L'uomo senza domani
“Al bando il lavoro, la carriera;
voglio vivere prima che sia troppo tardi” si diceva Paolo, mentre si recava
all'appuntamento. Una bella posizione economica, conosciuto e stimato, nonché
un bell'uomo, Paolo era quello che si sarebbe detto
un buon partito, ma a parte qualche relazione saltuaria non c'era mai stata una
donna, per così dire “della vita”, nell'esistenza di questo magistrato,
cordiale, scherzoso, ma inflessibile ed integerrimo. E
così era arrivato a superare i cinquant'anni,
avvicinandosi ormai pericolosamente alla soglia dei sessanta senza la compagnia
costante ed attenta di una donna.
L'appuntamento era stato
fissato fuori città ed alle 14, un'ora insolita, ma le precauzioni non erano
mai troppe, atteso che la donna che doveva incontrare era una testimone a
discarico in un'importante procedimento penale presieduto
proprio da Paolo. Era vero che aveva già reso la sua deposizione, peraltro non
del tutto convincente, ma il giudizio non era ancora concluso.
Isabella si chiamava la
signora e bella lo era veramente; alta, slanciata, un fisico ben modellato nei
punti giusti, uno sguardo intenso, una bocca perfetta. Aveva quarantaquattro
anni, quindi né troppo giovane, né troppo vecchia per lui; divorziata da tempo,
senza figli, una buona posizione economica, la si
sarebbe detta più che un buon partito.
Come si era giunti a
fissare l'appuntamento? L'aveva incontrata casualmente
tornando a casa una sera e lei lo aveva salutato con un sorriso che gli aveva
rimescolato il sangue; Paolo aveva risposto con il suo più cordiale “Buonasera”
e poi le aveva stretto la mano, una mano tenera, calda; erano andati al bar a
prendere un aperitivo e fra una parola, uno sguardo, un sorriso, a Paolo era
venuto quasi spontaneo chiedere di vederla di nuovo, in un luogo più appartato,
la sua casetta di campagna, ereditata dal padre, a suo tempo presidente del
locale tribunale.
La strada saliva su per
la collina e Paolo mise al bando la prudenza, accelerando, ed in pochissimo
tempo arrivò alla meta; lei era già là, indossava un vestitino a fiori che le
arrivava appena sopra le ginocchia, con una generosa scollatura sul davanti,
che lasciava ben intravedere un seno pressoché perfetto. “Porta una terza”
pensò Paolo.
Le porse la mano, poi entrarono
in casa e, senza perdere altro tempo, andarono in camera da letto.
Consumarono l'atto
d'amore nel migliore dei modi, con un piacere così intenso che Paolo non aveva
mai provato, né immaginava potesse esistere.
Isabella si pettinò i
lunghi capelli, poi chiese “Sei sposato?”
“No, perché?”
“Perché, amore mio, ti
voglio sposare”.
A Paolo sembrò di vivere
in un sogno, troppo bello per essere vero. Aveva bisogno di una donna più che
mai ora che cominciava ad invecchiare troppo e più volte si era detto che si
sarebbe accontentato di una signora qualsiasi, purché lo amasse; ed ora invece
la vita gli offriva una donna splendida, eccezionale.
La guardò, l'attrasse a
sé, incollò le sue labbra su quelle di lei, poi, prendendo fiato, mormorò, ma
avrebbe voluto urlare “Anch'io ti voglio sposare, Isabella, appena finito il
processo, e quello che mi spiace è che fino alla sentenza non potremo che
vederci di nascosto ed anche poche volte, ma dopo sarà un'altra cosa; chiederò
di andare in pensione e potremo essere felici”.
Il procedimento durò
ancora tre mesi, tre lunghi mesi di un inverno freddo che gelava perfino i
cuori, tutti, tranne uno, quello di Paolo.
La sentenza fece un po'
scalpore, in quanto l'imputato fu assolto grazie alla testimonianza
dell'Isabella, apparsa poco convincente a tutti, ma non a Paolo, che la prese a
giustificazione della sua decisione.
Come promesso, chiese di
lasciare il lavoro per godersi la meritata pensione.
E dopo soli sessanta
giorni Paolo uscì per l'ultima volta dal Tribunale e corse, libero, a casa
dell'Isabella.
Gli batteva forte il
cuore, le avrebbe rinnovato la proposta di matrimonio.
L'Isabella lo accolse con
garbo, ma non con calore e Paolo ebbe il presentimento che qualche cosa non
andava.
La donna non disse di no
alla sua offerta, ma indicò dei tempi molto vaghi, giustificandoli con le
cattive condizioni di salute dei suoi genitori.
Paolo si morse le dita,
scrollò la testa e sbottò “Dimmi la verità, dimmela; non mi vuoi sposare”.
L'Isabella prese fiato, prima guardò il soffitto, poi, fissando il pavimento,
rispose lentamente “Vedi Paolo, ti voglio bene, te ne voglio tanto; sei un bell'uomo, una persona seria, gentile, simpatica, a cui non
si può che voler bene, ma l'amore è un'altra cosa; in questo tempo ho creduto
di amarti, ma era solo attrazione; il matrimonio è troppo importante perché si
basi solo su un reciproco apprezzamento e poi ho sbagliato una volta e non
voglio ripetere l'errore; se vuoi, possiamo restare amici, qualche volta uscire
insieme per andare a cena, per vedere una bella commedia”.
Paolo sentiva e non
sentiva, le parole gli giungevano ovattate alle sue orecchie, ma lo ferivano
egualmente; era la fine di un sogno, era l'inizio di una vita senza domani.
Uscì, corse a casa e, per
la prima volta, dopo tanti anni, pianse; trascorse una notte insonne, poi verso
l'alba si addormentò. Si svegliò verso il mezzogiorno e, ripensando
all'accaduto, si accorse di essere stato giocato, di essere stato lo strumento
per assolvere un imputato probabilmente colpevole; era la rovina di una
carriera senza macchia che si univa alla tragedia di essersi innamorato della
donna sbagliata.
Sapeva che cosa doveva
fare, non per vendetta, ma per coscienza; le conseguenze sarebbero state
nefaste per lui, forse lo avrebbero anche imputato per la sua condotta.
Iniziò a scrivere la
lettera
“ Al Presidente del
Tribunale”
Era quasi arrivato a
metà, dopo aver descritto con dovizia di particolari l'accaduto, quando si fermò e stracciò il foglio; il problema era che lui l'aveva
amata e che anche ora, nonostante tutto, era innamorato di lei; con la lettera
avrebbe rovinato Isabella e se stesso, quel poco di amore, anche non sincero,
che aveva ricevuto sarebbe stato distrutto. Più ci pensava, più gli si
stringeva il cuore pensando alla donna, alle poche ore di felicità trascorse
insieme, all'inutilità dei giorni a venire, e decise che la conclusione doveva
essere quella che si era prefissato, senza la lettera accusatrice.
Appoggiò la schiena alla
poltrona, aspirò l'aria della stanza, guardò il sole che illuminava una
bellissima giornata di primavera…
Lo trovò la domestica il
giorno dopo, il capo chino sul tavolo e la pistola nella mano destra.
La notizia fece scalpore
e trapelò immediatamente; l'Isabella sorrise dicendo
fra sé “Anche l'unico rischio che la verità venga fuori in tal modo è cessato”.
Ma il foglio di carta
stracciato fu ritrovato; si stese un velo pietoso sulla vicenda di questo
magistrato, ma il pubblico ministero in appello smontò, quasi con
soddisfazione, la falsa testimonianza della donna.