La
nuova casa di Pietro
di
massimolegnani
A
diciott’anni Pietro era già a un punto morto, la scuola
abbandonata prima del diploma, il lavoro in fabbrica preso e lasciato
nel giro di un mese, non faceva per lui la catena di montaggio. E
adesso ammuffiva sul divano come su una zattera con i suoi beni di
prima necessità, sigarette, popcorn e lo schermo dello smart.
Per suo padre, abituato a lavorare sodo da una vita, era
inconcepibile che il figlio vegetasse senza fare assolutamente nulla,
nemmeno le cose sbagliate.
Non
servirono strigliate e rimbrotti, Pietro in casa continuava a essere
poco più di un soprammobile, finchè un giorno il
genitore esasperato lo caricò quasi di peso sulla Panda
assieme a una branda, un sacco a pelo, un vecchio fornelletto da
campeggio e poco altro.
Fu
un viaggio breve e muto, dalla periferia della città alle
strade sterrate della prima collina. Pietro riconobbe il luogo dove
da bambino teneva compagnia al padre impegnato a curare la piccola
vigna e l’orto. Ora era tutto in abbandono, l’orto
incolto, erbacce ovunque.
Non
vorrai lasciarmi qui, disse Pietro sbigottito.
Devi
darti una mossa. Io non ho più tempo per la campagna, ora
tocca a te: nel casotto troverai gli attrezzi per zappare, sarchiare,
potare.
Torni
stasera a prendermi?
No,
caro, passerai qui la primavera. Tornerai a casa solo quando l’orto
accudito da te inizierà a produrre.
E
dove dormo? Che cosa mangio?
Svuota
il casotto dalle cianfrusaglie, ripuliscilo a fondo e sistemaci la
branda e le altre cose. In quel sacco ti ho lasciato delle provviste
per i primi giorni, poi dovrai cavartela da solo.
Ma
è una follia, papà!
La
vera follia era buttare via la vita senza far nulla come facevi tu.
Ma
io non so nulla di campagna.
Mi
hai visto tante volte lavorare qui, qualcosa avrai imparato. Il resto
lo farà la necessità di sopravvivere.
Sei
crudele, disse Pietro che non si capacitava dell’improvvisa
severità di suo padre.
È
ora che io vada.
Almeno
mi lasci la Panda?
Ahah,
no di sicuro. Se hai bisogno di qualcosa, a tre chilometri da qui c’è
un paese con un negozio che vende un po’ di tutto. Non ti farà
male camminare un po’.
Il
padre gli diede una pacca sulla spalla, gli ficcò in tasca un
po’ di soldi e salì di fretta in macchina, prima di
lasciarsi commuovere da quel pelandrone smarrito che era pur sempre
suo figlio.
Pietro
non smentì il suo carattere indolente e, dopo aver preso a
calci ogni sasso che gli capitava a tiro, si buttò in branda
per il resto della giornata. Accese lo smartphone e scoprì
disperato che lì non c’era campo: niente internet,
niente contatti, questa era la fregatura peggiore di tutte. Maledisse
suo padre.
All’alba
fu svegliato dal freddo intenso e suo malgrado fu costretto ad
alzarsi per scaldarsi un po’. Aveva dormito poco e male tra
ragnatele, polvere, muffa e forse qualche topo. Decise di dare una
sistemata al casotto così almeno avrebbe potuto dormire in
pace. Buttò fuori tanto ciarpame che si era accumulato negli
anni e con una ramazza di saggina si mise a scopare il pavimento
grezzo. Dietro a un fascio di rastrelli, zappe e altri attrezzi,
scoprì una vecchia stufa in ghisa che forse poteva tornargli
ancora utile: la ripulì, sistemò al suo interno il
refrattario che si era staccato dalle pareti, la ricollegò al
tubo che usciva dalla finestrella, ma per farla funzionare aveva
bisogno di legna. Di malumore si arrampicò, armato di accetta,
verso il bosco in cima alla collina.
In
quei primi giorni si rese conto che più si dava da fare per
risolvere un problema e più saltavano fuori altre cose da
fare. Giocoforza stava entrando in un circuito di fatiche per lui
perverso, ma almeno ora e poteva scaldarsi delle minestre sulla stufa
e godersi il suo tepore nella notte.
Anche
se non l’avrebbe mai ammesso, ora Pietro al mattino si alzava
con più entusiasmo e subito andava al ruscelletto lì
vicino a lavarsi e fare provvista d’acqua con un pentolone.
Non
si era ancora dedicato all’orto, ridotto ormai a una terra
incolta invasa dalle erbacce, gli sembrava una resa al volere di suo
padre, però aveva intrapreso alcuni lavoretti impegnativi come
il rinforzare i muretti a secco che limitavano e contenevano i due
piccoli terrazzamenti. Era un lavoro di pazienza, per ogni punto che
aveva ceduto doveva ricompattare la terra e trovare le pietre adatte
a tamponare la falla. Aveva anche sostituito alcuni pali che
reggevano la vite ma più di quello non sapeva cosa fare con la
vigna.
Gli
venne in aiuto il vicino di campo che compariva puntuale ogni sabato
ad accudire il proprio orto. Era un ometto di poche pretese ma che
sapeva il fatto suo su verdure e vite; gli consigliò quali
piantine di pomodori procurarsi, dove far crescere le zucchine, dove
le melanzane, e gli mostrò come potare la vite, in pratica
gliela potò quasi tutta lui. Così Pietro per non
deludere l’uomo fu quasi costretto a dedicarsi all’orto:
si spezzò la schiena a ripulirlo dalle erbacce, vangò a
fondo la terra, spezzò le zolle e suddivise la terra in
piccoli comparti che pettinò a lungo col rastrello.
Da
qualche giorno un cagnetto spelacchiato si aggirava per il podere
senza osare avvicinarsi di più. Una mattina Pietro mise fuori
dal casotto una ciotola d’acqua e un’altra con un po’
di zuppa. Dopo qualche titubanza l’animale, vinto dalla fame,
ripulì le ciotole e si accucciò riconoscente vicino a
Pietro che riposava al sole appoggiato al muro del casotto.
Quando
il ragazzo scese in paese a fare provviste il cagnetto lo seguì
trotterellandogli a fianco. Erano diventati amici.
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