Natura
morta - Paolo Ruffilli - Aragno - ISB N
978-8884195647
- Euro 12,00
l
binomio natura-morte, su cui si impernia il ciclo eterno della
natura, emerge chiaramente fin dal titolo del libro di poesie di
Paolo Ruffilli, Natura morta: epiteto usato in pittura
per indicare una composizione varia di elementi naturali, per lo più
frutta e fiori, cibi e contenitori, ritratti spesso con minuzia
morfologica, per rappresentare non tanto e soltanto la perizia
dell´artista quanto il loro valore di epifania composita di una
realtà naturale colta nel momento del suo massimo quanto effimero
rigoglio. Quei canestri di caravaggesca memoria con pomi e cibarie
sono quindi anche il simbolo del ciclo naturale che perennemente
produce e disfa se stesso coniugandosi con l´irreparabile
dimensione del tempo, che tutto consuma per poi dar vita a nuove
forme vitali.
Vita è
non a caso il titolo della composizione che apre la raccolta
ruffilliana e i termini chiave `vita´ e `morte´ compaiono nei
versi finali di questo testo: "Dal buio largo / del tempo dilagato
/ è esplosa / in una varietà di forme / ordini e specie/... il
semplice conto quotidiano / ci lascia più interdetti / nell´atto
di capire / di quanta morte / necessita / la vita / per fiorire.".
La visione cosmica scelta dall´autore è confermata nel brano
successivo Terra, in cui la cui forza della terra,
scandita anaforicamente, ingoia e sfalda quanto ha prima
gloriosamente costruito:
Terra
che ingoia / tutto quanto / città nazioni imperi. /... Terra che
sputa fuori / erutta spinge / rugosa e tormentata /... Terra in
travaglio / costruttivo e distruttivo / senza fine" (p. 10).
A
fronte di queste premesse, Ruffilli costruisce la struttura della sua
complessa raccolta, suddividendola in sezioni che vanno a comporre
una approfondita summa della realtà imprescindibile
dei dati fisici e spirituali del mondo, nonché del rapporto
dialettico e cognitivo che la mente umana può (e dovrebbe) costruire
con essi. Novello Lucrezio, il poeta intraprende un coraggioso
viaggio nel de rerum natura, con l´occhio lucido ma non
impassibile del poeta-linguista, che nella prima
sezione Preliminari affida alla parola - questa
grande conquista dell´umanità - il compito di "rompere il
silenzio / e pronunciare al mondo/ ciò che aspetta / ancora
nell´assenza, ciò che fluttua/ nell´andare più indistinto/...e
che di colpo cessa / di essere in procinto / e si fa vivo da
incolore, / si assume e circoscrive / come contenuto / del suo
contenitore / dentro il reticolo del nome" (Il reticolo del
nome, p. 14).
E´
l´atto del "nominare" quello che permette di "domare" la
"resistenza delle cose", "è la ragione / che si fa linguaggio
/ volto a spiegare / perfino il sentimento / e l´emozione"
(Nominare, p. 15). È questa la risposta di Ruffilli a "quale
linguaggio" per giungere alla "conoscenza / delle poche verità /
del grande vero" e in questo linguaggio rientra anche quello
immaginativo, "la via/ allusiva-evocativa / del simbolo / e
dell´allegoria" (Quale linguaggio per cercare, p.13).
Perché la ragione pura - prosegue Ruffilli - non basta a
comprendere una realtà di per sé incoerente, "molteplice / ibrida
e contraddittoria / stratificata nell´abbraccio/ di bene e male/ di
più o meno/ fatta di vuoto che si fa pieno / e che cuce ma per
strappi" (Necessità del paradosso, p. 17)
: e, se "la molla di tutto / è invece la contraddizione/ dentro
l´unità" (Il sogno di non contraddizione, p. 16), la
ragione deve evadere dal suo limite, andare oltre, fino al "paradosso
ambivalente".
Vengono
in mente le parole di Ungaretti "Viviamo nella contraddizione" e
quel suo salto nella essenzialità della parola-verso, che nelle
poesie scritte al fronte della guerra `15-18, si carica di tutto il
dramma dell´essere umano che, solo nel sentirsi in armonia con
l´universo, supera l´angoscia della "corolla di tenebre" che
avvolge lui e i commilitoni e giunge a "illuminarsi d´immenso".
Anche
per Ruffilli solo "lo sguardo umano", per quanto limitato dal
"qui e adesso", penetra il "buio pesto del reale" e "resiste
alimentandosi / da quel che nel profondo / emerge, e sente / di
essere straniero../ l´altrove, il cielo.. / il trascendente"
(Lo sguardo umano, p. 19). E´ da lì, in
quell"utero del tempo", in quel limo viscerale (che, con perfetto
neologismo, il poeta definisce "quel tutto tuttità"), che la
parola pesca con i suoi "filamenti lunghi" e dà "soffio e
corpo musicale/ alle cose sconosciute", ad ogni singola entità
( La parola, p. 20). E il pensiero fattosi parola diventa
coscienza di un sapere che spicca verso l´alto, verso il cielo
della conoscenza, meta sfiorata, gradino da cui non si ritorna più
giù, anzi si desidera salire sempre oltre.
In
questa ascesa è importante anche il ruolo dell´arte, linguaggio
che si riappropria degli oggetti del reale e che li "ri-conosce"
nel suo segno simbolico, arte che nei versi di Ruffilli diviene "il
traduttore / del caos che avvolge / le cose della vita /..l´intera
compagine del mondo", riunendo "materia e non
materia"/...principio intellettivo / e spinta del profondo: frutto
- tutto - di energia. (Arte come linguaggio?, p. 26),
perché "Concreto e astratto / nascono insieme / come sogno e
realtà / perdita e conquista". E allora l´unica sapienza che
Ruffilli inneggia è quella dell´"uomo simbolista", consapevole
della contraddizione dentro l´unità, della polivalenza infinita
dell´arte e della lingua (Attività teoretica o pratica?, p.
27).
Ma
per questo occorre giungere all´"ultima stanza", quella del
"vuoto del silenzio": è da lì che - scrive il poeta -
"viene la chiamata / prima dispersa / affogata nel chiasso /
inascoltata". Da lì è possibile "riplasmare in lettere
l´essenza / evocata", risucchiarla da "inessente" ad "essere
esistente" (La voce del silenzio, p. 23). Quello cui aspira
Ruffilli è un "punto di vista / elastico / aperto all´impensato",
consapevole di dover inseguire febbrilmente "un vuoto mai riempito
/ davvero per intero", una sete di conoscenza di dantesca memoria
mai esauribile perché il buio del mistero è infinito e la salvezza
è nell´accettazione del limite della conoscenza (La sete,
p. 25).
"Sapere
di sapere / è il principio della fine./ Sapere e non sapere / ecco
il sublime": questa la massima posta dall´autore a chiusura della
parte più `filosofica´ del suo poemetto, non senza però aver
prima attraversato con versi perfettamente costruiti e scanditi tutti
gli altri aspetti del cammino umano dentro la conoscenza e
rappresentazione del reale. Nella seconda sezione, Interrogativi,
Ruffilli non dà risposte, ma si e ci pone domande, tanto che ogni
composizione contiene o si chiude con un punto interrogativo.
La
sua ricerca è rivolta al recupero dell´"anima del mondo"
intatta, quella "matrice" primordiale dei sensi che l´uomo
moderno e troppo tecnologico ha perduto, ma che pure gli appartiene
da sempre. Un archetipo che è stato coperto, soffocato, provocando
un taglio, una frattura tra l´io e la "sagoma del mondo",
divenuta "finta", apparenza ingannevole. I versi e il lessico
assumono in questi componimenti quasi una sorta di spasimo, si
caricano di un soffio lacerante di sofferenza nell´attesa di un
"clic dal buio / perché ne possa / deflagrare / il flash
inaspettato / sì, l´annunciazione / della rotta che tira /
all´indimenticato / dell´oltrepista / per quello stato eterno /
dentro la vita / disperso e frantumato/ dalla vista? "
(L´oltrepista, p. 33). E ancora:
"Oltre
l´inganno / e l´apparenza, / oltre la finta riconoscibile /
sagoma del mondo, / dentro l´astrazione / più concreta / di cose e
figure / che sconcerta / col suo abbaglio, / come togliersi di dosso
/ la coperta, come riuscire infine / a ricomporre il taglio?" (La
sagoma del mondo,
p. 34).
Vengono
alla mente, scorrendo le vibranti poesie interroganti di questa
sezione le tele tagliate di Lucio Fontana o i fili inchiodati sulle
tele gessose di Walter Valentini, come pure le silenti, scandite
nature morte morandiane o le inquietanti tele di Magritte che giocano
con la duplicità e l´incrocio tra realtà e illusione ottica. E´
come se il poeta ci conducesse, sull´onda dei suoi versi per lo più
brevi e ritmati, a riscoprire la forza del pensiero, del silenzio che
si fa "luce" animando e quasi dominando le cose, rinnovandole in
sè e per noi.
"Il
vecchio si fa nuovo / un´altra volta / nei segni dell´ordito /
composto sulla tela ?/ Luce che fora il buio / senza però stanarlo /
con la presa / dal suo stato prediletto / di penombra amata / e
previdente / avviandola intanto / sul sentiero? / Vita vivente /
distesa nel mistero " (Il
vecchio e il nuovo,
pag. 37).
Ruffilli
ci offre lo specchio potente con cui guardare la realtà e le cose
per intuirne i cangianti segreti e al tempo stesso ci avverte
dell´impossibilità di penetrare completamente "la zona
misteriosa e non contaminata" dell´ordito dei giorni, della tela
della vita. Una natura morta e viva insieme, di cui ricerca
ansiosamente "l´oscura traccia" prenatale, l´imprinting di
"una mano segreta" che sfiorandoci lieve ci ha animato, "tirando
il velo su / ma solo in parte" (La traccia, p. 38 ). Una
ricerca che si cala anche negli abissi smeraldini: "Che sia laggiù
/ la nostalgia del mare / nella sua essenza / di cosa inconquistata /
compresa a stento / tra le sponde...?" (La nostalgia del mare,
p. 39).
La
terza sezione del libro, che ne porta lo stesso titolo Natura
morta, è divisa in tre parti: Del tempo, Del nome, Del
sapere, composte rispettivamente di dodici, sei e otto poesie,
tutte numerate e, tranne la prima di ogni sottosezione, formate da
strofe di due versi, quasi a ribadire l´attenta ricerca di
simmetria con cui è strutturato l´intero libro. In questa sezione
sono esposti quasi aforisticamente i principia di
una cosmogonia basata sull´equilibrio degli opposti. Moto e quiete,
calore e freddo, vuoto e pieno, minimo e infinito, peso e leggerezza,
luce e buio " si sono - come scrive l´autore - con equità
divisi la partita" (n. 2 p. 48) :
"In
ogni aspetto e effetto / qualunque sia l´ordito / per l´uno o
l´altro corso // nulla mai di nuovo eppure / tutto nuovo diviene
rispetto / all´infinito tempo già trascorso" ( n.
6, p.
52).
Nel
ripetersi ciclico, e al tempo stesso in forma rinnovata degli eventi
in tempi scanditi da ritmi irrinunciabili, ne consegue che
"l´intermittenza è il vero passo / che tiene e usa il mondo"
(n. 7, p. 53). Come il tempo, anche lo spazio è misura
relativa, gradazione infinita dell´intero orizzonte" e " nel
cuore e nelle vene" del mondo "quel che muta e dura" è "eguale
senza fine" (n. 8, p. 55).
Ma
in questo cosmo che perennemente si rigenera - ribadisce Ruffilli
all´inizio della sottosezione successiva - "L´intero non ha
dove: / dal nome si protende / ciò che non ha nome" (n.1,
p. 61). E quindi è solo il nome che imprime di sè la "materia
generata" dal "non essente", la sgrezza, le dà un limite, un
confine, rendendola unica rispetto alla "totalità
indifferenziata":
"L´essere
e il / non-essere / si specchiano a vicenda //e ciò che è / è tale
in quanto / ha dato dei confini al nulla // e dentro il vuoto / non
c´è niente / che non possa neppure / chiamarsi con il nome" (n.
6,
p. 66).
E´
questo l´estremo e ripetuto omaggio che il linguista Ruffilli,
studioso appassionato da sempre di etimologie e della magia del
linguaggio, rende alla importanza della lingua e alla sacralità
della parola. Il nome è sufficiente e indispensabile all´uomo
saggio per iniziare a "sapere il mondo": viaggio che si compie
nella mente e non andando per vie lontane, viaggio che dura tutta una
vita contro l´inafferrabilità del reale e non svanisce con la
morte, ma solo "si trasforma / senza cessare di essere / in una
rotazione / mai finita". Perché, conclude Ruffilli, la salvezza è
nel rimanere "ancorato al dubbio" e nell´accettazione del
limite alla conoscenza:
"Appare
sconcertante / imbroglio o beffa / il colmo del paradossale // ma
proprio quando / non ci sono più le rotte / e non hai vie da
ricercare // e non importa affatto / dove tu vada ormai / allora sì
perdendo // senza saperlo / ti sei in realtà salvato / e decidendo
appunto / di non andare / hai finalmente trovato / la strada per
tornare." (n.8,
p. 76).
Il
poemetto si conclude con un Piccolo inventario delle cose
notevoli, cinque componimenti di varia lunghezza formati ciascuno
da strofe di sette versi. In essi si delinea una serie di massime e
consigli salutistici strettamente legati agli aspetti fisici e
corporei: un piccolo vademecum da preferire nettamente alle guide
dietistiche tanto in voga e da consigliare per la piacevolezza dello
stile oltre che per i sani principi a cui si ispira, primo fra
tutti est modus in rebus. "E´ la quiete il passo
della vita" ci insegna il `saggio´ e in ogni atto vitale -
respiro, moto, sonno, risveglio, bere, mangiare - occorre
rispettare i ritmi naturali, evitare ogni eccesso, conciliare piacere
e necessità, libertà e regola.
In
appendice Paolo Ruffilli ha posto diciotto splendide pagine, che con
molta modestia ha chiamato Appunti per una ipotesi di
poetica, ma che per la loro profondità, chiarezza e rigore
espositivo sono molto di più di una vera e propria Poetica. L´autore
spazia dal suo rapporto non obbligatoriamente `empatico´ con il
lettore alla acuta visione del sistema `lingua´ in continua
metamorfosi, dalla necessaria essenzialità e magico simbolismo della
lingua poetica alla personale "insofferenza verso qualsiasi
corrente, gruppo o scuola´ fino alla `ossessione musicale´ che
da sempre lo trascina e guida nello scrivere quel che `ditta
dentro´. Versi che risultano sempre più `sbriciolati´, in
linea con la condizione di solitudine e scissione dell´uomo
moderno; il poeta, dopo lo "sprofondamento nel silenzio", fa
riemergere una parola "balbettante", un susseguirsi sincopato di
versi, tanto che il "frammento" è per lui la dimensione
autentica della nostra epoca, in ogni campo letterario, artistico,
visivo, musicale e addirittura scientifico, in un mescolarsi creativo
di intelletto e talento, di conscio e inconscio.
Ruffilli
sottolinea anche il valore terapeutico che, fin dai primordi
dell´umanità, il linguaggio della poesia assolve, andando a
stanare, come e meglio di un´autoanalisi medica, "le ragioni di
quello che si sente", anche perché "il principio costitutivo
della realtà" è - come già emerso nell´analisi della parte
poetica, "il principio di contraddizione", per cui solo uno
"sguardo profondo" che vada oltre "l´abbaglio dell´evidenza"
permette di ricomporre "un ordine anche nel disordine". Ed è
questo il meraviglioso compito della parola poetica: portarci
dall´oscurità alla luce e viceversa, non escludendo le ombre, alla
ricerca di una identità vera. Ma il percorso ha bisogno -
ribadisce il poeta - di un "cannocchiale rovesciato":
"dall´infinitamente grande all´infinitamente piccolo", come
fanno gli scienziati nei loro laboratori. Ed allora ecco perché in
poesia, "la parola, per quanto possa apparire piccola e povera, ha
valenza assolutamente sacrale".
Il
sogno attuale di Ruffilli? "Inseguire la grazia sottile",
"togliere peso alla scrittura" per raggiungere il sublime con
sfuggente leggerezza, trattando temi cruciali come quelli affrontati
finora: la libertà, il dolore, l´amore e altri ancora che si
prefigge. Pagine che completano il valore assoluto e nodale di Natura
morta nel panorama della poesia contemporanea, confermando
la ampia competenza letteraria e testuale di Paolo Ruffilli, nonché
il cammino percorso da Piccola colazione ad oggi,
spaziando tra tematiche alte e perfezionando uno stile espressivo
inconfondibile, musicalmente ritmato, lessicalmente ineccepibile,
eticamente ispirato. Non tratteremo oltre in questa sede quanto lui
ha così brillantemente e con suprema chiarezza e `leggerezza´
esposto, anche perché, condividendo tutto, compreso la passione che
traspare, non possiamo che essergli profondamente grati di questo
ulteriore dono finale.
Patrizia
Fazzi