilezza contraccambiava chi lo salutava; da perfetto sconosciuto diventò uno del paese e di questo forse comincio ad accorgersi anche lui, perché prese a uscire anche nel pomeriggio, due passi e nulla più, però era già una novità, come il caffè al bar la mattina, una sosta veloce senza scambiare due parole.

Fu in un´uscita pomeridiana che avvenne il fatto; erano da poco finite le scuole e gli alunni, finalmente liberi, sciamavano per le vie del paese, si rincorrevano, si facevano scherzi, giocavano anche a palla e fu proprio una palla che lo colpì con violenza, tramortendolo. Accorsero alcuni uomini, lo misero su un auto e lo portarono dal medico. Qui, gli tolsero la camicia anche per misurargli la pressione e sull´avambraccio sinistro videro un numero tatuato. Intanto il signor X si stava riprendendo e come si accorse di essere senza camicia si coprì velocemente con la stessa mostrando chiaramente un atteggiamento di paura. Qualcuno dei presenti stava forse per chiedergli cosa significasse quel numero, ma il medico lo zittì, continuò la visita e poiché l´infortunato stava meglio pregò i presenti di portarlo a casa sua. Così fecero, ma quando arrivarono al suo monolocale lui, pur ringraziando, non volle farli entrare.

Poi le voci corsero in paese e ci volle poco per capire che quel numero tatuato era apposto agli ebrei che entravano nei campi di concentramento nazisti.

Il signor X riprese la sua solita vita, ma quelli del paese si convinsero di conoscerlo ora di più, se non altro sapevano che era ebreo e qualcuno anche se lo immaginava con la stella gialla sulla giubba da detenuto, ovviamente molti anni prima. Sì, quello era un uomo che aveva sofferto e probabilmente soffriva ancora, ma ora la gente lo vedeva con occhi diversi in un sentimento misto di pietà e di compassione. Quando rispondeva al saluto si sentivano stranamente partecipi del suo dolore e anche il buongiorno che il barista gli rivolgeva la mattina non era una convenzione, era partecipazione.

I suoi occhi erano sempre tristi, ma si vedeva che per lui era una consolazione vivere lì, un´oasi di rispetto per la sua sofferenza prima dell´ultimo passo che venne presto. Una mattina non si vide in giro, e lo stesso la successiva, tanto che si pensò giustamente male; furono avvisati i carabinieri, la porta del monolocale fu forzata ed entrarono. Era seduto in poltrona e sembrava che dormisse beatamente, visto che il viso accennava a un sorriso.

Sulla parete di fronte le foto di una donna e di due bambini, foto vecchie, in bianco e nero, probabilmente la sua famiglia, e su un tavolino sotto le stesse un foglio con sopra scritto: "Perché lasciarmi in vita senza di voi?".

In un altro foglio sul tavolo le sue ultime volontà:"Lascio il poco che ho agli abitanti di questo paese che conoscono cosa sia la compassione. Grazie, grazie di tutto ".

 
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