La consegna
La consegna
di
“Siete
in mezzo a un lago. Tornate indietro quanto potete.”.
- Oh, no, accipicchia. Il navigatore si
è guastato, proprio adesso che mi sembrava di essere così vicino.
Il Babbo Natale n. 151 tirò i freni, pardon le redini, delle sue 180 renne e la slitta,
ondeggiando di qua e di là, si fermò sollevando un polverone di neve.
- Vicino, ma dove sono?
Babbo Natale si sollevò il cappuccio e
si diede una grattatina in testa, poi prese la bolla
di consegna e guardò l'indirizzo:
Antonio Carugati
– Viale delle Ginestre, 2124 – Milano.
Volse lo sguardo all'intorno e nel
buio, grazie al candore della neve che aveva ormai imbiancato tutto e
continuava a scendere, non vide altro che i muri di grandi capannoni, di
opifici industriali, di magazzini commerciali.
Era sì in mezzo a una strada, ma che
quella fosse il Viale delle Ginestre era alquanto improbabile, perché a parte
qualche smorto lampione che faceva indovinare un
marciapiedi, non c'era nemmeno l'ombra di una pianta.
E provare a chiedere a qualcuno, forse
si risolve il problema – disse fra sé e sé. Ma chi mai
avrebbe potuto trovare in quella strada desolata proprio la notte di Natale?
Tentar non nuoce – pensò. E allora
allentò, di poco le briglie, e le 180 renne della sua slitta modello Super
Sport cominciarono a trotterellare.
Andava piano, volgeva lo sguardo a
destra e sinistra, ma case non ne vedeva, anzi era una
quasi una foresta di cemento.
Si stava perdendo d'animo e già pensava
di richiedere un soccorso celeste con il suo fantacellulare,
quando scorse un vago chiarore, come di un fuoco che si sforzava di restare in
vita nonostante i fiocchi che da più parte lo investivano.
Si avvicinò cautamente e vide che in effetti c'erano alcuni pezzi di legno che debolmente
bruciavano e alla luce di quelle esili fiammelle apparvero ai suoi occhi due
fagotti che parevano in preda un tremito incontrollabile.
Si fece più vicino e riconobbe così due
umani che saltellavano, probabilmente per scacciare il freddo.
- Scusate, mi sapete dire dov'è Viale
delle Ginestre?
Nessuna risposta.
- Vi prego, per cortesia, dov'è?
Uno dei fagotti gli si avvicinò, lo
guardò ben bene e disse rivolto all'altro:
- Lo sapevo che quella grappa che
avevamo comprato era scadente, tutto alcool e niente gusto. E
infatti, mi sta togliendo la vista, mi fa vedere cose che non ci sono,
come addirittura Babbo Natale.
- Ci sono, esisto, non è una tua
immaginazione. Prova a toccarmi.
L'uomo tese il braccio, avvertì il
calore del panno e sbottò:
- Che mi venga un accidente! Questo
vecchio con la barba dice il vero.
- Certo che dico
la verità. Adesso vi chiedo ancora di dirmi dov'è Viale delle Ginestre?
I due si guardarono in faccia e
allargarono le braccia.
- Non lo sapete?
- Mai sentito – risposero in coro.
- E per caso, non vi dice nulla il nome
Carugati?
Il più vicino, quello che gli aveva
toccato il braccio, si grattò in testa, forse per aiutare la memoria.
- Carugati, Carugati, non mi è nuovo, ma sì, adesso mi viene in mente,
è un riccone – e volgendosi all'altro – ed è quello, se ti ricordi, che l'anno
scorso, quando abbiamo suonato al campanello della sua villa per gli auguri di
Buon Natale, ci ha quasi sparato addosso.
- Ah, ma allora sapete
dove sta?
- Sappiamo dove
stava, perché è andato via?
- Come andato via?
- Dicono che ha comprato un'altra
villa, ancor più grossa, con piscina, campo da tennis, maneggio e campo da golf. Però dove sia non lo
sappiamo e nemmeno lo vogliamo sapere, perché a quel taccagno non faremo più
gli auguri. Dico bene?
Sì – rispose l'altro.
- Ma tu cosa
devi andare a fare da Carugati?
- Devo portargli i regali di Natale.
- I regali di Natale a uno che ha già
tutto, anzi più di tutto? E scommetto che sono in quel tir che ti porti dietro,
vero?
- Sì.
- Che c'è?-
- La solita roba per i ricconi:
caviale, champagne, ostriche, cibarie varie, coperte di lana merinos, giacconi imbottiti delle più prestigiose
firme.
- Ma non ti vergogni di portare così tanto a chi ha già così tanto?
- Obbedisco solo agli ordini e si vede
che Carugati ha qualche Santo in Paradiso.
I due si fecero ancora più vicini ed
esclamarono:- E perché non dobbiamo avere anche noi qualche santo in Paradiso?
Poi, il primo, quello che gli aveva
toccato il braccio, si accostò al suo orecchio destro, mormorando:
- Come puoi vedere, noi siamo dei
barboni, dei clochard, non abbiamo nulla, se non la nostra miseria che ci è compagna e stimolo per continuare questa vita da
emarginati. Non cercare Carugati, fermati con noi e,
se c'è un Paradiso, credo che non possa che essere contento di vedere che
almeno in questa notte un briciolo di giustizia è sceso sulla terra.
- Più facile a dirsi che a farsi,
perché lassù controllano e sono inflessibili, altrimenti tutto andrebbe in
vacca. Ma in cuor mio so che avete ragione e mal che vada mi potrebbero
licenziare, esiliare su una nuvoletta sperduta, farmi fare la corvé di pulire con la ramazza
ogni giorno tutti i sentieri che corrono fra gli astri, togliermi la compagnia
delle renne, mettermi in cucina a fare il lavapiatti e là di piatti ce ne sono
tanti, un numero infinito.
- E allora?
- E allora che Carugati
vada al diavolo; ci sto, mi fermo e la roba è per voi.
Urla di gioia accompagnarono
quest'ultima frase e rese tutti più intraprendenti. Il fuoco fu ravvivato, i
due barboni si ricoprirono con i giacconi imbottiti, si iniziò
a pasteggiare con caviale e champagne. Nel corso di quel cenone Babbo Natale
non mangiò molto, ma si vedeva che era contento che gli altri si saziassero.
Si iniziò a chiacchierare e uno gli
chiese: - com'è la vita lassù?
- Piuttosto monotona, tutti i giorni le
stesse cose, ma non c'è da lamentarsi, perché là siamo uguali in tutto.
- Ci sono dei poveri, dei barboni?
- Evidentemente no, anzi sono poveri
quando bussano al portone, ma una volta dentro diventano tutti ricchi, di una ricchezza interiore che si chiama
beatitudine. E voi, scusate, la domanda, come mai
siete dei barboni?
- Io…
- Io…
- Uno alla
volta per carità, magari comincia tu che sei stato il primo a parlare con me.
Costui era un tipo di una magrezza spaventosa,
con gli occhi cisposi e la voce che con lo champagne tracannato si era fatta
roca, appena percettibile.
- Rispondo, hic, se bevi anche tu, hic.
E Babbo Natale cominciò a bere.
- Chiamami Ben. Vedi, io non ero come
mi vedi ora, ero uno come gli altri, casa, ufficio,
ufficio, casa, e così via, hic. Un giorno, però, ho piantato tutto, hic. Mi sono
stufato di quella vita talmente uguale da non accorgermi del tempo che passava
e, hic, ho iniziato la mia carriera di barbone.
Si fece avanti l'altro, pure lui un po'
brillo.
- Io sono Aristide, Aristide e basta,
il cognome l'ho dimenticato. Non mi andava questo mondo, con i ricchi sempre
più ricchi e i poveri sempre più miseri, con le ingiustizie sempre in danno dei
più deboli e a vantaggio dei più forti.
Il vino, il pasto abbondante cominciarono ad avere effetto e i tre - sì tre perché anche
il Babbo Natale 151, non avvezzo all'uso delle bevande alcoliche, ne fu
contagiato - si addormentarono pesantemente e nemmeno sentirono i suoni delle
lontane campane che a mezzanotte annunciavano la nascita di Gesù.
Furono trovati all'alba da una
pattuglia della stradale, raggomitolati nella neve, difesi dal freddo solo
dall'abbondante dose di alcool che avevano
trangugiato. Delle renne e della slitta non c'era traccia, erano semplicemente
sparite.
Li portarono al commissariato e Ben,
che fu il primo a risvegliarsi, raccontò una storia che non stava né in cielo,
né in terra e cioè che avevano cenato con Babbo
Natale, avevano bevuto a volontà ed ebbri si erano addormentati.
Il commissario Santanastasia,
già incavolato per essere di servizio il giorno di Natale, diede un pugno sul
tavolo che fece cadere tutta la collezione di penne che lì stazionavano
permanentemente del tutto inutilizzate.
- Ma che cazzo
e cazzo! Dovrei credere a una minchiata del genere?
E rivolto al suo aiutante, urlò:
- Portami quello vestito da Babbo
Natale.
Questi, ancora
intontito, entrò barcollando nell'ufficio e fu fatto sedere con una
certa difficoltà, perché se faceva fatica a camminare dritto, altrettanto gli
risultava difficile restare fermo da seduto e così prese a oscillare da una
parte all'altra.
- Senti, bel
tomo. Chi sei e cosa facevi lì?
Dalla bocca impastata uscirono suoni
disarticolati.
- Non prendermi per il culo. Cazzo, rispondi in modo chiaro.
- Sono Babbo Natale 151.
- Sì, e io
sono Rockfeller.
- Piacere signor Rockfeller.
- Ma che Rockfeller e Roffeller del cazzo!
Sei ubriaco, ma mi prendi in giro. Ripeto la domanda:
chi sei?
- Sono Babbo Natale 151.
- Ispettore, portalo via, levamelo di
torno.
- Commissario, con che motivazione li
tengo dentro?
- Gli altri due rimettili fuori;
questo, vediamo, questo lo arresti per offesa a Pubblico Ufficiale.
- Che offesa?
- Come che offesa? Scrivi: alla domanda
di declinare le proprie generalità, il soggetto, non in possesso di documenti di identificazione, dichiarava di essere Babbo Natale 151.
Reiterata la domanda, la risposta era la medesima. Ah, quando gli passano gli
effetti dell'alcool, chiedigli di nuovo chi è.
Era già il pomeriggio quando Babbo
Natale rientrò nel pieno possesso delle sue facoltà e alla domanda chi lui
fosse rispose che era Babbo Natale 151.
Informato della cosa, il commissario, d'intesa
con i magistrati, ne dispose subito il ricovero coatto presso l'Ospedale
Neuropsichiatrico.
L'ambiente era cupo, sbarre alle
finestre, porte chiuse, urla di dementi e Babbo Natale 151 se ne stava coricato
sul letto, stretto dalla camicia di forza.
Ripensò a quanto era accaduto e, per la
prima volta nella sua vita, pianse, poi volse gli occhi al cielo e invocò Gesù.
- So tutto - questi gli rispose.
- Vorrei tornare.
- Certo.
- E mi manderai in esilio, mi farai
pulire i sentieri fra gli astri, mi farai lavare i
piatti? Farò tutto questo, pur di tornare.
- No, Babbo Natale 151, tu tornerai
illuminato dalla tua nuova luce, da quella bontà che era
in te e che non conoscevi.
- E le mie renne?
- Già recuperate.
- Grazie, grazie; mi toglierai dal
servizio?
- Ma che dici?
Il prossimo Natale scenderai sulla terra con migliaia di cose utili per chi ha
veramente bisogno, ritroverai i tuoi amici barboni, e anche gli altri tuoi
colleghi conosceranno le favelas, le città del dolore, gli occhi tristi di bimbi
che non sanno che cos'è la gioia.
- Ma allora,
sono perdonato?
- Perdonato? Non c'è bisogno di
perdono; tu hai fatto quello che ti ha detto il tuo cuore, hai ragionato con
questo muscolo che a volte in non pochi umani sembra mancare. E adesso vieni. Chiudi
gli occhi e quando li riaprirai sarai nel tuo cielo.
Il commissario Santanastasia
trascorse Santo Stefano, il Capodanno e l'Epifania ancora più nervoso del
solito, perché né lui, né nessun altro riuscivano a
comprendere come un alienato mentale che si proclamava Babbo Natale, stretto
nella camicia di forza e chiuso in una camera di sicurezza fosse riuscito a
fuggire senza lasciare traccia.
- E se fosse veramente Babbo Natale?
No, meglio non pensarci, altrimenti ammattisco anch'io; insabbiamo l'indagine,
perché in fondo non aveva fatto niente di male. Ispettore, nascondi il
fascicolo!
Uscito il collega, Santanastasia cominciò a rimuginare fra sé e sé “ Macché Babbo Natale, ci credono solo i
bambini a una cosa del genere. Però
come abbia fatto a sparire è un mistero: nessuna traccia di effrazione, le
sbarre intatte, la camicia di forza ben piegata sul letto. Nemmeno il mago Houdini sarebbe stato capace di tanto. Meglio
darsi una calmata e non pensarci più. Sì, è la cosa migliore. Però…,
però, se trovassi per caso quell'uomo anziano con la gran barba bianca, così,
amichevolmente, mi farei spiegare come ha fatto a scappare e se mi risponde
ancora che lui è Babbo Natale, non so che gli faccio, anzi no…, gli chiedo dei
doni per i figli dei poliziotti.”