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Il Natale dei pensionati

Il Natale dei pensionati

Il Natale dei pensionati

di Renzo Montagnoli



Fra continui annunci del governo che prometteva il pagamento delle pensioni di dicembre e tacite smentite si arrivò al 24 dicembre, vigilia di Natale, allorché si sparse la voce, iniziata da non si sa chi, che presso tutti gli uffici postali c’erano le agognate risorse. Fu come un temporale estivo, con i primi cupi brontolii e poi in un crescendo di tuonate, sicché vecchi e meno vecchi, invalidi, storpi, colpiti da Alzheimer, ciechi che prima non vedevano la luna a un palmo di naso, si misero in cammino vocianti, tutti diretti al più vicino sportello delle poste. La stessa cosa accadde a Verzù, piccolo paese della pianura lombarda, ricco di sole e calore in estate e di nebbie e di freddo in inverno. I locali carabinieri, allarmati per questa fiumana che andava ingrossando lungo il percorso, si disposero ad attenderli, muniti di casco, scudo e manganello, nella piazza del municipio, dove appunto c’era anche l’ufficio postale, i cui dipendenti sprangarono l’ingresso, pronti a resistere come i soldati di Forte Apache.

Ma chi avrebbe mai potuto fermare quell’orda di affamati, a digiuno da parecchi giorni, che già poco mangiava quando pagavano i due soldi delle minime?

Il maresciallo invitò alla calma i facinorosi, ma fu tutto vano: i sei carabinieri della stazione furono travolti, aggrediti a calci, pugni e morsi, e chi riuscì a fuggire fu visto correre di sghimbescio con una protesi dentaria agganciata a una natica, sì, perché la fame e l’impotenza di fronte a un governo ladro e inetto rende il popolo disperato, che usa qualsiasi mezzo per far sentir le sue ragioni, anche la bocca, soprattutto quella che insieme allo stomaco è da giorni inattiva. La porta fu sfondata, si saltò il balcone, si carcerarono invano quei soldi che non c’erano, e allora, tutti, come a un segnale convenuto, gridarono: - All’Ipermercato!

Fu peggio della rivolta dei forconi, anzi sarebbe stata ricordata come la rivolta delle forchette, impugnate con entrambe le mani per poter mettere qualcosa sotto i denti.

Il grande emporio commerciale era indifeso, ormai accessibile, perché i dipendenti pensarono bene di tagliare la corda. La fiumana piombò nei locali e arraffò di tutto; i più fortunati misero le mani, pardon infilzarono i rebbi delle forchette nella preziose carni e si ingozzarono senza cuocere; c’era chi girava tenendo in equilibrio cinque o sei scatolette di sardine sott’olio, altri, quelli meno fortunati e dalla vista corta, cercarono inutilmente di aprire degli strani barattoli con sopra disegnate delle mosche e delle zanzare. Il colpo più grosso lo fece il geom. Sollievo, un novantenne cieco come una talpa, che si sforzava di mandar giù quella che credeva margarina vegetale e che invece, a detta di molti, era crema per le mani.

Comunque, tutti, chi più chi meno, ebbero l’antipasto, perché con lo stomaco impigrito da giorni di digiuno anche una trota intera, divorata cruda, serviva solo a solleticare l’appetito. Fra rutti e peti quella folla lasciò l’ipermercato, decisa a soddisfarsi negli altri negozi del paese. Non uno sfuggì al linciaggio e così furono divorati i fiori del fioraio (qualcuno poi dirà che i migliori erano quelli finti, anche se un po’ duretti), del bar non restò che la macchina da caffè fracassata e non sfuggirono allo scempio nemmeno la merceria, con i bottoni scambiati per succose caramelle, e la tabaccheria, che vide stecche e stecche di sigarette trangugiate, anziché andate in fumo. Il sindaco, il rag. Porcelloni, grande e grosso com’era s’azzardò ad arringare la folla, ma fu travolto, calpestato, perfino mordicchiato.

Ormai non c’era più nessun freno e fra quelli che erano riusciti a mettere nello stomaco qualcosa ci fu anche chi tentò di usar violenza alla perpetua del prete, la Cesira, storta e gobba, e forse anche a lei non sarebbe dispiaciuto, ma vuoi per il momento di tensione e diciamo anche francamente per l’età, si risolse in un nulla di fatto, con il vecchietto che si rialzò continuando invano a cercare con la mano dentro la patta dei pantaloni.

Poi qualcuno, non si sa chi, gridò: - A morte i politici! E il grido percorse tutto stivale. A Roma in Parlamento, al governo si richiese l’intervento dell’esercito, ma questo nicchiava, perché non era pagato da quasi un anno e allora avvenne un fuggi fuggi, chi con l’auto blu, chi con l’elicottero blu, chi con l’aereo blu, insomma sembrava la grande fuga dei Puffi.

Brutta cosa la folla inferocita, peggio di un bisonte impazzito e i politici che non furono svelti ad eclissarsi ne uscirono malconci. L’onorevole Trepalle, famoso per i suoi discorsi roboanti e inconcludenti, fu visto l’ultima volta correre in mutande in Piazza Venezia, per poi gettarsi nel Tevere; il senatore Scartino, sì proprio lui, il difensore, a parole, dei pensionati, finì fra gli addobbi del gigantesco pino natalizio di Piazza Navona, e fu anche fortunato, perché il direttore generale dell’INPS, legato come un salame, fu fatto rotolare giù per i sette colli. Ovunque risuonava un unico grido: Pane! E ai pensionati si erano intanto aggregati i disoccupati, i cassaintegrati, gli studenti senza speranza, le casalinghe , i poliziotti, i carabinieri, insomma il paese era diventato un vulcano in eruzione.

In mezzo a tutti questi clamori si arrivò alla mezzanotte e fu allora che si udì una voce forte scendere dal cielo: - Basta, figlioli, tornate a casa, i vostri nemici sono fuggiti, fate in modo che non ritornino, trovate della brava gente che vi guidi e celebrate questa grande festa.

Poco a poco i rivoltosi si dispersero, tornarono alle dimore, stanchi, ma speranzosi, trascorsero il Natale dormendo, e così anche Santo Stefano, e quando si risvegliarono accesero i televisori e, con sgomento, videro che i politici erano di nuovo sugli scranni del potere. Spensero sconsolati gli apparecchi, abbassarono gli occhi, misero la coda fra le gambe, restarono come inebetiti per non più di cinque minuti e poi come cani bastonati si ricordarono della droga dei poveri; riaccesero allora il televisore appena in tempo, perché l’arbitro stava fischiando l’inizio del derby cittadino fra Inter e Milan.