La
chiesa di Santo Stefano a Carisolo
di
Renzo Montagnoli
Nel
mio racconto ancora inedito L’eterno
riposo dona a loro, o Signore si
parla di una chiesa di montagna, con annesso piccolo cimitero. Si
tratta del tempio dedicato a Santo Stefano, edificato su una rupe
granitica posta all’imboccatura del Val di Genova, nel comune
di Carisolo in provincia di Trento. Il fatto che io da giovane abbia
trascorso diversi periodi di vacanze estive in quella località
ha avuto indubbiamente il suo peso nell’idea del racconto, ma
ci sono anche altre circostanze che hanno contribuito e che emergono
con la descrizione di questo edificio religioso. A quando risalga la
sua costruzione è domanda che non può avere risposta
certa, perché si tratta di opera molto antica; al riguardo c’è
una leggenda secondo la quale Carlo Magno, scendendo dal valico che
poi prese il suo nome, prima di arrivare a Pinzolo vide una chiesetta
isolata eretta su uno spuntone di roccia, che volle visitare e in cui
lasciò un manoscritto con la narrazione delle sue imprese. Se
la leggenda corrispondesse a realtà, considerato che
l’imperatore franco visse dal 742 all’814, ci sarebbe da
credere che il tempio sarebbe di epoca ancor più antica, ma lo
stile architettonico, che è un gotico-romanico farebbe
presupporre che invece possa essere più recente, all’incirca,
nella migliore delle ipotesi, dell’XI secolo, e del resto la
prima testimonianza della sua esistenza risale al 1244, cioè
addirittura al XIII secolo, quando il tradizionale stile
architettonico romanico subì maggiormente l’influsso di
quello gotico. Poi, nella prima metà del XV secolo la
primigenia struttura è stata modificata, cambiando
l’orientamento e passandolo da verso Est a verso Sud; nel 1454
vi fu la riconsacrazione e dal 1751, essendo stata aperta al culto
l’attuale chiesa di San Nicolò, Santo Stefano fu
sostanzialmente declassata a chiesa cimiteriale, quale è
ancora oggi. Ma se la posizione del tempio e il relativo panorama che
si apre agli occhi del visitatore è motivo di interesse, al
pari di quello architettonico, ciò che richiama maggiormente i
turisti che da decenni sono di casa in questi luoghi sono gli
affreschi di Simone il Baschenis. Vissuto all’incirca fra il
1495 e il 1565 questo pittore era membro della famiglia Baschenis,
originaria del bergamasco, una schiatta di artisti del pennello che
si guadagnava da vivere in modo itinerante, passando di paese in
paese e dipingendo le chiese, soprattutto con due tematiche che erano
a loro particolarmente congeniali: le danze macabre e le ultime cene
(e infatti nella chiesa di Santo Stefano si trovano entrambe). Gli
affreschi sono indubbiamente interessanti e di ottima fattura, ma,
sarà per la collocazione accanto al cimitero, sarà per
la posizione isolata, sta di fatto che non mancano dei misteri, o
quanto meno delle stranezze, in questo edificio. E’ talmente
vero che Franco Manfredi ha svolto delle ricerche da cui è
emerso quanto segue:
-
per quanto concerne il grande affresco sulla parete di nord-ovest,
che rammenta la leggenda della spedizione di Carlo Magno in Val
Rendena, presenta non un mistero, ma un colossale errore storico,
perché il pontefice al centro, Papa Urbano, è
completamente fuori tempo, visto che all’epoca il Papa era
Adriano. Forse c’è stato un motivo che ha indotto il
pittore ha ritrarre qualcuno che non poteva esserci, motivo che
ignoriamo, e pertanto rimane più plausibile l’errore;
-
del tutto poi inspiegabile è nell’affresco della cena la
presenza di un tredicesimo apostolo, e questo non può essere
considerato un errore, ma deve avere un significato particolare;
peraltro, non si tratta dell’unico caso di un apostolo in più,
perché anche nella chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano di
Pergnano, affrescata da Cristoforo Baschenis, ne figura uno in più;
il mistero è quindi relativo al tredicesimo e ci si chiede chi
possa essere (da parte mia, ma è pura ipotesi, non suffragata
nemmeno da indizi, si potrebbe trattare dell’autore del dipinto
stesso, circostanza non rara in altre opere pittoriche fino ai giorni
nostri);
-
e poi abbiamo un San Giovanni con sei dita; o i Baschenis erano
carenti in aritmetica, oppure questi non sono errori, ma
rappresentano simboli, e al riguardo le leggende popolari collocano,
come relegate nella selvaggia Val di Genova, le streghe e fra queste
la Baòrca, quella che aveva sei dita per mano; ma San Giovanni
non è una strega e nemmeno un diavolo e quindi il mistero non
è svelato;
-
nella parete esterna giganteggia un San Cristoforo che sta
calpestando uno strano essere a forma di sirena; simbolicamente
potrebbe rappresentare il male, la forza oscura, in cui anche il buon
cristiano potrebbe imbattersi, scacciandolo solo con la forza delle
fede.
Certo,
proprio la posizione della chiesa la fa apparire avvolta da un alone
di mistero, oppure è il visitatore che si lascia suggestionare
da questo edificio che svetta su una rupe a picco sul fiume Sarca;
comunque non vorrei trovarmì lì quando scendono le
ombre della sera e magari la luce della luna va e viene offuscata
dalle nuvole che corrono; non che abbia timore dei poveri morti lì
sepolti, ma di certo si accentuerebbe in me quel senso di impotenza
che mi prende quando penso all’eternità del mondo e alla
caduccità dell’umana esistenza.
Per
il resto non posso che consigliare una visita perché sarà
un’autentica esperienza.
Fonti
e fotografie:
https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/chiese-santuari/chiesa-di-s.stefano_md_2428
https://it.wikipedia.org/wiki/Carisolo
https://www.campigliodolomiti.it/it/catalogo/dettaglio_catalogo/chiesa_di_santo_stefano,918.html
http://www.ilpuntosulmistero.it/simboli-e-misteri-nella-chiesa-cimiteriale-di-s-stefano-a-carisolo-di-franco-manfredi/
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