Canti celtici
di Renzo Montagnoli
Prefazione di Patrizia Garofalo
Immagine di copertina e fotografie
all'interno di Renzo Montagnoli
Elaborazione Grafica di Elena Migliorini
Edizioni Il Foglio
http://www.ilfoglioletterario.it/
ilfoglio@infol.it
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio Manini
Poesia – poema
Pagg. 90
ISBN: 978-88-7606-162-2
Prezzo: € 10,00
Il respiro è pagano. I versi
s'aggirano nostalgici intorno alle statue degli antichi dei, ne
blandiscono le sembianze umane, gonfi di rimpianto per l'umanità che accendeva
quelle forme divine. Nella poesia-preghiera AL DIO MORENTE i versi enumerano i
contrasti tra i Dei e l'unico Dio: “Scivolavi, allora,
nel letto d'argilla, / riposavi le ore del buio, / ti assopivi insieme a noi.”
Mentre il Dio che verrà è “un'immagine vuota / di cui non udirò il respiro, /
né potrò toccare.” L'intangibilità divina è un postulato
che soddisfa il filosofo o il teologo, il poeta, divinatore d'altri mondi,
sente il bisogno d'un contatto carnale col creatore.
Ogni poesia ha la forza di ricreare
mondi in cui il lettore può trovare suggestive sensazioni evocatrici di propri
latenti stati d'animo. Queste poesie
fanno rivivere i riti, i costumi e le divinità di un popolo dedito alla caccia
più che alla pastorizia: i Celti, abitanti la pianura padana, terra del poeta.
Risaltano dai versi i guerrieri orgogliosi, le scene di battaglie, con la
stessa cruenta ferocia: “Scendevano la valle, / un'orda selvaggia, / le barbe
irsute, / gli occhi iniettati di sangue.” (Da LA
GUERRA). Ma anche
l'incanto di famiglie raccolte “Fra le ombre del fuoco / che lento si spegne
nel camino / l'ascolto della voce del nonno / che racconta storie e leggende /
di un tempo che fu.” (Da LA FAMIGLIA). Rivivono quindi usanze ed esistenze come in
un'epopea che tuttavia predilige atmosfere brumose ed umide penombre. Tant'è
che c'è poco sole in queste poesie, pochi svolazzi d'uccelli; abbondano invece
le acque col loro scorrere notturno fra salici e canneti agitati da un vento
“che scende dal nord”, fra “voci smorzate, / il tono sommesso, / quasi una
preghiera / rivolta a Dei ormai sordi.”
E' una poesia quella che si legge in
questa silloge appunto di toni smorzati, per ripetere le parole del poeta, per
il semplice ma importantissimo fatto che è il canto di un mondo evocato con
quieto rimpianto e in antitesi al mondo moderno rumoroso e caotico, “senza
memoria”, che quindi qualsiasi voce più forte guasterebbe. E' da godere così
come si gode lo scorrere placido di un fiume in una notte di luna.
Luigi Panzardi