L'intervista di Giuseppe Iannozzi a Fabrizio Corselli, autore di Enfer, edito da Ciesse
FABRIZIO CORSELLI
ENFER
Intervista
all'Autore
di
Iannozzi Giuseppe
“L'orgoglio della donna/ giace sotto
l'ombra/ del proprio peccato”: questi versi riassumono il leitmotiv della tua
ultima fatica Enfer,
Sì.
Vuoi per il tipo di contesto adottato sia perché mi
allontano da idee tipicamente romantiche, che comunque sono state sempre
presenti nella mia poetica, avvicinandomi di più alla visione dei poeti
maledetti, all'incitamento del rifiuto della morale borghese fino alla figura
del poeta veggente, solitario. Le “visioni” di Morel
sono comunque ben diverse. Anche nella dimensione strutturale vi è
l'esaltazione del verso libero e della musicalità quale nuova eco capace di
costruire nuovi mondi, nuove esistenze. Da questo
punto di vista, Verlaine è straordinario. Ci si concentra di più sui desideri,
sulle pulsioni dell'anima e meno sulla fisicità del reale che limita invece
l'espressione dei sentimenti e delle aspirazioni. Morel
dà adito alla sua anima dannata, anche se ciò lo porta all'autodistruzione.
Enfer è opera erotica più vicina alle
inclinazioni del Marchese de Sade o a quelle di Octave
Mirbeau?
Enfer nasce dalla mia passione per il
periodo libertino, questo è chiaro, e nella fattispecie dall'amore che ho nei
confronti dei testi de sadiani; primo fra tutti la Justine. Ben lontano invece dal “Giardino dei supplizi” di Mirbeau e da “Le undicimila verghe”
di Apollinarie; questi non sono riusciti ad
appassionarmi così tanto come ha fatto il Divin
Marchese, in lui mi ritrovo maggiormente, a livello letterario. In particolar
modo adoro il suo concetto di trasgressione retorica e le sue azioni
iperboliche nell'atto sessuale. Seppur “erotico” il tema libertino lo considero in ogni modo un genere a sé stante. Ha temi e
contesti propri che affondano le proprie radici in un determinato periodo
storico, uno schema che è molto preciso, entro il quale riesco
a muovermi meglio. Anche a livello di personaggi tipici, Enfer
è molto distante dalla figura di Casanova o di Don Giovanni.
Enfer celebra Thanatos (θάνατος) ma anche Eros (Ἔρως). Par
quasi che siano facce d'una stessa medaglia.
Concependo Enfer, tu,
Delicata
come questione. Diciamo che la maggior parte degli atti sessuali, soprattutto
inseriti all'interno dei riti pagani, stanno a
simboleggiare la fertilità, così anche azioni come lo sparagmos, lo smembramento, di
cui Orfeo è il caso più eclatante nella mitologia, senza tralasciare il
paradigma mitico di Horus. L'unione di Eros e di Thanatos può essere semplificato, in maniera sbrigativa e un
po' presuntuosa, nel diretto rapporto fra gli opposti, in quella che è la legge
enantiodromica di Eraclito, in cui immancabilmente un
principio si trasforma nel suo opposto, come lo è il suono nel silenzio, e di
cui la Poesia si nutre, ritrovando il suo apice in quel silenzio metaforico che
assenza non è ma Suono assoluto.
Principio
peraltro ripreso dai poeti maledetti, un dire tacendo in cui la privazione si
veste di una forte carica metaforica, sottraendo oltremodo il sentimento alle
leggi del cuore.
Oltre all'Eros e Thanatos, c'è anche un particolare
che mi differenzia dalla letteratura de sadiana, per
quanto io possa prenderla a modello, tralasciando la sua retorica ed etica del
coito, ed è proprio la presenza dello smarrimento, della vertigine del bello,
cosa che invece manca in de Sade, come Simone de Beauvoir
ben evidenzia nella postfazione della Justine “mai la
voluttà appare nei suoi racconti come smarrimento di sé, estasi, abbandono…
nell'eroe sadico, la maschia aggressività non è attenuata dalla comune
metamorfosi del corpo in carne; nemmeno per un attimo egli si perde nella sua
animalità: rimane così lucido, così cerebrale che invece di disturbarlo nei
suoi slanci i discorsi filosofici sono per lui un afrodisiaco”. Cosa che non
succede invece in Morel. Soprattutto, poi, lo
smarrimento, la vertigine è necessaria in quanto
elemento costitutivo della Poesia, strumento per raggiungere il sublime ed
effetto finale che la Poesia stessa cerca di causare nel lettore (il sublime ha
il fine di creare la vertigine nel lettore).
In Enfer
il piacere è carnale ed è mortale, il più delle volte anale. Con elaborate
immagini poetiche metti a nudo il vizio del libertino
Alexandre Morel e quello della sua vittima Madeleine. Ambientato in un'epoca per certi versi ancora oscura nonostante Voltaire abbia già da tempo
portato il lume nelle menti di molti, Morel segue e
rispetta una regola solamente, quella di amarsi torturando con il suo fallo le
fanciulle. Solo finzione letteraria, o c'è in Morel anche uno specchiamento di
te poeta?
Tralasciando
la parte delle azioni fisiche, che lascio nel mistero più completo demandando
il tutto alla fantasia o alla malizia del lettore, dico subito che Morel è la proiezione del mio lato oscuro. Soprattutto in
esso si rispecchiano alcune mie componenti
individualistiche quali una velata misoginia che mi ha sempre caratterizzato, e
l'assenza di fede cattolica. Situazione quest'ultima che mi ha aiutato
abbastanza nella trattazione della negazione della morale cattolica stessa e
nel suo esplicito attacco da parte di Morel, per ovvie questioni ideologiche del movimento
libertino. Va distinto il libertinaggio dal vero e proprio movimento
filosofico; il primo, più popolare, è diventato soltanto una degenerazione dei
costumi morali, con una particolare attenzione all'atto sessuale e alla
soddisfazione dei propri piaceri smodati.
La frequenza del sesso anale, e non solo questo, derivano
invece da alcune considerazioni che De Sade espone in maniera precisa nella
Filosofia del Boudoir, proprio sulla pratica dell'entredeux, e che ho accolto
con grande enfasi a livello compositivo. Un'altra situazione frequente, che
aggiungo e che molte lettrici hanno fatto notare, è l'uso delle dita rispetto
all'amplesso vero e proprio.
In Enfer
descrivi fin nei minimi particolari pratiche sadomaso ferali. Hai esperienza
diretta di qualche esercizio sadomaso da te descritto, o ti sei limitato a
riversare in poesia esperienze altrui?
No,
niente di tutto questo. Ho una fervida immaginazione e ho letto tanto. La
capacità del poeta è anche quella di saper “vivere” certe situazioni a livello
immaginativo, costruendone ogni minima tessitura sensoriale. La pratica
sadomaso è poi ben diversa da un atto copulativo.
Enfer è in parte poesia e in parte prosa. Lo stile da te adoprato è volutamente
antiquato. Perché questa scelta, quando sarebbe stato forse più semplice
scrivere una storia di ordinaria follia bukowskiana punto e basta?
La
risposta è più semplice di quanto si possa pensare. Troppo spesso nel delirio
dell'impronta editoriale, nell'esaltazione delle sue regole come se fossero
leggi universali acclarate e condivise, si dimentica
la parte più importante, soprattutto quello che ne paga le conseguenze, ossia
l'autore. Questi è un individuo con le sue angosce, le sue paure, le sue
preferenze soprattutto. Dico questo, perché ci si dimentica troppo facilmente
delle scelte personali. Io provengo dal poema, e sono un “poeta neoclassico”,
lo stile immancabilmente è marcato. Ho scelto la Francia del 1793 perché mi
piaceva, semplice. Inoltre Enfer segue anche una
linea ben precisa a livello linguistico, cercando di essere il più vicino possibile allo stile del tempo, qui vi è pertanto una
contestualizzazione con il periodo storico. Questo discorso potrebbe generare
anche altre questioni sul problema dell'adeguatezza del linguaggio al periodo
corrente, ma non è la sede giusta. Provo allergia nei confronti
dell'affermazione “scrivi come si scrive oggi”. Il
concetto di modernità può appartenere senza alcun problema anche a un testo
scritto mille anni orsono.
Secondo me, anche il mio esser troppo poetico nella vita quotidiana, mi porta a
trovare una maggiore corresponsione con i periodi precedenti. Mi viene detto spesso “tu dovevi nascere nell'Ottocento”. Chissà.
Narrando le avventure di un libertino
bell'e fatto, impossibile da redimere, non temi di poter essere accusato di
maschilismo? Oggi si ha paura del sesso, più di ieri, e si ha paura di chi ne
parla. Le scrittrici italiane non amano parlare di sesso e se una scrittrice ne
parla in maniera esplicita, come Isabella Santacroce, il rischio c'è ed è… La
scrittura al femminile evita di raccontare il sesso. E' purtroppo tornata in
auge la convinzione che il sesso sia una cosa sporca!
No,
di ciò non ho paura. Comunque non mi sono mai posto il problema. Quando scrivo
un'opera nulla mi trattiene. Mi sono sempre
considerato un libertino dell'Immaginario. Nessun tampone
lessicale, nessun problema di scorrettezze diplomatiche o etiche. Oggi
si ha paura a parlarne, ma in pubblico, nel privato ognuno è libero di fare ciò
che vuole, e spesso il sesso occupa una buona parte dell'interlocuzione.
Soprattutto l'imperante presenza di battute e doppi sensi è un chiaro anelito a
volerne parlare, ma ci si deve limitare o si è considerati “ossessivi”,
“maniaci”, con frasi del tipo “ma pensi solo a quello?” e così via. Io ci gioco
continuamente, anche in pubblico, senza alcun problema. Sono abbastanza
irriverente di natura, e soprattutto il mio linguaggio esorbita. Ciò è dato
anche dal fatto che ci siamo disabituati ad ascoltare termini
quale “cazzo”, “fica”, “vagina”, ce li hanno sempre propinati come tabù
lessicali, e al solo proferirli la reazione è un innocente quanto disturbante
fastidio. Sporco il sesso perché te lo fanno vivere
così, si dovrebbe fare più educazione sessuale nelle Scuole. Inoltre, in Italia
i moralisti sono troppi, e spesso della peggiore specie; sono quelli che
predicano e poi in segreto compiono atti a dir poco detestabili.
Poi
non parliamo dei preti e della morale cattolica.
Della Santacroce ho apprezzato tantissimo V.M.18, soprattutto perché riprende
con esiti positivi la tradizione de sadiana, cosa che
non posso dire del libro della Melissa P. Comunque la Santacroce è un caso a
parte, per fortuna. Dici che la scrittura femminile evita di raccontare il
sesso, io invece vedo un'inversione di tendenza. Esso però viene
trattato come qualcosa di troppo personale, come se appartenesse solo a loro, e
come se loro stesse avessero l'esclusiva nel detenere lo scettro di tale
genere. Poi c'è scettro e scettro.
Per il lavoro che faccio, è divertente vedere tante mamme ipermoraliste
e iperprotettive nei confronti dei propri figli e poi incrociarle con la copia
di 50 sfumature in bella vista, che trasborda dalla
propria borsa quasi ne rappresentasse un vessillo.
Il peccato. Esiste il peccato in
poesia? Con la sua verga, Alexandre Morel è un poeta,
un poeta infernale ma pur sempre un poeta. C'è chi le
poesie tenta di scriverle sull'acqua e c'è chi invece
usa la donna per dar corpo alla poesia.
Il
peccato in Poesia non esiste. L'unico peccato che ci può essere è quello di
trattenersi dall'esprimere tutto ciò che l'anima e la lingua poetica sono in
grado di esprimere. Il testo è una zona franca, un paradiso artificiale nel
quale lo scrittore può dare adito ai suoi primigeni e controversi istinti, a
ogni sua pulsione e perversione, a ogni sua azione crudele. Ogni ansa testuale
trattiene il pathos e la tensione che agita l'anima, perfino dannata, di chi gode del privilegio dell'espressione versificatoria,
per poi farla defluire in molteplici affluenti e nervature. La scrittura è
dendritica, ha infinite connessioni nervose. Ogni mezzo è lecito. In Poesia c'è
liquidità al pari dello sperma che desidera venir fuori da quel tanto agognato
fallo che diviene nelle mani del poeta strumento non solo di piacere ma di
piena soddisfazione della propria componente diegetica.
Vive libero e felice all'interno del testo, esso è il proprio choros apemon, il
proprio luogo sicuro ove nulla è proibito, dove perfino il crimen,
l'omicidio, lo stupro e il sangue divengono elementi della propria nuova
esistenza. Come già ho scritto nel saggio breve
“Apologia del pensiero impuro”, pubblicato sul numero 37 della rivista Atelier,
si assiste a «una coscienza offuscata dalla paura di confrontarsi faccia a
faccia con le proprie paure, con i più intimi desideri rinnovati e perpetuati
all'interno di codesta gabbia versificatoria
d'impenetrabile solitudine libertina, trasformata con lenitiva progressione in
un inossidabile ed incestuoso luogo dove poter professare l'elogio del
tradimento, dell'eccesso altresì della più pura trasgressione. Una misura che
più non si ritrova in alcun sistema metrico, di conseguenza non appartenente al
poetare, ma in un canone che scopre a poco a poco il suo equilibrio nel
capovolgimento dei principi dicotomici del Bene in Male, del Piacere in Dolore,
e dell'Ingenuità in Malizia, ma soprattutto della Virtù in Vizio. Un
rovesciamento di principi, velati e oscurati dal continuo incedere di una incoerente castità romantica che, pur silenziosamente,
soffoca la nascita di ogni “libero” o “pudico disio” capace di professare e
commettere ogni sorta di crimini del cuore».
Per quale ragione hai dato alla tua
opera il titolo Enfer? E' forse un riferimento
ad Arthur Rimbaud, a “Une saison en enfer”?
Perché
ciò che si consuma all'interno della cella della prigione della
Conciergerie è assimilabile a una vera e propria
bolgia infernale, al ciclico ripetersi di alcuni tormenti e di alcune pene
inflitte. Morel oltremodo inveisce contro Madeleine ricordandole chi è lei e la fine che merita qual
dispensatore al pari d'un guardiano degli Inferi. C'è
ritualità in Enfer, c'è il fuoco della dannazione
senza alcun pentimento, c'è l'ardimento poetico che divampa al pari di un
incendio.
La
prigione si trasforma in un luogo dove esercitare il
proprio potere, dove le leggi del “sopra” non esistono. Soltanto
una coppa cerimoniale ad avviare il rito di metamorfosi di quel libertino.
Come detto precedentemente, ho fatto riferimento ai
poeti maledetti, e soprattutto il poema in prosa Une Saison
en Enfer di Rimbaud è uno dei miei preferiti.
C'è una morale in Enfer?
A me pare di ravvisare che tu,
Non
c'è una morale in Enfer, e anche gli stessi
personaggi sembrano non averne, o comunque mostrarla in maniera così evidente.
Come ben dici, ho preferito raccontare di Morel e di Madeleine. Non ci sono limiti in Enfer,
se non quelli dell'Ineffabile. Anche qui la Poesia impera sui personaggi, non
diviene dispensatrice di morale ma soltanto uno strumento nel perseguire i
propri fini, stempera e tempera l'indole di Morel ma
non lo influenza; ne diventa però complice. Del resto, Enfer
non è un'opera sull'amore, e di “romantico” ha ben poco, se non visibile in
qualche pallido rigurgito versificatorio. Ho pensato ad Enfer più come a un'opera
grottesca. Sul piano erotico, io sono di base una persona irriverente ma con
brio, anche nella vita quotidiana.
Sulla questione dei limiti, avrei molto da dire, soprattutto m'infastidisce il fatto che alcuni scrittori bravi debbano
cadere rovinosamente sulla libertà espressiva, limitando e ridicolizzando la
composizione per una falsa pudicizia che risulta a dir poco nauseante. Da qui,
ecco che nascono testi di una banalità disarmante, ai confini del fanciullesco
(esempi pratici, reali, letti con i miei occhi, la “farfallina”).
Enfer è dedicato a Heléne.
D'obbligo chiederti se trattasi di una dedica reale, o se siamo
invece di fronte a qualcos'altro.
Di
Heléne non posso svelare l'identità, rovinerei il
mistero del libro. Dico soltanto che non è un personaggio fisico.
Chi sono i lettori ideali della tua
opera Enfer? Non è di certo una
opera adatta a tutte/i, ma forse dicendo ciò sono io che cado in fallo!
Enfer è un'opera a destinatario specifico.
L'opera è nata per un pubblico femminile, e in esso trova le sue ragioni, le
sue potenzialità semantiche e metaforiche. Tutta la struttura sensoriale
funziona pienamente con una donna. Ciò non significa che esso rappresenti un
dono, anzi.
Enfer è fuor di dubbio una
opera erotica, ma, a mio avviso, diversa dai tanti libri (più o meno
commerciali e innocui) che oggi vengono portati sul mercato. Per strano che
possa sembrare sono soprattutto le donne a scrivere di sesso; e sono forse
passati i bei tempi in cui Charles Bukowski scriveva poesie per portarsi a
letto le donne! Arthur Schnitzler, Charles Bukowski, Henry Miller oggi vendono perché sono entrati, a pieno diritto, tra i
Classici. Anche la commedia erotica all'italiana è pressoché scomparsa dalle
sale cinematografiche. Secondo te,
Secondo
me, Enfer risulta molto
diverso dagli altri libri perché nasce da un atto di passione e amore più che
da un progetto di marketing, il quale presuppone l'essere aderenti a una serie
di richieste ben precise; in particolare quelle che regolano la censura
all'interno di una casa editrice: per esempio, “l'età del personaggio deve
avere almeno 18 anni di età”, e così via. L'età iniziale di Madeleine
era di dodici anni. Poi l'ho cambiata per altri motivi, la Ciesse
mi ha dato piena libertà, non ho avuto alcun tipo di censure. Molti mi dicono
tuttora “dai, hai scritto erotico perché con 50
sfumature c'è stato il boom, e adesso tutti si buttano su tale genere”.
Veramente no. Soprattutto perché già avrei fatto l'errore più grande: scegliere
la Poesia, che è un genere che non vende; questo, parlando a livello
editoriale. Affermazione peraltro abbastanza triste. La Poesia c'è, venderà di
meno, ma c'è. Non si deve permettere all'editoria di sopprimere un genere
letterario in toto e alla radice. Il fatto che venda poco non significa che
dobbiamo disinteressarcene. Secondo poi, ho scritto Enfer
nel 2003, evolvendosi nel tempo, e ampliandolo su richiesta dell'Editore. Oggi
l'erotico lo scrivono tendenzialmente le donne, perché l'Editoria ha deciso
così “si accettano soltanto manoscritti di genere erotico scritto da donne”,
restringendo e altresì costringendo il campo. Anche se spezzo una lancia in
favore della Lite Editions che lavora molto bene su
questo genere, e pubblica anche tanti autori maschi. Inoltre anche il campo di
lettura è dominato sempre dalle donne, più della scrittura. In maggioranza gli
uomini sono invece troppo primitivi, onestamente ricevono più soddisfazioni da
un giornaletto porno che da un libro di letteratura erotica. Per fortuna non
sono tutti così. Per adesso, Enfer è letto da donne e
solo donne mi scrivono in privato per discutere del
libro. Magari cambierà qualcosa più avanti.
In qualità d'insegnante di composizione poetica, a partire dal 2001, cura a livello didattico una serie di
progetti letterari volti a promuovere la Poesia presso scuole, biblioteche,
librerie e associazioni. È autore del primo poema fantasy italiano dal titolo Drak'kast – Storie di Draghi, a cura di Edizioni della
Sera di Roma. Presso la stessa, cura la Collana Hanami
(Haiku).
Titolo: ENFER – Autore: Fabrizio Corselli
Editore: CIESSE Edizioni – Genere:
Opera poetica
Pagine: 80 – Collana: BLUE
Prefazione: Luca Cenisi
Anno/Mese: marzo 2013
ISBN Libro: 978-88-6660-080-0
ISBN eBook:
978-88-6660-0081-7
Prezzo Libro: Euro 8,00
Prezzo eBook: Euro 3,00