Il
miracolo di Gesuina
di
Renzo Montagnoli
C’era
qualcosa in quella luce abbacinante che scendeva come un sudario
sulla pianura a mezzogiorno, una cappa estiva che toglieva il respiro
e che invitava il viandante ad accelerare il passo per arrivare a
casa, per cercate un rifugio dove meno boccheggiare nella disperata
ricerca di quell’aria che la calura estiva pareva aver
divorato. Sì, c’era qualcosa che forse solo lui riusciva
a scorgere fra le spirali di calore che salivano dalla terra
disseccata. Oppure, era solo un’impressione, ma in ogni caso di
una cosa era certo: se era per tutti quell’atmosfera greve, per
lui era anche peggio perché l’affanno che da parecchio
tempo lo affliggeva si faceva più consistente, lo spingeva ad
allungare il collo, a riuscire a colmare quel respiro ancor più
incompleto, come solo può sapere chi è sempre in
difetto di ossigeno. Si muoveva poco per non affaticarsi
ulteriormente, anche perché spostare quel corpaccio di un
quintale abbondante risultava spesso un’impresa. Era l’ora
del desinare, ma non aveva fame e anzi il cibo gli faceva ribrezzo
viste le difficoltà della digestione, i crampi allo stomaco,
le flatulenze cavernose che gli provocavano vergogna in presenza di
estranei. “Gesuina!” chiamò. Gesuina era la
perpetua che aveva trovato quando era arrivato in quella parrocchia
una ventina di anni prima, una vecchietta ossuta dall’età
indefinibile, magra come uno stecco, con la schiena incurvata, una
specie di spaventapasseri, ma buona, buona come il pane, forse troppo
presente, anche se ogni tanto spariva chissà dove come appunto
proprio allora. Non ottenne risposta, ripeté la chiamata, ma
senza risultato. Affranto per aver dovuto alzar la voce con il poco
fiato che gli restava rimase nell’ombra senza pensare a nulla,
fino a quando, buttando un occhio alla pendola che troneggiava nella
parete di fronte si accorse che il mezzogiorno era passato, e da un
bel po’. Si chiese dove fosse Gesuina, che sì spariva
ogni tanto, ma per non più di una sessantina di minuti, e
poiché erano trascorse quasi due ore cominciò a
preoccuparsi. Non era da lei infatti lasciarlo solo con il suo
problema di salute che gli impediva persino di allacciarsi le scarpe,
quell’enfisema che il medico aveva buttato lì come si
fosse trattato di malattia da niente, un raffreddore o una raucedine.
E invece solo lui sapeva i tormenti che gli procurava, la fatica
improba nel servir messa, tanto che il vescovo gli aveva promesso
l’aiuto di un curato che sarebbe arrivato a giorni; accettava
la sua condizione, la vedeva come una prova che gli aveva imposto Dio
per una sbandata, un’incertezza nella fede che l’aveva
colto una decina di anni prima, alla fine di un periodo particolare,
che lo aveva privato degli affetti della madre e del fratello,
restando senza più parenti stretti. Era stato all’incirca
un mese di depressione, come se fosse venuto meno lo scopo della sua
vita, ma aveva pregato, aveva pregato tanto e aveva chiesto a Dio il
dono della Sua grazia per ritrovar la fede, offrendo in cambio
l’unica cosa preziosa che avesse, e cioè la sua vita.
Era ritornato il sacerdote dalla fede incrollabile, ma era iniziato
anche quel disturbo che nel tempo era andato peggiorando.
Chiamò
ancora, ma non ebbe risposta. Si decise allora di compiere uno sforzo
per andarla a cercare e già alzarsi dalla poltrona comportò
una fatica quasi sovrumana, ma strinse i denti e finalmente in piedi
con passo strascicato iniziò la sua ricerca che fu tuttavia
breve, perché come entrò nella camera più
vicina, la cucina, vide Gesuina seduta in un angolo su un vecchio
sgabello, appoggiata alle pareti, con gli occhi chiusi che pareva che
dormisse. Guardò bene e dalla bocca gli uscì un suono
sgraziato, un lamento soffocato, un grido di dolore, perché
capì che la perpetua non si era addormentata, ma che aveva
iniziato quel viaggio che tutti, chi prima chi poi, dobbiamo
compiere. La raggiunse, la scosse, biascicò un “Gesuina”,
ma di fronte alla realtà scoppiò in lacrime. Era da
tanto che non piangeva e si accorse che quei singhiozzi erano la sua
disperazione per essere rimasto solo. Con Gesuina non era che ci
fosse da discutere molto, vista la sua scarsa cultura, ma era una
presenza costante, un essere umano con cui scambiare anche un
semplice saluto, una persona di fiducia su cui contare nel momento
del bisogno e lui sapeva di quanto avesse necessità. Di colpo
si sentì svuotato, colse nel silenzio della camera il silenzio
della sua anima, si rese conto che la fede, su cui aveva basato la
sua vita, non era più sufficiente. Eppure, mai come in quel
momento si accorse di aver bisogno di Dio e più ne invocava il
soccorso, più aumentava la fiducia. “Perchè?
Perchè lei sì e io no?” Erano le parole che
avrebbe potuto dire, ma che la difficoltà della respirazione
gli impediva di pronunciare. Di colpo si sentì egoista, uno
che avrebbe preferito morire al posto di Gesuina per il timore di non
avere più assistenza e se ne vergognò; guardò
allora il volto della donna, quelle rughe che si aprivano nella
pelle, quegli occhi chiusi che sembrava che dormisse e iniziò
a pregare, perché Gesuina doveva essere accolta nel migliore
dei modi nella vita eterna, una donna che aveva dedicato la sua
esistenza a servire i preti, che non aveva mai avuto la gioia di una
carezza della mano di un uomo e allora l’accarezzò lui,
poi pettinò con le dita i suoi capelli, e terminate le
preghiere le diede un bacio sulla fronte, perché adesso sapeva
la risposta a quelle sue domande e la risposta era stata Gesuina
stessa che gli aveva fatto emergere quel profondo affetto capace di
superare ogni barriera, di vincere ogni ostacolo, di far ritrovare
speranze perdute, di sapere che Dio c’è, nella gioia e
nel dolore, nella vita e nella morte.
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