Ha ballato una sola estate, di massimolegnani
Ha ballato una sola estate
La leggiadria
di massimolegnani
Come fossi capitato in riva a quel laghetto ghiacciato è difficile da spiegare e ancora più difficile da giustificare. A quell´ora avrei dovuto essere, come ogni giorno, in sala operatoria per assistere, da un angolo defilato, a un intervento del professor Olivecrona.
Erano tempi duri, la guerra finita da pochi anni, io, al primo gradino di un´incerta carriera ospedaliera, avevo fatto enormi sacrifici per poter frequentare la clinica di questo pioniere della neurochirurgia. Un interminabile viaggio in treno in seconda classe e poi il passaggio in nave in mezzo a bevitori incalliti, che in questo modo evitavano le pesanti tasse svedesi sugli alcoolici, mi avevano portato alla periferia nord di Stoccolma dove sorgevano gli istituti universitari. Vivevo in una camera in affitto e cercavo di risparmiare fino all´ultima corona per poter prolungare il più possibile il soggiorno. Mi dividevo tra sala operatoria e aula di studio dove Olivecrona illustrava i suoi interventi e saggiava con domande a bruciapelo la preparazione dell´eterogeneo gruppo di medici stranieri di cui facevo parte. Nelle ore libere riaprivo i testi di anatomia e patologia chirurgica per meglio comprendere le innovative tecniche operatorie a cui avevo appena assistito. Questo per dire che ero molto coscienzioso, tutto concentrato sulla mia missione che era apprendere, apprendere, apprendere. Fino a quel giorno, almeno. Non so cosa mi prese quel pomeriggio, un´inquieta nostalgia per chi avevo lasciato in Italia o forse un desiderio d´evasione dalla faticosa routine. Non rientrai in istituto e m´incamminai a piedi lungo un sentiero che s´inoltrava in un boschetto di betulle. Arrivai alla sponda di un piccolo lago ghiacciato, un paesaggio fiabesco, il mio primo incontro con la natura scandinava, così diversa da quella mediterranea a cui ero abituato. Non tanto distante da me dei giovani ridevano e si scambiavano battute. Dal gruppo si staccò una ragazza che, calzati i pattini, si spinse sulla superficie di ghiaccio. Nessuno la seguì, però tutti smisero di ridere e qualcuno le gridò qualcosa di incomprensibile, forse un avvertimento a non essere imprudente, eravamo in marzo, all´inizio del disgelo. Lei non diede cenno di averlo sentito e si allontanò disegnando ampie serpentine sul ghiaccio. Non era una pattinatrice provetta, non faceva piroette o altre acrobazie, eppure procedeva con una grazia che mi estasiava. L´unica figura che interpretò, ripetendola più volte, fu l´angelo, credo che si chiami così il reggersi su un piede solo con il corpo flesso in avanti, le braccia spalancate e l´altra gamba protesa all´indietro. Indossava un cappotto che un po´ la infagottava ma per me era la quintessenza dell´eleganza. Quando l´angelo le riusciva decentemente la ragazza sorrideva soddisfatta, io l´avrei applaudita dalla riva. I suoi amici sembravano preoccupati, gridavano e le facevano ampi gesti di tornare. Capii che era davvero rischioso avventurarsi in mezzo al lago, la sottile crosta di ghiaccio poteva cedere da un momento all´altro. La ragazza stava sfidando la sorte per vivere attimi di intenso piacere. Mi venne in mente il titolo del film che i miei colleghi erano andati a vedere pochi giorni addietro, Ha ballato una sola estate, dall´epilogo tragico dopo una mitica scena di nudo. Non era estate e lei non era nuda, ma pensai che l´atmosfera dovesse essere la stessa del film, quel misto di sensualità e presagio di morte vissuto con incosciente spensieratezza, almeno dalla mia giovane pattinatrice. Ero in apprensione, ormai mi sembrava che il suo destino fosse segnato, il ghiaccio non avrebbe retto all´infinito, già percepivo qualche scricchiolio, e cadere in quelle acque gelide sarebbe stata morte sicura. Eppure ancora m´incantavo alle sue dolci evoluzioni. Io, così prudente e cauto nella vita, comprendevo, oserei dire condividevo (se avessi avuto una minima voce nella vicenda) il suo giocarsi tutto per un istante di felicità, come se la vita fosse solo una partita a carte. Lei era davvero disposta a ballare una sola estate, ma per fortuna non successe nulla di tragico. La ragazza tornò dai suoi amici che la festeggiarono come un´eroina. Io, spettatore invisibile, tornai alla mia camera un poco frastornato.
Dopo pochi giorni finì il mio soggiorno di studio in Svezia. Mentre il treno mi riportava a casa ripensai all´episodio del lago. La pattinatrice, col suo fare leggiadro e rischioso, mi aveva insegnato qualcosa di importante, forse più delle lezioni del professor Olivecrona.