Se non sarò più mia, di Italo Testa - Samuele Editore
Se
non sarò più mia
di
Italo
Testa
Samuele Editore
Poesia
Pagg.
44
ISBN
979-12-81825-10-9
Prezzo Euro 13,00
Pensato
come nuovo frammento del poema in divenire La
divisione della gioia (Transeuropa
Editore, 2010; Industria&Letteratura, 2024), Se
non sarò più mia ne
approfondisce i solchi, a partire dalle persone interscambiabili e
dal mescolarsi di natura e manufatto. Nelle quattro sezioni del libro
lo sguardo si protende avanti e indietro nel tempo e nello spazio,
facendo spostare il lettore tra le varie scene (il tram – con
quello splendido inizio sospeso (“se un giorno, senza guardare,
attoniti, / salissimo invisibili su un tram / […] vivi nel leggero
dondolio”) –, una stanza d'albergo, la stazione, le facciate
dei palazzi) che scorrono nel flusso del vissuto.
Le scene a
loro volta sembrano rinviare a qualcos'altro che resta fuori e al
tempo stesso ci attraversa mentre parliamo. Siamo dove vediamo, ma i
contorni si dissolvono, l'esterno visita la mente e la mente ci
porta ovunque.
A prendere parola nelle sezioni sono io e tu, che
finiscono negli altri, o un noi che parla a nome di due; tutte queste
persone tendono a farsi esterne e a mostrare un ibrido percepire,
comune a tutti: l'occhio e le cose del mondo, gli altri con i loro
occhi e i loro mondi “come il fondale mobile, cangiante / dove
odiamo, amiamo, ci lasciamo”.
Ciò che tiene legate le persone
si inscrive dentro una storia più vasta di ciò che le tiene in
vita. Dentro una lingua non più di nessuno.
se
un giorno nella folla invisibile
che ci circonda, entrando e
uscendo,
fluendo a sciami sulle strade,
se un
giorno, senza guardare, attoniti,
salissimo invisibili su un
tram
a mani vuote, noi e gli altri
vivi nel leggero
dondolio,
se un giorno voltandosi di scatto
una
donna si alza, si agita,
ti guarda con stupore, poi
scende,
cammina sul selciato, si perde:
tutti i
volti, i passi indistinti
che risuonano ovunque,
ritornano,
tutti i luoghi dove non saremo
in
quel cortile, le pietre scure,
le linee oblique delle
finestre
che si disperdono in fuga muta
verso un ordine
dimenticato,
la trama che ci avvolge e inquieta,
si
dipana nei libri che leggono
gli altri, nei mondi che non
potrai
abitare con quell'innocenza,
l'abbandono di chi
sta di spalle
e legge, lascia che tutto accada
senza
opporre alcuna resistenza:
oppure aggrappati al
corrimano,
ti vedo salire a passi lenti
raggiungere la
porta, sparire,
se i dettagli possono salvarci
lo
sfarfallio di luce, il globo
luminoso sotto il ballatoio:
o
il bordo bianco di un segnale,
le arcate massicce che
sostengono
i massi, il ritmo obliquo dei giorni,
come
non vedere quel che appare
su un ponte sospeso nel bianco,
il
braccio semovente sull'acqua
disegna una forma, un
ritratto
liquido e scomposto dal vento:
sei tu,
sei proprio tu, non sei nessuno,
i tuoi occhi chiari sono di
tutti,
le labbra carnose che chiunque
potrà sfiorare senza
memoria
come quel giorno, i pioppi
flessuosi
all'orizzonte nel mattino sgombro
i gomiti
piegati, le mani
intrecciate nel silenzio bianco
non
dicevano nulla, le bottiglie
mandavano a tratti un
barbaglio,
noi, nella luce polarizzata
del tuo sguardo
eravamo già stati,
fermi per sempre in quell'istante:
e
il verde nei parchi, il grigio dei tronchi,
la balaustra nitida,
assolata,
i contorni che la luce rimuove
e la linea sinuosa
dei monti,
tutto questo sarà per gli altri,
dice
il tuo sguardo, e là in fondo
tra i container allineati
a
perdita d'occhio lungo il fiume
la serie indifferente del
tempo
ci precede, accompagna, abbandona
la muta
ombra degli edifici
e noi, io e te, sulla calce bianca,
e
gli altri, le assi inchiodate,
gli stracci sparpagliati su di un
prato:
corrono, vanno o si fermano
guardando
nel vuoto, riprendono
il loro ritmo senza scomporsi,
ci
attraversano mentre parliamo,
siamo questo andare
ovunque,
seguire una curva, oscillare,
sbandare inghiottiti
dal futuro:
le strade che corrono in tondo,
i
pattern che generiamo ignari
muovendoci, acquistando,
vivendo,
lasciando tracce prove segnali
del nostro labile
passaggio
entrando furtivi in un albergo
uscendo
con un foglio, un numero,
lasciando sparire dagli occhi
un
nome, un volto da cancellare,
l'impronta a calco di un
corpo
o in una sera all'imbrunire
l'incarnato
bianco, i seni tesi,
la stretta poderosa dei fianchi
e lì,
noi due, la nostra polvere,
le lampade di carta che
oscillano
mentre viene buio e ci perdiamo,
siamo
in un quartiere distante
di fronte alle rocce in primo
piano
sotto un telaio di assi verdi
seguiamo in trance, a
occhi chiusi
un ago magnetico che punta,
s'inoltra in
ogni direzione,
sale in alto sui tetti di
zinco
delle case che lambiscono il bosco,
segna il centro
vuoto del letto
dove dormiamo, dopo l'amore,
punta
le persiane scolorite
e i toni caldi delle facciate
abbandonate
al sole, nude,
vulnerabili sotto i venti
che scavano vuoti
tra le nuvole
e tracciano diagrammi nel granturco:
ma
in quella stazione remota
dove mi aspettavi sulle
scale
piangendo accanto alla siepe
[…]