La recensione di Carmen Lama
Canti celtici
di Renzo Montagnoli
Prefazione di Patrizia Garofalo
Immagine di copertina e fotografie
all'interno di Renzo Montagnoli
Elaborazione Grafica di Elena Migliorini
Edizioni Il Foglio
http://www.ilfoglioletterario.it/
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio Manini
Poesia – poema
Pagg. 90
ISBN: 978-88-7606-162-2
Prezzo: € 10,00
La prima silloge poetica di Renzo Montagnoli, Canti
Celtici, è interessante già a partire dal titolo. Immagino il pensiero del
poeta, impegnato in una sorta di scavo archeologico nella Storia, portare alla
luce, evocandoli, pezzi di un'antica civiltà, gesta, oggetti, per mostrarli poi
in una forma “rispolverata e luccicante” di poesie. L'intento di far rivivere
qualcosa del passato porta il poeta ad essere molto attento nell'estrarre i
vari “cocci” per lasciarli il più possibile intatti,
pur nella loro frammentarietà e per cercare di ricostruire, mettendoli insieme
come fossero delle tessere di un puzzle, non solo gli oggetti stessi, ma anche
situazioni, fatti, comportamenti, consuetudini di vita, credenze e lo stesso
contesto ambientale in cui i Celti sono un tempo vissuti. Immagino, allora, di
trovare all'interno del testo, delle poesie che risveglino in me, da una parte,
il senso storico generale e, dall'altra, la curiosità di riscoprire un aspetto
di dettaglio e perciò molto particolare della Storia, costituito dalla vita di
un popolo dei paesi nordici che, nella memoria, è vagamente depositata in una
forma che definirei quasi mitica e magica. In effetti, leggendo poi le poesie,
scopro di essere immersa, insieme al poeta, in un ambiente e in un'atmosfera
inconsueta per me. Poiché il poeta vive nel mantovano, dove pare che villaggi
celtici siano stati presenti molto anticamente, l'atmosfera che a me risulta
inconsueta immagino faccia invece parte del DNA di Renzo. Affermo questo dato,
quasi come una certezza, balenata nella mia mente scorrendo più e più volte le
pagine di questa originale raccolta di poesie, in quanto ciò che più mi
colpisce è quel senso di nostalgia per un passato che agli occhi del poeta non
pare lontano, anzi sembra che egli lo riviva come qualcosa a cui ha appartenuto e che man man ha
visto sfumare. Egli, mi dico, è indubbiamente impregnato della cultura del suo
ambiente di vita, con giusto orgoglio, non fosse altro che per gli ascendenti
ed anche per l'eco mai spenta di qualche antico illustre poeta della zona.
Partendo da questa convinzione, mi riesce più facile far emergere da ciascuna
poesia il senso profondo che il poeta ha voluto mostrare come in un museo
archeologico, solo che in questo caso si tratta di un museo in versi. Ed ecco
l'originalità di cui parlavo più sopra. Questa chiave di lettura dei testi
poetici dei Canti Celtici mi aiuta a comprendere che nell'animo del poeta il
passato è tenuto in grande considerazione, tanto da attingervi quando ne sente
la necessità, a partire, talvolta, da una semplice visione, da un lampo che si
accende sul fiume, sul canneto, nei boschi circostanti al suo territorio di
vita. Da quel semplice spunto, ecco evocare una situazione particolare
attribuita all'antica civiltà. Così si passa da usi familiari, a miti e
credenze religiose, a cerimonie religiose quali un funerale per la morte di un
bimbo, a battute di caccia, a costumi popolari quali le danze, le musiche di improvvisati
citaredi e il suono della cetra, ed anche a difese del territorio da parte di
guerrieri sfidati sui loro stessi villaggi. Su tutte queste situazioni evocate
e fatte rivivere, aleggiano valori importanti che reggevano la vita e la
cultura celtica: la solidarietà, l'amicizia, la famiglia attorno a cui riunirsi
per sentirsi protetti, il divertimento per rendere più leggere le fatiche del
vivere in tempi in cui qualsiasi tipo di agio era tutto da inventare, il culto
dei morti e anche la difesa dei propri cari e del proprio ambiente di vita da
aggressioni. Sotteso ad ogni lirica, in modi diversi a seconda dello specifico
tema trattato, c'è il paragone con il presente, mancante di memoria del passato
e quindi anche di ciò che del passato sarebbe stato importante tenere
saldamente per continuare una vita umanissima come era un tempo. Il poeta,
tuttavia, non indulge a sentimentalismi né a forzature che potrebbero far
pensare a un suo rifiuto tout court del presente e del progresso, bensì
rimpiange il fatto che si siano perse e del tutto oscurate le tracce di un
passato che nelle sue caratteristiche specificamente umane potrebbe ancora
insegnare qualcosa. In alcune liriche il rimpianto e la malinconia del poeta si
trasferiscono al futuro, divenendo ciò che Pessoa chiamava, con un'espressione
fortemente connotativa, “nostalgia del futuro”. Il poeta
infatti non riesce ad immaginare, a partire dal presente, (da questo
presente convulso, disordinato, culturalmente e umanamente povero che stiamo
vivendo, ricco solo di materialità e di bisogni indotti e perciò superflui e
superficiali), un futuro che possa dirsi degno di un'umanità evoluta e sana.
Quello che riesce ad immaginare è semplicemente l'attesa di un futuro temuto. La
consapevolezza dello scorrere inesorabile del tempo è vissuta in un presente
come sogno, come non-realtà: strategia psicologica di difesa di fronte a ciò
che inquieta e si vorrebbe rimuovere. C'è una muta presa di coscienza del Nulla
che ci attende, perché anche la memoria e il ricordo, che ci promettono
l'Eternità, sono impalpabili illusioni che assopiscono la mente.
Unica speranza è un mondo che solo in cocci slabbrati coglie il senso del suo essere, e tutto fluisce, ma, sottolinea il
poeta, solo “La memoria di chi fu,
traccia la strada del futuro”. E dunque, indirettamente, ma ripetutamente,
il poeta sembra invitarci a non lasciarci sfuggire l'essenziale
che è sedimentato insieme al passato, a distillarlo per trarne almeno quella
linfa vitale che ci restituisca alla “vera umanità”, cioè -almeno- la forza
dell'amore.
Tra le poesie di questa silloge, voglio ricordare in
particolare La ninfa del lago, Musica e polvere, Cocci, Il testamento, che a me
sono sembrate le più toccanti, senza nulla togliere a tutte le altre, senza le
quali non avrei colto il senso del messaggio poetico.
Tutte le poesie di questa raccolta, a mio modo di
vedere, sono attraversate da uno struggente senso di nostalgia per un mondo
che, pur nella sua arcaicità, era connotato da un vivere umanissimo, cosa
abbastanza rara ai giorni nostri. Persino le relazioni “elementari” con il mito
contribuivano a destare e rendere sempre più attiva l'emozionalità che, certo,
era prevalente rispetto alla razionalità di noi uomini e donne
moderni, a nostra volta invece troppo inclini a soffocare o reprimere i
sentimenti e a non dare ascolto al profondo della nostra anima, soffrendo
spesso di quell'ansia di completezza del vivere e di inquietudini che, non
espresse, continuano ad agire dentro di noi, in qualche modo opprimendoci o,
comunque, lasciandoci insoddisfatti. Per questo
motivo, ritengo che sia molto apprezzabile l'intento del poeta di
rinfrescarci un po' la memoria mostrandoci come abbia più valore la semplicità
rispetto all'avidità del vivere rincorrendo sempre nuovi idoli, guidati solo da
un chiodo fisso, il denaro e il surplus, sotto l'egida di una razionalità
giustificante ma che, non sostenuta dall'intelligenza emotiva, uccide il meglio
dell'Uomo, e in tal modo svalorizzando noi stessi ai nostri stessi occhi.
Basterebbe soltanto scuoterci da questo torpore che si
è addensato sulle nostre anime come polvere, sembra dirci Renzo Montagnoli con
queste poesie, per ritrovare la serenità del vivere e per saper apprezzare
tutto ciò che potremmo osservare con gratuità, ma soprattutto con grande
soddisfazione e saldi nelle fondamenta.
Carmen Lama