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Vigilia, di Ernesto Flisi

Vigilia

di Ernesto Flisi



Fuori vi era una densa nebbia che impediva di vedere perfino i lampioni del paese in lontananza. Il silenzio ormai regnava in quella casa di campagna, vecchia e con mille scomodità, ma era la casa nella quale Giuseppe era nato e le scomodità, come il freddo e le fatiche fisiche non si sentono, quando si vive in sintonia coi propri luoghi d'infanzia e ci si trova a respirare l'aria delle proprie radici, fenomeno che caratterizza chi avanza negli anni.

Eppure la vita l'aveva condotta quasi completamente lontano da quel luogo. Alle spalle un matrimonio fallito, una convivenza successiva andata peggio, dopo anni di carriera passata in posizione apicale, nella quale erano sempre gli altri a cercarlo e in tanti e con una frequenza incessante (al punto di illuderlo di essere importante, mentre spesso lo cercavano per soddisfare le proprie esigenze), si era ritirato in solitudine in quella casa fuori mano che i suoi gli avevano lasciato. Ormai però i genitori erano morti e anche gli altri famigliari erano andati altrove, perché abitare lì era considerata la morte civile. I figli poi, giustamente, vivevano altrove coi loro affetti.

Era la prima Vigilia di Natale che passava in solitudine. Così, dopo la cena, preparata in maniera sobria, aveva spento la televisione; tanto era ormai caratterizzata da trasmissioni per lo più vuote e ripetitive ed era andato a letto, ma non aveva sonno. Una volta spenta la luce, nella stanza brillavano solo le fiamme della stufa a legna e la luce rossastra delle fiamme riverberava le pareti attraverso lo sportello di cristallo. Cominciarono allora ad affollarsi nella sua mente pensieri e ricordi delle Vigilie della sua infanzia, in tempi nei quali ci si accontentava di poco, ma quella ricorrenza era solennizzata come forse nessuna festa dell'anno.

Ci si svegliava presto ed era tutto un affaccendarsi in casa. Si preparavano i cibi per la cena, che era il momento più importante, ma comunque rigorosamente di magro. Il pranzo era sbrigativo e dominato dal riso con le verze in brodo, un pezzo di formaggio e poco più. La cena invece era costituita dai tortelli di zucca, dagli unici tipi di pesce che allora erano acquistabili nei luoghi di campagna, quali il capitone, che si comperava al mercato a prezzi molto più modici di oggi, il merluzzo in umido, il pesce di piccola taglia marinato, il gorgonzola, i crauti, i torroncini Vergani e i mandarini, le cui bucce venivano poste sulla piastra della stufa e invadevano col loro profumo la cucina. Ma la cena era preceduta da un rito solenne. In ogni casa, la mattina, ci si procurava l'acqua benedetta che il prete del paese forniva in un recipiente ampio posto in chiesa, vicino all'acquasantiera. Così il più anziano, prima della cena, seguito da tutta la famiglia, anche dai bimbetti curiosi, benediva tutte le stanze della casa, intingendo la mano nell'acqua santa. Certo quelle mani erano più adatte ad altri lavori, ma in quell'occasione si prestavano a questa tradizione. Tutte le stanze, comprese quelle da letto, erano caratterizzate da un freddo gelido, al punto da vedere il fiato controluce. Dopo che la processione casereccia era terminata, ci si metteva a tavola, ma gli occhi dei bambini erano più rivolti al piatto del capotavola che non alle vivande già apparecchiate, per vedere la reazione del padre quando (con simulata meraviglia) scopriva e poi leggeva le letterine che ogni bambino gli aveva messo sotto il piatto .

Intanto la grande stufa a legna andava a mille, facendo grondare i vetri: segno che il freddo esterno era intenso.

Finita la cena, si recitava il rosario, seguito dalle litanie e dal Salve Regina e poi a mezzanotte, imbacuccati, ci si incamminava sulla neve per recarsi alla Messa di Mezzanotte. Sul piazzale della chiesa non era infrequente trovare gli zampognari, poveri pastori abruzzesi che suonavano canzoni natalizie coi loro strumenti pastorali. Si trattava di pastori che probabilmente erano partiti dai loro borghi montani dell'Abruzzo, affrontando un periodo di stenti per raggranellare qualche soldo.

Anche in chiesa si vedeva il fiato, ma nessuno si lamentava, anzi era gremita come non mai.

Al ritorno a casa ci si immergeva subito nel letto con le coperte riscaldate da un padellino di braci, ricoperte di cenere, messe qualche ora prima in un attrezzo, che, non si sa perché, veniva chiamato prete. Entrare (alla svelta) sotto le coperte era una sensazione piacevolissima che contrastava col freddo gelido della stanza.

Al mattino ci si svegliava molto presto, quando era ancora buio pesto, ma il biancore della neve, che ricopriva tutto, dava l'impressione che fosse già chiaro; ci si doveva recare alla Messa dell'Aurora. Alzandosi (alla svelta), si scendeva in cucina e ci si lavava il viso in un catino di acqua tiepida, tolta dalla pentola collocata sulla stufa che già era stata accesa dalle donne di casa, le quali ovviamente avevano dormito assai poco, nonostante i lavori della Vigilia e quelli che le aspettavano per celebrare degnamente il Natale. Tutti i vetri della casa sembravano dei merletti disegnati nella notte dal gelo. Venivano chiamati “i fiori”, perché, con un po' di fantasia, sembravano proprio decorati come una tappezzeria fiorita, bianca. Segno che nella notte la temperatura era scesa molto sotto lo zero.

Alla Messa dell'Aurora (alle cinque del mattino!) la chiesa era ancora stipata di fedeli.

Intanto che Giuseppe aveva rivisto questo film delle Vigilie della sua infanzia, si era spenta la stufa a legna e nella stanza vi era il buio totale o quasi, perché sul suo comodino era posizionata una statuetta della Madonna che al buio diventava fosforescente; era un oggetto allora molto diffuso nelle case e suppliva le attuali luci notturne.

Una ad una, la sua mente passava in rassegna le persone di quel mondo che aveva conosciuto (chi lo dice che i bambini non osservano e non trattengono tutto nella memoria?). Avrebbe voluto dire una parola a tutti, chiedere risposta di tanti perché rimasti sospesi nel tempo. Certo avrebbe fatto a tutti gli auguri in maniera sentita, non come certi auguri di circostanza fatti anche da lui nella giornata della Vigilia, magari in whatsapp.

Non era ben cosciente se si fosse addormentato e avesse sognato, o effettivamente, da insonne, il suo pensiero fosse corso così nitidamente ai ricordi passati.

Poi però Giuseppe si era addormentato davvero. Fu svegliato al mattino presto non da un rumore o dal trillo della vecchia sveglia che aveva regolarmente caricato e puntato, ma da un bagliore che filtrava prepotente dalle fessure degli scuri. Si alzò di scatto, temendo di essere in forte ritardo. Aprì gli scuri ed ecco: l'aia era ricoperta da un alto strato di neve. La neve della Vigilia di Natale.