Vin santo, di massimolegnani
Vin santo
di massimolegnani
Rigido come uno stoccafisso, il signor Arcangelo Tripodi tratteneva a stento la rabbia per doversene stare disteso su quel lettino ondulato rivolto al muro senza poter fare nulla. Lui era un combattente, abituato a guardare in faccia le persone, le affrontava di petto, discuteva, spesso urlava, talvolta esagerava, tutto purché alla fine della discussione lui potesse prevalere o soccombere in modo inequivocabile.
-Dottore, il suo silenzio è più impenetrabile di questa parete che sono costretto a guardare come un cretino mentre parlo. Non dovevo dare retta a mia moglie, lei è convinta di vivere dentro un film americano, Arci, amore, vai da questo psichiatra tanto bravo, ti rimetterà a posto in un amen. E io fesso a darle ascolto. È il quinto pomeriggio che parlo al muro, e non so nemmeno se lei dietro di me dorme, mi ascolta o si sta limando le unghie dei piedi.
Sa, dottore, che cosa mi trattiene qui per l´ennesima volta? I soldi! I soldi che ho già buttato con lei e che voglio recuperare a tutti i costi. Soldi buttati per una fesseria, questi incubi che da un po´ di tempo mi svegliano di notte e mi lasciano stordito. Forse basterebbe una cena più leggera, ma no, mia moglie mi rimpinza come un tacchino prima del Thanksgiving Day. Sì, adesso anch´io guardo troppi film americani.
Senta, dottore, io sono anche disposto a fare la mia parte, parlare, raccontare, lei però mi deve venire incontro, mi deve dare qualche dritta, sennò continuerò a sproloquiare a vuoto. Non può stare sempre zitto, in un anno mi avrà detto tre parole. A parte quando incassa la parcella a fine mese, lì le torna la favella, mi blandisce, mi coccola, fa più moine di una checca innamorata, parla di incredibili progressi, forse teme che non mi faccia più vedere e allora addio gallina dalle uova d´oro. Me ne frego di essere maleducato, io la pago e voglio ottenere il risultato, che abbiano fine le notti d´angoscia.
L´incubo è sempre lo stesso, da più di un anno a questa parte. Talvolta cambia l´ambientazione o sono diversi i personaggi o la trama iniziale, ma qualcosa nel clima del sogno mi avvisa sin dalle prime battute che si tratta del mio incubo. Luoghi affollati, un teatro, una chiesa, uno stadio, un´osteria, un´orgia, e io sperso tra la folla, anonimo, piccino. L´atmosfera ha qualcosa di sacro, che sia sesso, recita, funzione religiosa, il clou è sempre un rito, un´elevazione mistica. In questo la trama è sempre simile, suona la campanella e l´officiante, arbitro, prete, barista, si erge sugli altri prostrati e alza un calice dorato. In quell´istante di raccoglimento una voce fuori campo tuona il mio nome, come un rimprovero o meglio una minaccia, e io mi sveglio atterrito.
Il sogno che le ho raccontato l´altro giorno è un nonsenso, non ci ricami sopra, sarebbe tempo perso. Io sono tutto l´opposto, non entro in una chiesa da quando facevo il chierichetto, non bevo e quanto alle orge, per carità, dividere una donna con altri? no grazie! E poi odio i rituali, le messinscene, sono un tipo spiccio, io. Come dice? Niente si sogna per caso. Sarà! Ma io mi sento distante mille miglia dalla materia dell´incubo... Già..però.. è vero, mi sveglio atterrito, un´angoscia terribile. E le confesso che da un po´ di tempo anche di giorno non sono più lo stesso, sto perdendo sicurezza, come se dovesse capitarmi qualcosa di spiacevole da un momento all´altro. Non mi riconosco più.
Dottore, ho riflettuto a lungo, mi sono interrogato, ho scavato e qualcosa ho ricordato. Il sogno non è iniziato per caso. Tutto è cominciato dopo una disastrosa trasferta di lavoro in Toscana. Una cena che i miei clienti hanno voluto concludere a tutti i costi con cantucci e vinsanto. Mi capita spesso che nei pranzi di lavoro mi offrano del vino, io mi bagno appena le labbra, fingo di bere di più e la cosa si conclude lì con buona pace di tutti. Ma quella sera c´era qualcosa che mi disturbava, non so cosa di preciso, il sentore dolciastro, forse, o l´insistenza dei miei commensali o le loro allusioni al vino di chiesa. Fatto sta che appena ho portato il bicchiere alle labbra ho provato un´intensa repulsione, una nausea insopportabile. Sono dovuto correre in bagno a liberarmi di quelle poche gocce e con loro di tutta la cena. Quella notte stessa, per la prima volta, è comparso l´incubo.
Mi scusi se l´ultima volta ho interrotto la seduta. Ero spossato e confuso. Ho avuto l´impressione di smuovere una pietra dalla memoria, la prima di tante sotto cui devo aver seppellito un segreto, nascondendolo a me stesso prima che agli altri. E adesso ho paura. Non mi faccia domande, dottore. La prego taccia. Dio mio, anche il suo silenzio è così pressante, sento che mi spinge in quella direzione. Non ci voglio andare lì, non voglio tornare in chiesa... "Mi perdoni, don Angelo, non lo farò mai più. Sì, resto fermo qui in sacrestia sull´inginocchiatoio tutto il tempo che vorrà, O Gesù d´amore acceso non t´avessi mai offeso, don Angelo perdono, volevo solo assaggiarlo, sapere che gusto avesse. No, non volevo fare male a Gesù. Sì, mi confesso e mi pento con tutto me stesso, mi dia la penitenza, mi faccia dire cento Paternoster, mi costringa a stare in ginocchio fino a domani, ma mi faccia fare pace con Gesù. Non basta pregare? Cosa devo fare, allora? Non voglio il castigo di Dio, cosa devo fare? Essere buono con lei? Se sono buono con lei dice che Dio mi perdona? Ma cosa devo fare per essere buono? Perché i calzoncini? Non capisco, don Angelo. Ho paura, ho paura. Sì, capisco devo farmi perdonare ma cosa vuole farmi? Ahi, no, non voglio! Perché Gesù è così cattivo?"