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  Editoriali  »    »  Primo Levi, dire l'indicibile, di Ferdinando Camon 06/01/2012
 

Primo Levi, dire l'indicibile

di Ferdinando Camon

 

 

"Avvenire", 1 aprile 2007

 

 

Primo Levi è morto di sabato, il martedì dopo m'è arrivata una sua lettera. Mi viede addosso una tristezza infinita e mi dico: "Ecco, adesso mi spiega perché ha deciso di uccidersi". Mi aspetto la confessione che vivere gli è impossibile, che dopo Auschwitz lui non viveva ma sopravviveva, che vivere ancora per lui è una colpa, che sulla Terra non c'è spazio per le vittime dello Sterminio e per chi lo nega, che lui si uccide adesso ma doveva farlo quarant'anni prima, e che dunque le spiegazioni non vanno cercate in quel che succede adesso, ma in quel che era successo 45-40 anni prima. Questo m'aspetto, aprendo la lettera, che dev'essere stata l'ultima che ha scritto e imbucato. Se m'è arrivata al martedì, doveva averla imbucata il sabato: dunque durante la passeggiata che faceva ogni mattina. La apro: un inno alla vita, un vortice di programmi, speranze, attese, da riempire settimane, mesi e anni. In quei giorni stavo cercando di farlo tradurre in Francia da Gallimard: a Gallimard suggerivo ogni tanto dei libri italiani, l'editore li faceva leggere ai suoi consulenti, che erano tre, e ognuno emetteva un voto, che poteva essere 1 o 2 o 3. Se il libro otteneve tre 3, passava. Se otteneva due 2, era bocciato. Se otteneva due 3 e un 2, lo prendeva in mano l'editore in persona. Con mia enorme sorpresa, il libro di Levi, il suo capolavoro assoluto: "I sommersi e i salvati", non era passato. Da Parigi mi chiamava al telefono il direttore della Gallimard, Hector Bianciotti, grande scrittore argentino di origine italiana, ora membro dell'Académie Française, e mi diceva: "Ferdinando, non ci piace". Non potevo crederci. Chiamai il quotidiano "Libération" e concordai di scrivere un intero paginone, per spiegare ai francesi perché dovevano tradurre Primo Levi. E' in questo frattempo che Levi muore. Nella sua ultima lettera, mi chiede se Gallimard vuole un'altra copia de "I sommersi e i salvati", mi chiede una copia di "Libération" quando esce l'articolo che lo presenta ai francesi, si mette a disposizione per tutto quel che può servire. L'articolo è uscito due giorni dopo la morte di Levi, e da quel momento il destino delle sue opere in Francia ha avuto un andamento grottesco: chiama la Gallimard, m'informa che l'editore Albin Michel ha preso "I sommersi e i salvati", anche loro vogliono "I sommersi e i salvati", gli farei un piacere se avvertissi la signora Levi, Lucia. Dopo una settimana richiamano: Albin Michel prende tre libri, anche loro prendono quei tre libri. Una settimana dopo sono a Brescia, sto tenendo una conferenza alla libreria Ulisse, chiamano per dirmi che loro "sono disposti a prendere di Primo Levi tutti i libri che si possono prendere, a condizioni non inferiori a quelle di nessun altro". Non è finita. Albin Michel protesta: "Lo avevate rifiutato, io l'ho preso, perché mi ostacolate?". Per chiudere la faccenda, mi chiedono una fotocopia della lettera di Primo Levi: quella è la prova che Primo Levi voleva Gallimard. E così la faccenda s'è chiusa. Primo Levi rifiutato in Francia è la ripetizione di Primo Levi rifiutato in Italia. "Se questo è un uomo" era stato letto, nella casa Einaudi, da Natalia Ginzburg, e respinto. Quando Levi morì, Claudio Magris scrisse un articolo che cominciava così: "E' morto un autore le cui opere ce le troveremo di fronte al momento del Giudizio Universale". Come possono due editori importantissimi non capire opere che varranno fino al Giudizio Universale compreso? La risposta che mi viene è che c'è "troppo", in quelle opere. Questa risposta è legata a mia valutazione di Primo Levi scrittore, che è la seguente: Primo Levi ha vissuto la massima colpa della storia, non al grado massimo in cui la colpa fu commessa, ma al grado massimo in cui poteva essere raccontata. Levi era un chimico. Un chimico studia le reazioni nel contatto tra elemento ed elemento. Levi ha osservato e descritto le reazioni nel contatto tra l'uomo più potente e il più debole. Il primo fa della propria volontà la legge della storia. La volontà "propria" è propria del popolo ma anche del singolo individuo dentro il popolo. Se il potente uccide, il delitto è giusto perché il potente lo vuole. Questo sistema è riassunto nell'incontro fra Levi e il dott. Pannwitz. Il dottore sta esaminando Levi, è proprio un esame di Chimica. A un certo punto alza gli occhi e lo guarda. Anche Levi lo guarda. Levi cerca di capire il proprio pensiero e il pensiero dell'altro. L'altro pensa: "Questo essere davanti a me merita certamente di morire. Ma prima vediamo se contiene qualcosa di utile". Nel proprio cervello, Levi sente formarsi questo pensiero: "Gli occhi azzurri e i capelli biondi sono intimamente malvagi". (Cito a memoria, con possibili imprecisioni). Levi doveva rendere quel che di utile conteneva, e morire. Non doveva né sopravvivere né scrivere. Nella sua sopravvivenza e nella sua scrittura c'è stato un doppio fallimento del sistema Lager. Il sistema Lager non ha agito su Levi con tutta la sua forza. Perché Levi era un chimico, perché ha imparato il tedesco, perché non si è mai ammalato, e perché ha avuto la fortuna di ammalarsi negli ultimi giorni, evitando la marcia della morte, l'evacuazione dal Lager (raccontata da Elie Wiesel). Claude Lanzmann ha incontrato superstiti del lager che hanno sofferto di più, sono stati torturati o hanno lavorato ai forni. Davanti alla macchina da presa, si torcono, piangono, o svengono. Dicono qualche parola, non di più. Hanno passato il limite del dicibile. Levi è arrivato a quel limite. Forse non lo ha retto, e questo potrebbe spiegare la sua morte. Sono andato a trovarlo più volte, e ho raccolto in un librino i nostri dialoghi. Nell'ultima risposta dice: "C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio". Era una negazione drastica dell'esistenza di Dio. Quando gli ho mandato il testo per le correzioni, ha aggiunto, a matita: "Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo". Era una riapertura: non c'è, lo cerco, non lo trovo, lo cerco ancora. Rigirandomi la sua ultima lettera fra le mani, mi dicevo: Spero che l'abbia trovato.

 

 

www.ferdinandocamon.it

 

 
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