Intervista ad Aurelio Zucchi
Intervista ad Aurelio Zucchi
Chi è Aurelio Zucchi?
Aurelio Zucchi è nato a Reggio Calabria
il 7/2/1951. Conseguito il diploma di Geometra presso l'Istituto “Augusto
Righi”, nell'agosto del 1970 si è trasferito a Roma dove
vive e lavora come Agente di Commercio. È sposato e ha due figli. Ha sempre
avuto predisposizione ai rapporti umani e vivo interesse per la letteratura.
Come scrittore, ha esordito con il romanzo “Viaggio in V classe” (Edizioni Il
Filo con Prefazione di Pietro Zullino). Questo libro,
pubblicato nell'ottobre del 2006, rappresenta per l'autore un valore assoluto.
La determinazione, l'energia e l'impegno profusi nella concezione, nella
stesura e nella cura del romanzo, sono strettamente legati alla ricerca di linguaggi
capaci di liberare l'io narrante seguendo il dettato
del cuore e della verità. Raccontare una storia “normale” che fosse in grado di
privilegiare l'ordinario senso della vita, è stato per
lui precetto fondamentale.
Sulla scia emozionale e gratificante
del suo primo romanzo, l'attività letteraria di Aurelio Zucchi si sviluppa più
attivamente a partire dall'ottobre del 2006.
L'intensificazione della scrittura, esigenza primaria per l'espressione della
sua personalità, induce l'autore (scrivente,
come lui ama definirsi) a manifestare all'esterno le emozioni e le suggestioni
del tempo narrato. La poesia, arte da non disperdere nei propri egoismi, lo
affascina e lo cattura. Inizia così il suo amato percorso in versi,
incoraggiato in questo dai riconoscimenti via via
ottenuti ma soprattutto dall'innata voglia di darsi, anche con la scrittura,
agli altri. Nel giugno del 2010 viene quindi
pubblicato il libro “Appena finirà di piovere”, prima raccolta di poesie curata
dalla Global Press Italia e con la prefazione di Angela Ambrosoli. Diversi suoi testi sono pubblicati su Antologie e Mensili
dell'ambito poetico e narrativo nazionale. È presente anche in Web all'interno
di siti dedicati esclusivamente alla letteratura.
Perché scrivi?
Perché scrivere
mi dà il senso aggiuntivo, più compiuto, della mia adesione alla vita e della
sua adesione a me. Coglierne le emozioni, registrando gli accenti e i colori, è
imperativo dal quale non devo né voglio distrarmi. Raccontarla, nelle sue
variegate sfaccettature, è come inspirare la sensazione di non perderla mai di
vista, di detenerla, di indossarla come un caldo foulard in pieno inverno.
La creatività è un momento di estasi, oppure il tormento di chi
matura idee e cerca di parteciparle agli altri?
Non credo alla poesia come traduttrice
fedele del tormento interiore per il quale, a mio avviso, dovrebbe esistere un
nuovo, più vasto dizionario. Nella poesia vedo, questo sì, le infinite
opportunità che essa offre, l'utile strumento da custodire con cura per essere
adoperato al bisogno, quando in sincronia l'anima si muove, il cuore parla e la
penna scrive per sé e possibilmente per chi legge nella ricerca ideale di una
condivisione che non ci tenga distanti gli uni dagli altri.
E' notorio che per poter scrivere è indispensabile
leggere. Che cosa leggi principalmente?
Sacrosanta verità dalla quale a volte
mi discosto per motivi di scarsa disponibilità di quel tempo che invece vorrei
tanto avere. Normalmente mi piace rileggere i classici sia di poesia che di prosa e sono attratto dai romanzi di ogni genere con
un occhio particolare a quelli storici. Quando posso, leggo articoli e saggi
dedicati alla cultura e alla società contemporanee.
Qual é il tuo poeta preferito e perché?
Sono diversi ma se proprio dovessi sceglierne
uno il primo nome sarebbe Giovanni Pascoli. Quel suo
costante ritorno alle origini, da non interpretare con la non accettazione del
vivere quotidiano, assume il valore di un microcosmo indispensabile, insito in
ognuno di noi, nel quale rifugiarsi e dal quale poi ripartire per meglio
guardare la vita che intanto procede. Uno stop
and go a volte scivolante nel decadentismo poetico ma, per chi come me se
ne nutre, sicuramente terapeutico allorquando “gli
anni migliori” corrono a sostegno della decodificazione di tempi complessi,
resi tali da una non più vigorosa apertura al sogno e dalle proposte
problematiche di una società infarcita di valori in progressivo disfacimento.
Qual é il tuo narratore preferito e perché?
Manzoni per averlo amato a scuola,
Hemingway per la forza, la suggestione e l'umana debolezza riscontrate nella
conoscenza dei suoi personaggi, ma anche per il linguaggio letterario,
essenziale ed asciutto, da lui utilizzato per fare di
un racconto un romanzo. Il narratore preferito, però, è Proust specie se, come
vorrei accadesse più spesso, vado a risfogliarmi la
sua Recherche
In Proust colgo un nesso immediato con
quanto dicevo prima per il Pascoli, seppur con toni e accenti diversificati sia nel linguaggio che, ovviamente nell'ispirazione
lirica.
La scoperta
progressiva della quotidianità passa attraverso il valore insopprimibile della
memoria. Ciò mi è
più che sufficiente per considerare Proust un maestro di narrazione e di
contenuti.
C'è sempre dentro di noi un desiderio latente, quello che si suole
definire un sogno nel cassetto e che, in campo letterario, è l'aspirazione a
scrivere qualche cosa di irripetibile. Nel tuo caso
qual è?
Nel mio caso, per quanto non bisogna
mai dire basta quando si ama la scrittura, il desiderio latente si è già
esaudito con la stesura del mio primo romanzo Viaggio in V classe (Pubblicato nel 2006 da Edizioni Il Filo,
prefazione di Pietro Zullino).
Così dico nella mia presentazione:
La
determinazione, l'energia e l'impegno profusi nella concezione, nella stesura e
nella cura del romanzo, sono strettamente legati alla ricerca di linguaggi
capaci di liberare l'io narrante seguendo il dettato
del cuore e della verità. Raccontare una storia “normale” che fosse in grado di
privilegiare l'ordinario senso della vita, è stato per
lui precetto fondamentale.
Oggi, a distanza di qualche anno da
quel miracolo vissuto con la scrittura, credo davvero che se non avessi scritto
quel libro, non sarei ora qui a rispondere ad una
intervista così gradita.