Settanta acrilico trenta lana
Autrice: Viola Di Grado
Edizioni e/o
Collana: Dal mondo
Euro:
16.00
Viola Di Grado
Un caso letterario alle pendici dell'Etna
di Salvo Zappulla
Ero piuttosto
scettico, prima di leggere questo libro d'esordio di Viola Di Grado, forse
anche un po' prevenuto: per la sua giovanissima età, per la gran cassa attorno ad
esso, i casi editoriali spesso costruiti
ad arte dalle case editrici. Come può un autore a soli 23 anni (lei afferma di
averlo scritto a 21) diventare un caso letterario? Vincitrice del Campiello Opera
Prima, finalista allo Strega, e tutta una serie di altri riconoscimenti che non
elenco per ragioni di spazio. Ma a parte i premi, sono i lettori che ne hanno
decretato un successo straordinario, quell'incredibile eco che si sviluppa
attorno a un evento che contiene elementi innovativi. Io, che pur sono un genio, a 23 anni andavo
in giro con i calzoni corti,
il lecca lecca e avevo appena imparato a contare fino a dieci
aiutandomi con le dita. Eppure può. Come diceva un noto personaggio catanese:
“C'è chi può e chi non può”. Saranno i
tempi che cambiano, i superconcentrati, i supervitaminizzati che accelerano il
processo di crescita, fatto sta che sono ancora qui a girarmi e rigirarmi tra
le mani “Settanta acrilico trenta lana”, edito da e/o, come avessi scoperto un tesoro di
inestimabile valore. Dicevo, ero piuttosto scettico sul libro di Viola, salvo poi rimanere
fulminato al primo rigo… Un giorno era
ancora dicembre. Specialmente a Leeds, dove l'inverno è cominciato da così
tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c'era prima… Un colpo di
pistola sparato a bruciapelo sulle
tempie del povero lettore, il quale senza avere il tempo di farsi il
segno della croce si ritrova proiettato in una dimensione allucinatoria, Leeds
appare come l'anticamera della sedia elettrica, il braccio della morte. Naturalmente Leeds è una città come tutte le
altre, con i suoi pregi e i suoi difetti. E' la protagonista del romanzo,
Camelia, che la fa assurgere a specchio dei suoi tormenti. La vita non è né
bella né brutta, è quella che noi viviamo. Leeds come lo specchio di
Ching-Nung Yang: Mentre l'imperatore
fissava il suo volto riflesso nello specchio, esso divenne prima una macchia
rosso sangue e poi un teschio al quale gocciolava il muco. L'imperatore
si girò inorridito “Vostra altezza” disse Shenkua, “non rivolga altrove lo
sguardo. Ha semplicemente visto il principio e la fine
della Sua vita”.
Viola
Di Grado manipola la scrittura, la impasta, la domina, la piega al suo volere,
la reinventa: …rendendomi parte
dell'universo dolorosamente azzurro dei suoi occhi… Oppure: Leeds era paralizzata sotto un busto
ortopedico di neve. E
ancora: …come un demone innaffiato a
tradimento dallo spirito santo…Il sindaco s'era fatto eleggere con lo slogan:“Meno inverno per tutti”. Per citarle tutte
bisognerebbe ricopiare buona parte del romanzo. Lampi, saette e squarci nelle
tenebre. Frasi che sono
distillati di letteratura, come fuoriuscite dall'alambicco che
gli apicoltori della mia zona utilizzano per produrre la preziosa grappa di
quaranta gradi che ti fa uscire il fumo dalle orecchie al primo sorso. Ne restituiscono la purezza
molto spesso inquinata da velleitari sperimentalismi linguistici di
scarso effetto. Ecco, se davvero è esistito un Angelo Vendicatore, questo
romanzo di Viola è l'Angelo che ripara ai torti subiti dalla lingua in questi
ultimi anni. Oggi a saper scrivere sono in tanti (siamo, toh mi ci metto pure io, crepi l'avarizia),
la possibilità di studiare, di erudirsi è molto più estesa rispetto a qualche
decennio addietro, ed ecco che si producono libri in serie, anche buoni, molto
buoni, pregevoli, di enorme successo commerciale, ma nel complesso aggiungono
poco al già esistente. Ciò che fa la
differenza tra uno che sa scrivere e lo scrittore in possesso dell'Arte è la capacità di
quest'ultimo di andare oltre la descrizione del quotidiano, degli eventi cui si
è stati partecipi. Il grande scrittore non si limita a raccontare ciò che
esiste ma rimodella la realtà a suo uso e consumo. L'Artista non racconta, crea.
In poche parole deve avere una capacità visionaria, sconfinare oltre le nuvole,
riportare sul foglio le
angosce e i mostri che si porta dentro. Ciò che Viola fa in
questo romanzo. Camelia e la madre Livia, a causa del trauma subito, si
circondano del vuoto, ognuna a modo suo eregge una barricata per difendersi dal
dolore; una barricata fatta di neve marcia, di silenzi, incomunicabilità, di buchi che
diventano voragini, baratri esistenziali. Una storia dove interagiscono i
sensi, le percezioni, l'intuito, le sfumature, i frammenti di tempo.
Incomunicabilità, solitudine, mal di vivere sono il vero grande dramma con cui
devono fare i conti oggi
la maggior parte degli esseri umani. Gli
ideogrammi, nel romanzo di Viola, avranno un ruolo determinante e in parte
terapeutico. Tutto sembra avvolto da
nebbia sintetica, maleodorante, una cappa opprimente che soffoca gli animi dei
protagonisti. Camelia nasconde gli oggetti, tagliuzza, strappa, recide, vorrebbe
estirpare la vita attorno a sé, persino gli ingombranti brandelli di carne che
la legano al suo corpo. E' un urlo disperato il suo, un urlo muto che rimane
imploso e per questo ancora più angosciante. Il finale lascia poco alla
speranza. O forse tanto, giacché chiudendo l'ultima pagina del romanzo il
lettore si rende conto che una voce fresca, genuina, dissacratoria,
strafottente è venuta ad arricchire il panorama letterario. Viola scrive con la
sicurezza di chi sa che può permettersi qualunque cosa, nulla le è precluso, la
penna nelle sue mani diventa un'arma micidiale. E non è poco di questi
tempi.
Intervista a Viola Di Grado
Viola, nel tuo romanzo si racconta la solitudine,
l'incomunicabilità, il vuoto esistenziale, tutto è avvolto da un alone di fumo.
Camelia sembra un personaggio senza speranza. E' una figlia del nostro tempo?
Il simbolo di una generazione che non vede
prospettive?
Lei non si sente figlia di nessun tempo, deturpa
vestiti proprio per ribellarsi all'illusione che si possa condividere una
qualche identità, compresa un'identità generazionale, ma magari lo è, figlia
del nostro tempo. Io non lo so, forse lo sa il tempo.
Qual è la tua visione della vita e del futuro?
Il futuro c'è già, direbbero i cinesi. E' latente. E'
qui insieme al presente e al passato. Come nel mio romanzo: in ogni piccolo
simbolo volevo si potesse percepire la totalità della storia. Ed è come il
presente: c'è tutto, orrida indifferenza e spiazzante bellezza, disperazione e
possibilità di violente felicità.
Ho trovato la tua scrittura
affascinante, frasi incise come graffiti sulla roccia, la scrittura innovativa
è un punto di forza del tuo romanzo, ma tutta la storia regge e i personaggi
sono di grande spessore, trasudano umanità, sofferenza, ognuno sembra isolato
all'interno di un mondo tutto suo. Una storia in cui i sensi interagiscono, si
amplificano, esplodono. Penso che l'insieme di questi ingredienti ne abbiano
decretato il successo. Sei d'accordo? Ritieni che abbia sottovalutato qualche
altro aspetto?
Grazie. Non so cosa ne abbia decretato il successo,
persone diverse hanno amato cose diverse. Io personalmente sono soprattutto fan
delle sotto-trame simboliche che ho intessuto, ma tenevo anche ai linguaggi a
circuito chiuso, che hai appena menzionato parlando dell'isolamento dei
personaggi.
Cos'è il bello? E cos'è il brutto?
A volte il brutto è più creativo, implica una
ribellione, una stortura. E proprio per questo a volte non è altro che
devastante bellezza, che può distruggere tutto il resto o comunque lo sminuisce.