Riflessioni su Mallarmé oggi, di Giuseppe Piazza
Riflessioni su Mallarmé oggi
di Giuseppe Piazza
Per chi in passato aveva fatto della poesia dei grandi del secondo Ottocento francese la lettura quasi quotidiana e curiosa per il proprio ozio letterario, in compagnia soprattutto di Baudelaire e in buona parte anche di Rimbaud, quello per intenderci visionario e decadente, che mi è piaciuto in parte definirlo comunardo, e delle non poche fatiche di lettura per arrivare autonomamente a sentire la situazione psicologica che si era fluidificata nella musicalità del loro particolarissimo linguaggio, che poi in definitiva è il risultato intellettuale che mi pare proprio della cifra estetica della parola di questi poeti, ha trovato, sulle prime, un poco ardita ed avventurosa la proposta di questa conferenza su "La voce dei poeti", che proponeva la lettura di Mallarmé oggi, perché sapevo benissimo a quali rischi, almeno per la parte mia, si va incontro quando si cerca di comunicare agli altri la voce di un poeta e se poi questo poeta era Mallarmé, poeta definito oscuro per eccellenza, il rischio d´incomprensione a cui si andava incontro, pur in buona fede, era notevole e la proposta di leggere Mallarmé oggi, cioè se Mallarmé oggi può proporsi e se ha dei contenuti fruibili, se da un lato mi lasciava perplesso, considerando che in sostanza Mallarmé ha scritto con un forte processo di astrazione, (quasi a privare le idee della loro essenza logica, ) non solo dei contenuti sociali del suo tempo, giacché anche tanti suoi testi, solo per citare " La scalogna", sono spesso occasione di rarefazione linguistica che va oltre l'interesse del tema in sé. Ora uscendo fuori da queste preoccupazioni puramente testuali e tecniche così come da quelle legate alla funzione sociale della poesia e dell'arte in generale e considerando invece Mallarmé oggi, come il poeta al quale si richiede se ha delle carte in regola per legittimare la sua presenza culturale nel nostro tempo, come indicava il tema della conferenza, allora proprio grazie alla suggestiva proposta di leggere Mallarmé oggi, mi ha fatto rivisitare le mie posizioni intellettuali e le ho accresciute di un aspetto nuovo che francamente non mi era posto come problema da discutere, anche se esso agiva dentro di me a livello inconscio come lievito culturale e come punto essenziale delle prospettive culturali di paesaggio linguistico che la sua opera aveva ed ha determinato nel mio vocabolario di scrittura. Certo Mallarmé oggi ha tutti i titoli morali e culturali per essere letto e proposto per le innegabili svolte che egli più degli altri simbolisti ha dato alla geografia psicologica del linguaggio poetico, come tendenza a frugare, in un momento di crisi generale della società di fine Ottocento, fuori dei vecchi schemi poetici e delle vecchie consolidate consistenze sintattiche, non ultime quelle dei parnassiani, per creare o consentire allo spirito di imbattersi in zone rimosse della propria creatività conoscitiva. Se dopo di lui il poeta moderno è diventato più attento a guardarsi dentro, non per dar corpo alle proprie emozioni liriche, ma per scoprirsi come una parte sfuggente ed indecifrabile dell'esistenza e nello stesso tempo però, anche se questa tendenza spesso non è apertamente confessata, come traspare ambiguamente nel IV Sonetto, con la larva ignuda allo specchio, eppure la sentiamo dominata dal segreto proposito di trovare, a differenza di un Montale, con quella sua particolare rarefazione linguistica, la parola non da tenersela per sé, ma da comunicare agli altri, per giovare infatti moralmente e culturalmente agli altri. E´ certo che sia Montale e sia i poeti suoi contemporanei, più scopertamente impegnati e preoccupati della crisi dei valori, come Hauden o Eliot,per esempio, senza il rigore formale e la lezione, da lui trasmessi con lo scavo della parola che suscita idee molteplici, aperte verso altri più profondi significati, non credo che avremmo potuto averli con i risultati poetici che costoro seppero conquistarsi. Mallarmé nella sua oscurità anche oggi può rivelarci la parola essenziale che cerchiamo e per questo motivo si deve leggere, e poi, del resto, quanta poesia del Novecento non ci sarebbe stata senza di lui, perché egli ha contribuito notevolmente ad allargare l'orizzonte espressivo della parola e di sottoporre la parola non tanto a combinazioni puramente foniche, a cui pare che non siano sfuggiti né Valerj né lo stesso Eliot, specie quello dei Quattro Quartetti, quanto di legittimare nel mondo del poetabile zone marginali, vibrazioni colte dagli occhi della fantasia, portando linfa nuova ed inusitata alla vecchia parola poetica. Si pensi ad Erodiade e a Prose soprattutto. E poi, nonostante l'oscurità che in poesia è spesso più piacevole della razionalità come l'ambiguità più della parola aperta, purché non si scada nel deprecabile artifizio dell'Arte per l'Arte, anche se questa poetica non deve essere mai liquidata gratuitamente e senza discussione, specie per i suoi riferimenti al Barocco, come mi indicava l´indimenticabile Prof. Giorgio Barberi Squarotti, Mallarmé oggi, nonostante l'oscurità che ancora lo difende deve essere letto e spiegato con le sue stesse parole, come una delle tante voci della crisi del suo tempo, e come uno che a volte esageratamente privilegiando il ruolo del sacerdote, aveva capito tuttavia che la crisi dei valori della sua epoca era una crisi, che era legata anche all'impossibilità di trovare parole socialmente nuove, a cui egli reagiva nell'unico modo conosciuto, che era il rifugiarsi nella parola privilegiata e di inseguire la parola intuita nell'atto stesso in cui viene scoperto il suo inabissarsi e il suo fuggire, quale bianco fianco di sirena sparente tra i flutti, senza comunicare alcun segno di pensiero virtualmente e concettualmente adattabile al processo cognitivo del suo lettore, in sintonia solo con quanto andava formulando nella sua attività poetica.
La sua è un tipo di poesia assoluta, che non sopporta di essere letta con un senso diverso da quello che ogni parola, ogni verso rappresentino o alludano, come si è oggi soliti fare leggendo la mirabile ed enigmatica poesia di Trakl, il grande poeta austriaco di lingua tedesca.
L´impotenza, da cui la sua attività concettuale sembra avvolta, appare in tale panorama come suo privilegio carismatico, che è poi la sua condanna e il suo limite, più che la sua gloria, come vorrebbe dirci l´irridente ironia crociana.