La fabula bella
Una lettura sociologica
dei Promessi Sposi
di Carlo Bordoni
Presentazione di Enrico Ghidetti
Edizioni Solfanelli
www.edizionisolfanelli.it
Saggistica
Collana Micromegas
Pagg. 88
ISBN 978-88-7497-744-4
Prezzo € 8,00
Fu vera gloria?
“Questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai. “ Questo dice in
tono perentorio uno dei bravi di don Rodrigo al pavido Don Abbondio.
La frase è arcinota, tanto che non è
stato difficile farla riemergere dal labirinto della mia memoria, anche perché,
quando fu letta e commentata a scuola dall'insegnante, mi venne il sospetto
che, per quanto il Manzoni fosse andato a
risciacquare i panni in Arno,
avesse finito per delineare come autentica
lingua italiana, e quindi da essere da tutti utilizzata, quel parlare proprio
dei toscani che, nel caso specifico, si estrinseca nell'elisione della i davanti alla h del verbo.
In questo senso le comuni riletture de I promessi sposi sono effettuate o con lo
scopo di evidenziare l'aspetto linguistico, oppure di privilegiare quello
storico, e, meno frequentemente, con accorta equidistanza, entrambi.
Resta il fatto che mai romanzo italiano
ebbe una diffusione come questo e che, per quanto non possa essere considerato
popolare, chi più chi meno ne ha avuto sentore, se non altro per il fatto della
sua obbligatorietà come testo scolastico.
Però, questa vicenda di un amore
ostacolato nella sua realizzazione formale, di questo matrimonio tanto
desiderato, ma che per qualcuno non si ha da fare, può essere letta anche in
chiave sociologica ed è quel che ha fatto Carlo Bordoni con questo libro che,
pur nella sua brevità, riesce a svolgere i propositi in modo esauriente e, cosa
non da poco, facilmente comprensibile.
Quel che è particolare è rappresentato
dall'occasione che ha indotto l'autore a porre mano a questo lavoro, vale a
dire la riduzione televisiva del 1990 del regista Salvatore Nocita, frutto
quindi di un mezzo, quello televisivo, capace di porgersi con fini didattici,
ma che indubbiamente nasconde, per le potenzialità insite nello stesso, i
pericoli di un assoggettamento dello spettatore, di un condizionamento della
mente che di per sé finisce con il costituire l'oggetto di altre analisi
sociologiche.
Di per sé l'opera è stata esaminata
prescindendo dalla qualità intrinseca e considerandola alla stregua di un
normale romanzo di consumo e astraendo così dal suo rilevante valore, nonché
ignorando la corposa documentazione critica che seguì la sua uscita e che continua
ancor oggi.
Il risultato di queste scelte, di
quest'occhio attento più alle implicazioni sociologiche che al contesto
letterario, è sbalorditivo, perché appare un romanzo totalmente nuovo, senza
che con questo il giudizio sulla sua valenza venga sminuito, anche se, a ben
guardare, risulta, sia pur di poco, ridimensionato.
Quella di Bordoni è una rilettura,
insomma, fuori dai canoni e che evidenzia la trascurabile personalità dei due protagonisti principali, Lucia ligia al senso del
suo onore femminile, abbastanza scialba, e Renzo, quasi un sempliciotto pronto
a inalberarsi di fronte a un ostacolo, ma lesto a rimettere il capo sotto le
ali.
Assume invece un rilievo particolare la
figura di Gertrude, la monaca di Monza, esistita veramente e non quindi frutto
di fantasia, la cui presenza nell'opera manzoniana può sembrare eccessiva in
funzione della struttura e della trama della narrazione. Anche in questo caso
avevo colto da studente l'anomalia, in un romanzo quasi matematico
dall'apparire alla lunga freddo. Che il Manzoni avesse avuto pietà della triste
vicenda di questa donna costretta per volere paterno in convento dove si
risvegliò poi una passione, normale in altri luoghi, invereconda fra le mura di
una casa di Dio? Molto probabilmente non fu così, perché l'autore, nel dare
risalto agli aspetti negativi di una donna che in pratica cercò di ribellarsi
alla sua condizione, intese invece in tal modo, e in contrapposizione, esaltare
la fermezza di propositi di Lucia Mondella, però secondo un concetto di donna
vista nei ristretti limiti di una mentalità che la considerava una costola
dell'uomo.
Personalmente riconosco meriti al
romanzo che tuttavia presenta luci e ombre, e non sempre le prime sono tali da
far dimenticare le seconde, ma d'altra parte l'aria paternalistica di cui il
testo è impregnato risente della posizione sociale dell'autore, un conservatore
pio, pietoso anche, ma non di certo disposto a cambiare l'ordine gerarchico
dell'umanità.
Ecco, il Manzoni cattolico, ligio alla
conservazione, emerge in
modo chiaro e non è difficile ipotizzare che l'uso del testo nelle scuole non
fosse solo finalizzato allo studio della lingua italiana, ma costituisse un
esempio-monito di ciò che le classi meno privilegiate dell'epoca dovessero
aspettarsi, in una invariabilità dello status
quo a tutto beneficio di chi deteneva il potere.
Bordoni riesce a cogliere nei
personaggi le sfumature generalmente ignorate nella didattica e li rende meno
astratti e più veritieri, così come anche alcuni opportuni rilievi circa
l'inquadramento del periodo storico nell'opera manzoniana riportano il romanzo
a una maggiore aderenza a realtà prima un po' offuscate dalla fantasia.
Insomma, senza che per questo I promessi sposi diventino un'opera da gettare – e
credo che non pochi studenti lo desidererebbero – quel che esce da La
fabula bella è una più razionale valutazione di un romanzo dalle
indubitabili qualità, ma non il capolavoro assoluto, giudizio che in epoca
scolastica ci è stato surrettiziamente imposto.
Il libro di Bordoni è quindi senz'altro
da leggere, magari con accanto un'edizione dei Promessi Sposi.
Carlo Bordoni è docente di “Editing e scrittura editoriale” all'Università di
Pisa. Si occupa di sociologia dei processi culturali e ha insegnato nelle
Università di Firenze, Milano e Napoli.
Per
Solfanelli ha pubblicato La paura il mistero l'orrore dal romanzo gotico a
Stephen King (1989), La fabula bella. Una lettura sociologica dei
Promessi Sposi (1991), l'antologia di racconti Cuori di tenebra
(1993), La dismisura immaginata
(2009) e Le scarpe di Heidegger (2010). Tra le altre sue pubblicazioni: La
pratica editoriale. Testo contesto paratesto (Felici, Pisa 2010), Dal
sublime ai nuovi media (Felici, Pisa 2010), L'identità perduta.
Moltitudini, consumismo e crisi del lavoro (Liguori, Napoli 2010); Libera
multitudo (Franco Angeli, Milano 2008); Introduzione alla sociologia
dell'arte (Liguori, Napoli 2008), Società digitali (Liguori, Napoli
2007), Il testo complesso (Clueb, Bologna 2005).
Nella
narrativa ha esordito col romanzo L'ultima frontiera (Ponzoni, Milano
1965) e, negli ultimi anni, si è riproposto con Il nome del padre
(Baroni, Retignano 2001), Istanbul Bound (Tabula fati, Chieti 2006) e Il
cuoco di Mussolini (Bietti, Brescia 2008).
Collabora a “Prometeo” e dirige la rivista “IF”,
trimestrale dell'Insolito e del Fantastico.
Renzo
Montagnoli