Il ritorno
Paolo guardava scorrere
la campagna attraverso i finestrini; già stavano calando le prime ombre della
sera ed il treno non sarebbe arrivato a destinazione prima di un paio d'ore.
Riflesso nel vetro semiappannato scorse il suo viso; i capelli incolti si
arruffavano sulla fronte, la barba lunga ed incolta lo rendeva pressoché
irriconoscibile; nessuno avrebbe potuto mai dire che quel clochard rannicchiato
nell'ultimo sedile della carrozza era stato un tempo una persona come tutte le
altre, un uomo rispettabile e rispettato, amato ed anche invidiato.
Erano passati quasi tre
anni da quando, uscito da casa per andare al lavoro,
non si era presentato in ufficio, né aveva fatto ritorno alla sua dimora.
Come era stato trascorso
questo lungo periodo?
A zonzo, di qua e di là,
sempre più lontano, senza una meta, senza uno scopo se non quello di
dimenticare, di cancellare dalla mente il ricordo di una vita serena e felice
fino al tragico evento della morte dell'unico figlio, un bel bambino di otto
anni, stroncato da un male che non perdona.
Quell'evento, così doloroso, così drammatico,
anziché rinsaldare il rapporto con la moglie lo aveva spezzato; era stato se
come la vita vissuta insieme fino a quel momento non avesse più avuto senso,
come se la sua vita fosse divenuta improvvisamente vuota ed inutile.
E pensare che l'aveva
amata così tanto! Ma già alla nascita del bimbo, il sentimento si era
affievolito e lui aveva riversato tutto il suo amore su quella piccola
creatura, la cui scomparsa aveva segnato indelebilmente la sua vita. Aveva
provato un dolore indicibile e gli era sorto un rifiuto per
ogni essere vivente, compresa la moglie. Non riusciva a spiegarsi questo
atteggiamento così drastico, ricordava solo che provava un dolore lancinante
che lo portava ad isolarsi; la moglie non l'aveva capito o forse aveva
compreso, ma non era riuscita a lenire la sua disperazione.
Erano passati quasi tre
anni, senza aver mai dato notizie di sé, ed ora faceva ritorno a casa, ancora
angosciato, ma terribilmente conscio di ciò che gli era accaduto; la morte non
è che una fase, l'ultima, del ciclo vitale e nel caso del suo bimbo si era
presentata solo troppo presto.
Che cosa avrebbe detto
alla moglie? Non lo sapeva e non riusciva a pensare; si
guardò intorno; nella carrozza non c'era che un'altra persona, un uomo
distinto, ben vestito con un abito nero che, di tanto in tanto, sollevando gli
occhi dal taccuino che stava leggendo, gli volgeva lo sguardo, uno sguardo
inespressivo, quasi bovino.
Il tempo passava; una stazione dopo l'altra ci si avvicinava alla meta;
ecco, la prossima sarebbe stata la sua.
Il treno rallentò
sferragliando, per poi fermarsi; Paolo scese dalla carrozza, seguito dallo
sconosciuto.
L'aria fresca lo stordì;
aspirò forte a sentire il profumo di casa ed uscì dalla stazione.
Si avviò, quasi
barcollando, verso la sua abitazione.
Ma che stava facendo? La consapevolezza di quello che gli era accaduto non giustificava
il suo comportamento di tre anni prima, l'abbandono della moglie e del lavoro;
si rese allora conto che la tragica scomparsa del figlio non aveva che fatto
emergere il suo carattere di perdente, la sua insoddisfazione di fondo,
l'assenza di un vero scopo nella vita, la mancata conoscenza del vero senso
della parola amore, quell'amore che è dato
soprattutto dall'offrirsi, dal saper ascoltare, dal riuscire con un solo
sguardo a spiegarsi; lui, invece, aveva sempre chiesto affetto, ricambiandolo
troppo poco. Anche l'amore per il figlio era stata una semplice ancora
di salvezza, un senso unico ed eccessivo della sua vita; più che amare il bimbo
vedeva in lui se stesso, quello che avrebbe potuto essere e non sarebbe stato
mai.
Calde lacrime gli
solcarono le guance, mentre si apprestava ad attraversare il ponte sul fiume;quello che non aveva capito in tre anni di lontananza ora
gli era chiaro; lui non era quello che pensava, che sperava, era semplicemente
un uomo che non sapeva amare.
Si appoggiò al parapetto
e guardò l'acqua scura.
“E' ora”.
Qualcuno aveva parlato;
si volse e vide l'uomo del treno.
“E' ora, che tu voglia o
no; non essere scontento di quella che è stata la tua vita che non hai di certo
apprezzato; però ti sei reso conto di esistere, hai compreso le tue
manchevolezze ed alla fine hai capito che cos'è l'amore, il suo significato, la
sua essenza, la vera ragione per la quale miliardi di esseri umani hanno potuto
essere consapevoli di far parte di un disegno preordinato e non di una
casualità.”
Paolo guardò l'acqua
torbida che si avvicinava sempre di più e che si aprì, per poi richiudersi
subito.
L'uomo del treno fece una
spunta sul suo taccuino, poi a passi lenti attraversò il ponte, scomparendo
nell'oscurità.